il Fatto Quotidiano, 15 luglio 2024
Dal Circeo al rogo anti-rom. Pasolini e la morte della fratellanza che ci colpisce alle spalle. Oggi
Nell’ultimo articolo pubblicato sul Corriere della sera, nell’ottobre 1975, poco prima di essere assassinato, Pier Paolo Pasolini commentava il massacro del Circeo e scriveva che “i criminali non sono affatto solo i neo-fascisti, ma sono anche, allo stesso modo e con la stessa coscienza, i proletari o i sottoproletari”. Aggiungeva: “E ne ho anche indicato le ragioni (perdita da parte di giovani del popolo dei propri valori morali, cioè della propria cultura particolaristica, coi suoi schemi di comportamento)”.
A Torino, il 10 dicembre del 2011, si ebbe una drammatica dimostrazione della validità di quelle osservazioni. In un quartiere popolare, al margine nord della città, un gruppo di persone entrò nel campo rom e lo devastò, incendiando le baracche e le roulotte. Una parte dei residenti incitava e applaudiva. La rabbia s’era scatenata, come sosterranno i magistrati torinesi, “quando una ragazza minorenne per nascondere ai familiari di aver avuto un rapporto sessuale inventò e denunciò di essere stata violentata dagli zingari”. Il giudice affermò nelle motivazioni che il rogo “fu il prodotto di un atavico e mai sopito odio etnico nei confronti degli zingari”.
A quei fatti si è ispirato Miran Bax, al secolo Massimo Anania, nato nel 1975 a Torino in un ospedale della “nebbiosa periferia”, per il suo romanzo Notte isterica (Morellini editore). Il suo è un libro duro, vero, di forte impegno civile, che vale la pena di leggere e di meditare. È un romanzo dallo spirito autenticamente pasoliniano, di quell’ultimo Pasolini che coglieva nell’omologazione consumistica la fine delle differenze, il crollo dei valori umani dei suoi ragazzi di vita, l’avvento del pensiero unico segnato dall’individualismo, dal potere del denaro, dalla scomparsa nelle classi popolari di ciò che si chiamava solidarietà e fratellanza. Pasoliniana è poi la periferia desolata della grande città descritta da Anania, e così l’ignoranza, la miseria materiale e morale, di tanti giovani (ma non solo loro), il razzismo dei poveri contro altri poveri, la paura che uccide ogni speranza. “Adesso vorrei tornare indietro”, dice una delle protagoniste, “e cambiare gli eventi. Adesso vorrei spegnere il cervello e sparire. Vorrei fuggire dalla mia famiglia, da questo quartiere, dal mondo. E invece me ne sto qui a controllare se arrivano i carabinieri sotto casa”.
Anania ha spiegato di avere voluto “raccontare questo episodio per la violenza con cui hanno reagito i cittadini che sono arrivati addirittura ad impedire l’intervento dei vigili del fuoco per spegnere l’incendio. Mi ha colpito molto che il fatto sia avvenuto a Torino, che in quegli anni sembrava essere la città dell’accoglienza per eccellenza”.
Tuttavia solo pochi, nel romanzo e con ogni probabilità nella realtà, si rendono davvero conto della gravità estrema di ciò che è successo quella notte a Torino: “È vero che non è morto nessuno ma ci hanno provato a uccidere, anzi hanno tentato di fare una strage e io ricordo tutto bene, ogni dettaglio, ogni bomba, le fiamme, le sirene blu e l’odore di bruciato, insomma, so come sono andate le cose dall’arrivo del corteo fino allo spegnimento dell’incendio perché ho visto tutto, ho visto tutto dalla mia finestra”.