il Fatto Quotidiano, 15 luglio 2024
Boeing, 346 morti per risparmiare: una storia capitalista
“Il crimine aziendale più letale della storia Usa”. Così il giudice Reed O’Connor ha definito il caso dei due Boeing 737 Max precipitati nel 2018 e 2019. Il secondo produttore mondiale di aerei civili è finito nella bufera per aver cercato di occultare le sue colpe nei disastri costati 346 morti. Epilogo di una politica di taglio dei costi decisa ormai vent’anni fa.
Il 29 ottobre 2018 il volo Lion Air 610 tra Giacarta e Pangkal Pinang precipitò in mare poco dopo il decollo. Dei 189 a bordo non sopravvisse nessuno. Il 10 marzo 2019 il volo Ethiopian Airlines 302 tra Addis Abeba e Nairobi precipitò sei minuti dopo il decollo uccidendo tutti i 157 a bordo, tra i quali otto italiani. Entrambi gli aerei erano Boeing 737 Max 8. Così, dall’11 marzo 2019 tutti i Paesi decisero la messa a terra dell’intera flotta Max. Ma alla ripresa dei voli, 21 mesi dopo, i guai non erano finiti: il 5 gennaio scorso l’Alaska Airlines 1282 subì l’esplosione di un portellone a sei minuti dal decollo. Solo il caso evitò vittime tra i 177 a bordo prima che il 737 Max riatterrasse a Portland. A maggio il Southwest Airlines 746 da Phoenix a Oakland ha subito rollii incontrollati e danni al timone.
Le indagini hanno stabilito che i disastri di Lion Air ed Ethiopian Airlines furono dovuti a sensori malfunzionanti che inviarono dati errati a un software anti-stallo. Il sistema scattò in automatico e mandò gli aerei in picchiata fino a schiantarli. La funzionalità non era descritta nei manuali di volo e i piloti non sapevano come sbloccarla. Sul volo Alaska Airlines, al portellone mancavano 4 bulloni prodotti da Spirit AeroSystems in Malesia e mai assemblati da Boeing.
Lo stop dei 737 Max ha causato a Boeing un disastro reputazionale, l’annullamento di ordini per un migliaio di velivoli, il crollo di rating e azioni. I suoi costi diretti ammontaa 20 miliardi di dollari, quelli indiretti superano i 60. Il bilancio 2019 del colosso Usa si è chiuso con una perdita netta di 11,9 miliardi: da allora, complice il Covid, l’azienda non è mai tornata in utile, nonostante aiuti del governo Usa per 17 miliardi contro la recessione pandemica. Dal 2019 al 2023 Boeing ha segnato perdite totali per 23,3 miliardi, i tutto mentre scattava una girandola di dirigenti strapagati. L’attuale amministratore delegato, Dave Calhoun, che si dimetterà a fine anno, nel 2023 era 26° tra i 415 manager Usa più remunerati con quasi 33 milioni di dollari, +46% sul 2022 nonostante la crisi dell’azienda. Tra i danni, Boeing ha dovuto pagare 500 milioni per un fondo d’indennizzo preliminare alle famiglie delle vittime e una multa da 2,5 miliardi per frode, pagata il 7 gennaio 2021, pari ai risparmi ottenuti dal mancato addestramento dei piloti del 737 Max. Il 9 luglio, l’azienda si è dichiarata colpevole di associazione a delinquere per frode e ha patteggiato una multa da 243 milioni per chiudere l’indagine del Dipartimento di Giustizia Usa sui disastri del 2018 e 2019. Per le famiglie delle vittime, che chiedono risarcimenti fino a 25 miliardi, la sanzione è risibile. Anche perché negli ultimi 10 anni Boeing ha versato agli azionisti 59 miliardi, 20 in dividendi e 39 in riacquisto azioni.
I disastri non sono dovuti al caso. Nascono dal tentativo di sconfiggere il concorrente europeo Airbus tagliando i costi, che comprendono anche i 171 mila dipendenti. Una gara persa: nel 2019 Airbus ha soppiantato Boeing come leader mondiale nella produzione degli aerei civili proprio per la messa a terra dei 737 Max. Oggi Boeing ha il 40,6% del mercato dei velivoli a lungo raggio, Airbus il 60,4%. Il produttore europeo ha superato Boeing per cinque anni consecutivi in ordini e consegne. Dopo un “rosso” da 1,13 miliardi di dollari nel 2020, dal 2021 al 2023 Airbus ha ottenuto utili netti per 12,25.
Il tracollo di Boeing è dovuto a scelte errate prese vent’anni fa. Sin dall’avvio del progetto del 787 Dreamliner ad aprile 2004, per realizzare l’aereo in modo rapido ed economico così da competere con l’Airbus A380, Boeing è passata dalla ricerca, sviluppo e costruzione interni all’esternalizzazione del 70% della progettazione, ingegneria e produzione a oltre 50 partner strategici. Tra questi, società di software indiane – “massaggiate” da investimenti di Boeing per 1,7 miliardi di dollari in aziende indiane, in cambio di ordini da 33 miliardi da parte di Nuova Delhi per velivoli civili e militari – che hanno impiegato programmatori a tempo determinato pagati solo 9 dollari l’ora. O Spirit, sorta nel 2005 dalla cessione per 1,2 miliardi a un fondo canadese di una divisione aziendale, nonostante Boeing ne valga il 60% del fatturato. Un affare finito male: ora il colosso Usa la riacquisterà pagandola 8 miliardi.
Ma Boeing non vende solo aerei civili. Nel suo bilancio 2023, i contratti nel settore militare rappresentavano il 37% dei 77,8 miliardi di ricavi. Nel 2022 aveva 14,8 miliardi di dollari in appalti con il Pentagono. La divisione Difesa e Spazio nel primo trimestre 2024 ha fatturato 7 miliardi, in crescita del 6% su base annua. I rapporti con il complesso militare-industriale non sono l’unico asso nella manica del colosso. Boeing gestisce una lobby potentissima: da anni fa pressioni bipartisan sui politici di Washington e sugli enti di controllo per deregolamentare la sicurezza del volo. Secondo il mensile indipendente Jacobin, solo negli ultimi quattro anni i comitati di azione politica e i manager di Boeing e Spirit hanno speso oltre 65 milioni di dollari in attività di lobbying e contributi alle campagne politiche. Nei primi 9 mesi del 2023, Boeing ha donato più di 10,6 milioni di dollari – la sedicesima cifra tra le aziende Usa – per fare pressioni su Casa Bianca, legislatori, Faa (l’ente federale Usa per la sicurezza del volo) e altri regolatori in materie di sicurezza aerea e certificazioni. D’altronde, con stipendi medi doppi rispetto al settore pubblico, moltissimi dipendenti della Faa non vedono l’ora di passare a libro paga della Boeing. A completare il quadro non manca il giallo delle morti sospette di dipendenti che avevano denunciato i reati aziendali. Joshua Dean, ex controllore dei conti di Spirit AeroSystems e uno dei primi whistleblower a sostenere che i top manager avevano ignorato consapevolmente i difetti di fabbricazione del 737 Max, è morto il primo maggio dopo “un’infezione improvvisa, rapida e letale”. Un altro whistleblower di Boeing, il 62 enne John Barnett, è stato trovato morto il 9 marzo per un colpo di arma da fuoco. Per gli inquirenti è suicidio. Entrambi avevano detto di essere stati minacciati. Altri 10 testi sarebbero pronti a parlare. Per la sicurezza di tutti, c’è da sperare che ci sia chi è disposto ad ascoltarli davvero.