il Fatto Quotidiano, 15 luglio 2024
Viaggio nell’Ungheria di Orban
L’Europa guarda in direzione dell’Italia di Giorgia Meloni nel tentativo di anticipare le conseguenze in Francia di un eventuale governo del Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen. Ma sono circa quindici anni che la destra nazional-conservatrice di Viktor Orbán ha fatto dell’Ungheria un laboratorio per l’estrema destra, combinando neoliberismo autoritario a politiche nazionaliste e illiberali.
Fidesz governa l’Ungheria e i suoi 10 milioni di abitanti dal 2010. Non riconosce avversari politici, solo nemici da eliminare. Fidesz si considera l’unico rappresentante legittimo della nazione mentre gli altri sono tutti traditori e pedine nelle mani di interessi stranieri. Ha scritto unilateralmente una nuova Costituzione, che da allora è stata modificata più volte. Il suo leader non partecipa a nessun dibattito pubblico dal 2006 e boicotta i media indipendenti. Attacchi violenti si abbattono su chiunque osi sfidare il suo potere. Orbán chiama il nazionalista Gábor Vona «omosessuale represso», accusa il conservatore Péter Márki-Zay di essere alla mercé degli americani, e la liberale Anna Júlia Donáth e il neo-leader dell’opposizione Péter Magyar di essersi macchiati di abusi sessuali. Il nuovo Ufficio per la protezione della sovranità, istituito all’inizio dell’anno, ha appena aperto un’inchiesta a carico della sezione ungherese di Transparency International e del media investigativo Átlátszó.
Fidesz ha assunto il monopolio dell’informazione e della comunicazione. I media pubblici sono stati trasformati in portavoce del governo. Orbán e i suoi quattro governi consecutivi hanno portato avanti una guerra economica contro i media privati, finanziando i media pro-Fidesz attraverso campagne pubblicitarie pubbliche e scoraggiando gli inserzionisti dal finanziare i giornali anti-Fidesz. Alcuni di questi sono scomparsi, come il quotidiano di sinistra Népszabadság. Altri sono passati sotto il controllo di imprenditori vicini al regime e alimentati da fondi pubblici ungheresi ed europei (come il media online Index).
Caso unico nell’Unione europea, decine di media sono stati concentrati in un’unica fondazione al servizio esclusivo del potere di Viktor Orbán. Esiste ancora una certa pluralità di media online e di testate settimanali. Sono state inoltre adottate diverse misure per tenere i giornalisti lontani dal Parlamento e per complicare il loro accesso ai dati pubblici. Questo sistema ha permesso, per esempio, di passare sotto silenzio il tasso di mortalità record dell’Ungheria durante la pandemia di Covid. È in parte a causa di questa distorsione mediatica che l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha giudicato le ultime due elezioni legislative del 2018 e del 2022, «libere ma non eque».
La destra ungherese difende un mondo in cui le culture vivono fianco a fianco ma non si mescolano. Nel 2015, il governo ha costruito un muro anti-migranti tra Ungheria e Serbia e ha limitato il diritto d’asilo: nel 2023, solo 31 persone hanno potuto richiedere asilo e 19 hanno ottenuto lo status di rifugiati. Per compensare il calo demografico e il fatto che sempre più giovani ungheresi lasciano il Paese, il governo è andato a cercare manodopera in Asia (Filippine, Vietnam ecc.). Oggi questi lavoratori ospiti, che hanno pochi diritti, sono già decine di migliaia e potrebbero diventare mezzo milione, su un mercato del lavoro ungherese di 4 milioni di persone. Il miliardario George Soros, che finanzia molte ong in Ungheria, è diventato il nemico pubblico numero uno. Contro di lui sono organizzate campagne che rievocano i vecchi codici antisemiti: la rete Soros sarebbe istigatrice della «grande sostituzione» della popolazione europea. Eppure il primo ministro ungherese si erge a baluardo in Europa della lotta all’antisemitismo sostenendo Benjamin Netanyahu in Israele e gli ebrei ortodossi in Ungheria.
