il Fatto Quotidiano, 15 luglio 2024
Reportage del concerto di Taylor Swift
Più o meno un anno fa le figlie dei miei amici hanno cominciato a informarsi su di me: la salute, il lavoro. Tutto bene? Come stavo? Come mai non mi facevo vedere a cena da un po’? E in estate sarei passato a trovarle? Sono attenzioni che fanno piacere, soprattutto se non si hanno figli, perché uno è sempre contento di andare a genio alle ragazzine. Le stesse ragazzine, poi, che fino a qualche tempo prima a malapena mi parlavano, e confondevano il mio nome e la mia faccia con quelli di tutti gli altri amici di famiglia. Ma si cresce, si cresce, vivaddio! Poi a un certo punto ho pubblicato un libro su Dante e sono arrivati addirittura dei complimenti: che bel libro, che grande poeta, perché non vieni a parlarne nella nostra classe? Ma certo, volentieri… E mentre anche un po’ commosso – si parla sempre male dei giovani, e invece – sfogliavo l’agenda per cercare una data per questa mia Missione al liceo mi è arrivato questo messaggio su uozzap: “Ma dato che scrivi sui giornali non è che per caso puoi trovare degli accrediti per i concerti di Taylor Swift di luglio a Milano?”.
O, Lear, come ti ho sempre giudicato male, tu che avevi patito e detto la verità: “How sharper than a serpent’s tooth it is / to have a thankless child!”. Figlie dei miei amici, ma certo che ho degli accrediti: uno, per me.
E così eccomi qui, fiero nella mia solitudine, al primo concerto milanese di TS: 13 luglio 2024. Solitudine si fa per dire, si capisce, perché qui siamo, per citare i Vangeli, Legione. Arrivare a San Siro comodamente in taxi, anche considerato che me lo rimborsano? Ma no, meglio farsi tutta l’esperienza, mescolarsi subito ai fans, “andare coi mezzi”, come si dice a Milano, mezzi che l’Atm ha del resto potenziato, moltiplicato con encomiabile solerzia (e simpatia, anche: in rete c’è un tutorial su come arrivare allo stadio in cui i vari punti dell’elenco sono introdotti da versi delle canzoni di TS: bravo il social media manager!).
Saliti alla stazione Garibaldi, si capisce però subito che potenziamento e moltiplicazione possono poco di fronte all’Orda (dal turco: ‘esercito’) di fanatici di TS che sale a battaglioni fermata dopo fermata, vociante, dimenantesi. Da Garibaldi in poi comincia quella che – il lettore mi perdonerà la metafora trita, ma a un certo punto salta fuori anche la fermata
Gerusalemme! – è difficile non definire una via crucis con, al posto delle pietre e del flagello, la tortura del soffocamento e del caldo (i pantaloni ‘giapponesi’ che ho comprato online come ‘cotone non trattato’ devono essere invece di acrilico o di qualche altro atroce tessuto impermeabile: rivoli di sudore mi scorrono lungo le gambe, inzuppando i fantasmini: se ero venuto per rimorchiare mi sa che non è serata). A ogni fermata un nuovo carico di swifties, a ogni fermata un aumento di compressione, di costipazione, finché a Lotto, dove la metro lilla interseca pericolosamente la metro rossa, la muraglia di persone che cerca di entrare è talmente enorme che persino le swifties, per natura mitissime, hanno uno moto di ribellione e fanno muraglia contro la muraglia, indirizzandola verso un “prossimo treno” che sarà ovviamente anche più pieno del nostro (molti se la faranno festosamente a piedi, all’andata e ancora di più al ritorno, perché la metro chiude all’una). Ma intanto, già all’altezza di Monumentale sono partiti i cori: la sedicenne che da una decina di minuti mi sta camminando sui piedi adesso mi urla a cinque centimetri dalla coclea You Belong With Me; poi tocca a Shake It Off, una canzone che naturalmente – “mi scusi”, “ma no, niente” – non si può cantare da fermi.