Alla frontiera, il governo ha installare cartelli con scritto «Paese family friendly». Il discorso pubblico fa della famiglia l’unica struttura sociale valida, oltre allo Stato. Viene valorizzata la funzione procreatrice della donna. L’accesso all’aborto, legale fino a dodici settimane di gravidanza, è stato reso più complicato e ora è obbligatorio consultare un assistente sociale e ascoltare il battito cardiaco del feto prima di praticare l’intervento. Se, rispetto al passato, la società ungherese è molto più tollerante nei confronti delle persone Lgbtq+, il governo ha approfittato di una legge sulla protezione dell’infanzia per stigmatizzare gli omosessuali come pedofili, ha vietato il matrimonio tra coppie dello stesso sesso, scrivendolo nella Costituzione, e il cambio di genere.
La destra ungherese ha decretato la fine dello Stato sociale a favore di una «società del lavoro». Il governo sta facendo il possibile per attrarre investimenti stranieri e fornire alle grandi aziende manodopera a basso costo (quattro volte più economica di quella francese, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro). Le case automobilistiche tedesche (Mercedes, Bmw, Audi) e asiatiche (Suzuki, Byd, Catl) trovano in Ungheria un paradiso fiscale: i loro guadagni sono i meno tassati d’Europa (intorno al 9%). Delle misure prese di recente permettono ai datori di lavoro di disporre a piacimento dei propri dipendenti e consentono di imporre ai dipendenti pubblici una grande quantità di ore di straordinari. I sussidi di disoccupazione sono praticamente inesistenti e limitati a tre mesi. È anche difficile protestare, perché il diritto di sciopero e i diritti sindacali sono stati notevolmente indeboliti. Lo Stato concede sovvenzioni pubbliche molto generose ai grandi gruppi e si schiera dalla loro parte nei conflitti con i lavoratori: Suzuki ha potuto eliminare i sindacati dalle sue fabbriche, Hankook impedisce illegalmente ai suoi dipendenti di scioperare e Continental ha licenziato diversi sindacalisti.
Tutto questo mentre il padre di Orbán ha acquistato una magione di campagna enorme, con tanto di scuderie, perfetta illustrazione del gusto del Fidesz per l’Ungheria feudale. La mobilità sociale è sotto la media Ocse e le riforme del sistema educativo sembrano destinate a ostacolarla ulteriormente.
L’istruzione soffre di un sottoinvestimento cronico. L’età della scuola dell’obbligo è stata abbassata e i programmi di studio sono regrediti. Il sistema fiscale favorisce le classi medie superiori, che possono beneficiare di assegni familiari. Lo Stato ha fissato un’aliquota unica di imposta sul reddito e ha l’Iva più alta d’Europa, al 27 per cento. Un’altra batteria di misure criminalizza di fatto la povertà: la raccolta di legname per il riscaldamento durante l’inverno è punita con una multa e i senzatetto sono banditi ufficialmente da alcuni spazi pubblici. Lo Stato ha affidato alle chiese il compito di fare beneficenza ai senzatetto, i migranti, i rom, gli emarginati.
Orbán è allineato alla visione russo-cinese di un mondo multipolare libero dal dominio statunitense. La sua dottrina di apertura a Est punta in pratica a ridurre la dipendenza economica e politica dell’Ungheria dal mondo occidentale avvicinandola alle potenze asiatiche. Riguardo ai conflitti in corso, in Ucraina e a Gaza, l’Ungheria sta cercando di limitare la portata delle sanzioni europee contro la Russia e sta sistematicamente sabotando qualsiasi tentativo di risoluzione dell’Ue critica nei confronti del governo israeliano. Ha rafforzato la sua dipendenza energetica da Mosca dopo l’aggressione all’Ucraina del 24 febbraio 2022 e ha intensificato le sue (ottime) relazioni con il governo Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Orbán e il suo governo hanno assunto la presidenza di turno del Consiglio europeo il primo luglio scorso con uno slogan esplicito: «Make Europe Great Again». Proprio nelle ultime settimane, il leader ungherese si è impegnato in prima persona per creare un gruppo parlamentare di estrema destra a Strasburgo, destinato ad avere un’influenza a lungo termine sul Consiglio Ue. A questo punto, l’Ungheria appare troppo piccola per le ambizioni del suo autocrate.
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