Erano anni, forse decenni che non condividevo uno spazio così angusto con così tante persone, quasi tutte giovani. Sudore a parte, è stata un’esperienza persino divertente, soprattutto perché le swifties per fortuna si lavano, però all’arrivo a San Siro sono già stremato, e medito seriamente di prendere subito la metro in direzione opposta e andare a vedere Lanthimos all’Anteo. Solo che mentre sono lì fermo a soppesare le opzioni la folla, letteralmente, mi trascina con sé, tipo Fantozzi all’uscita dalla Megaditta, e così eccomi dopo neanche cinque minuti davanti al mio settore, ecco la scalinata, ecco la gentilissima hostess che mi indica il mio posto nel frastuono dei Paramore, che hanno già cominciato a suonare (ma non ricordavo che la bellissima The Only Exception è loro! E a proposito, come ti senti se hai scritto The Only Exception e sei i Paramore e ti tocca aprire i concerti di TS, e quando dici “facciamo ancora solo due canzoni” ottieni come risposta un grido non di delusione ma di sollievo?). Ecco soprattutto la mia comoda sediolina di plastica. Perché io alla fine, anche se “scrivo sui giornali”, ho avuto l’accredito dei poveracci: anello arancio, primo settore, “visuale limitata”, che temevo volesse dire ‘con un palo davanti’, e invece per fortuna vuol solo dire che sono in prima fila e che ho davanti una sbarra che però non dà per niente fastidio: starò da papa (anche nel senso che, come il papa, me ne starò prevalentemente seduto mentre attorno a me la Legione dei ragazzini urlanti eseguirà, a cazzo di cane, elementari coreografie).
(Altra parentesi. Visto da dentro, San Siro è uno stadio bellissimo, con quei torrioni di cemento giganteschi. Non ricordo se sono i Buoni che lo vogliono distruggere oppure i Cattivi, ma certo il colpo d’occhio è notevole, io voto per tenerlo. C’ero stato una volta forse trent’anni fa insieme a mio zio buonanima, a vedere un Inter- Juventus, c’era ancora Furino).
Composizione del pubblico in relazione al sesso. Non voglio dire che sulle gradinate e sul campo ci sono soltanto donne, ma nel bagno degli uomini eravamo in quattro, mentre davanti a quello delle donne c’era una coda di – contate – trentadue persone che si identificavano come femmine, rispettose ma comprensibilmente frementi. Alla fine, gruppi di coraggiose hanno deciso
Semivoltovedoquasisoloteen-ageroventenni, qualche raro trentenne. Ragazze, al novanta per cento. Con abiti da sposa col velo bianco e lo strascico, cappelli da cowboy, gonne a fioroni, outfit da vampira, da giocatrice di football E lustrini, lustrini ovunque, una marea di microplastiche appiccicate sui vestiti, le scarpe, gli zainetti, le facce. Composizione del pubblico in relazione al reddito: non credo di aver mai visto tante persone benestanti tutte insieme
Qui e in basso, due momenti del concerto di Taylor Swift a San Siro (foto LaPresse)
di fare una momentanea transizione di genere e hanno goduto di questo raro spettacolo nello spettacolo: i cessi dei maschi di San Siro, martoriati da generazioni di tifosi piscioni.
Composizione del pubblico in relazione all’età. Non per vantarmi, ma sono probabilmente l’unico maschio eterosessuale cinquantenne che non si trovi in questo stadio perché ha dovuto accompagnare dei ragazzini (qualche padre è dentro; la maggior parte – li vedrò all’uscita – aspetta fuori dallo stadio fumando, smanettando sul cellulare, bestemmiando). È una cosa che porta a riflettere seriamente, anche amaramente sulla propria vita. Se mi volto vedo quasi solo teen-ager o ventenni, qualche raro trentenne. Ragazze, come ho detto, al novanta per cento. Vestite. Non nel senso di non-nude ma nel senso di ‘abbigliate in maniera da interpretare o evocare un ruolo all’interno di un racconto fizionale’ (mi ricordo quando una quindicina d’anni fa a Harajuku strabuzzavo gli occhi davanti al cosplay e mi dicevo che mai e poi mai una moda del genere avrebbe potuto attecchire fuori del Giappone: vedevo lungo). E dunque abiti da sposa col velo bianco e lo strascico, cappelli da cowboy, gonne a fioroni tipo Casa nella prateria, outfit da vampira, da baiadera, da giocatrice di football, da reginetta di bellezza con la fascia “Miss Americana”, da drag-queen, e poi magliette con stampati sopra i versi delle canzoni di TS, come i versi dei poeti nelle Parole di Cotone di trent’anni fa, e poi molti stivaloni, molti Birkenstock, qualche Dr. Martens; e lustrini, lustrini ovunque, una marea di microplastiche letali appiccicate sui vestiti, le scarpe, gli zainetti, le facce.
Composizione del pubblico in relazione al reddito. Ripensandoci, non credo di aver mai visto tante persone benestanti tutte insieme. A un certo punto di un suo monologo Louis CK dice che qui – intende New York – ci sono un sacco di senzatetto. Pausa. “Voglio dire: non qui dentro!”. Risata. “Qui non ce n’è nemmeno uno. Zero. I senzatetto non sono ammessi nei posti in cui NOI siamo ammessi”. Ecco, è chiaro che oggi a San Siro non solo non ci sono i senzatetto ma non ci sono neppure i poveri, non i veri poveri, almeno, perché i biglietti per il concerto costavano un sacco già l’anno scorso, poi per un meccanismo che non ho veramente afferrato sono aumentati giorno dopo giorno, fino ad arrivare a cifre fantastiche, sia nel senso di ‘oltremodo elevate’ sia nel senso di ‘totalmente inventate’. Tredicimila euro. Centoventimila euro. Il rene sinistro. Le cornee del proprio primogenito. Ma, restando nell’ambito del reale, nei mesi scorsi ho sentito frasi come “Mia figlia ha comprato il biglietto per Stoccolma perché per Milano erano finiti”, o “Noi alla fine andiamo a Vienna”, o “Tre, ne vedono tre! Madrid, Liverpool, Zurigo, dormono dai parenti”. Parenti a Madrid, a Liverpool, a Zurigo!? Com’è che diceva Pascal? Tutte le disgrazie dell’umanità nascono dal fatto che la gente non se ne vuole stare a casa sua a leggere un libro. Che esagerato, d’accordo. Ma attraversare l’Europa per vedere tre concerti che sono poi lo stesso identico concerto? La verità è che la gente sta troppo bene, altroché.
Composizione del pubblico in relazione all’etnia, o al colore della pelle. Dev’esserci una qualche relazione col punto precedente (“Composizione del pubblico in relazione al reddito”), ma a occhio e croce gli unici non caucasici qui sono quelli della sicurezza e i bibitari, e qualche nero americano venuto in gita in Europa (pare che il pacchetto soggiorno+biglietto offerto da certe agenzie sia molto conveniente). La folla più omogeneamente bianca che mi capiterà di vedere, probabilmente, da qui alla fine della vita.
E adesso, mentre il gigantesco orologio proiettato sul gigantesco schermo davanti a noi dice che mancano cinque minuti all’inizio, facciamo una breve premessa a beneficio dei non esperti. Canta, balla, suona, si scrive i testi delle canzoni. Naturalmente i malevoli dicono che non è tanto brava a cantare, ballare, suonare. Ma in realtà basta ascoltarla nelle esibizioni da sola, voce e chitarra, per capire che sa cantare eccome, e anzi sempre meglio a mano a mano che passano gli anni (è chiaramente una che impara le cose a velocità supersonica). Balla come può ballare una ragazza di un metro e ottanta che non fa quello di mestiere: le étoile sono un’altra cosa, ma le coreografie sul palco le esegue alla perfezione; soprattutto, conviene tenerlo presente, le esegue ripetendo a memoria il testo di quarantaquattro canzoni e – mi scuso per l’abuso di corsivo, ma ci vuole – recitandole. Suona la chitarra e il pianoforte quanto basta per accompagnarsi, e quanto basta al pop. Il secondo Novecento è pieno di geni musicali che a malapena sapevano leggere uno spartito, cerchiamo di non farla troppo lunga con queste ubbìe da conservatorio. Quanto allo scrivere – un aspetto che per i fans è cruciale,