la Repubblica, 15 luglio 2024
Usa a mano armata
“Spero che siate tutti repubblicani». La battuta di Ronald Reagan in sala operatoria, rivolta ai chirurghi che stanno per estrargli un proiettile, è entrata nella storia: contribuì a cementare l’affetto della nazione per il quarantesimo presidente degli Stati Uniti, da poco eletto. Quattro presidenti americani hanno perso la vita per mano di un assassino mentre erano in carica. Altri tre, Theodore Roosevelt nel 1912, Reagan nel 1981 e ora Trump, sono sopravvissuti a un attentato. Sono gli spari che hanno segnato l’America.
Si comincia nel 1865: Abraham Lincoln sta assistendo a uno spettacolo in un teatro di Washington. La guerra civile tra Nord e Sud è finita da poco con la vittoria dei nordisti, mantenendo unita la nazione e riaffermando l’abolizione dello schiavismo. Ma non tutti i confederati accettano l’esito del conflitto. John Wilkes Booth, un simpatizzante del Sud, entra nel palco presidenziale e spara alla nuca del capo della Casa Bianca, che muore nove ore dopo, alle 7 del mattino del 15 aprile. In fuga per dodici giorni, l’assassino rifiuta di arrendersi all’esercito e viene ucciso.
La storia si ripete il 2 luglio 1881: alla stazione ferroviaria della capitale, un uomo spara da distanza ravvicinata a James Garfield, eletto presidente soltanto quattro mesi prima. L’assassino, Charles Guiteau, è un avvocato che agisce per motivi personali: ce l’ha con Garfield perché non lo ha nominato ambasciatore. Arrestato e processato, gli viene diagnosticata l’infermità mentale ma finisce sulla forca. Il presidente sopravvive due mesi alle ferite riportate: muore per un’infezione causata dai medici che lo hanno operato con strumenti non sterilizzati. Vent’anni dopo, il 6 settembre 1901, il presidente William McKinley sta visitando una fiera a Buffalo, nello Stato di New York, quando un anarchico gli spara due colpi all’addome da pochi passi: McKinley muore di cancrena una settimana più tardi.Leon Czolgosz, l’attentatore, viene giustiziato sulla sedia elettrica. Solo dopo il terzo presidente assassinato in trentasei anni, il Congresso approva la creazione di un corpo speciale per la protezione del capo della Casa Bianca: il servizio segreto.
Ma non basta. Il 22 novembre 1963, mentre su un’auto scoperta percorre le strade di Dallas, con al suo fianco la moglie Jacqueline, John Kennedy viene colpito alla testa e alla schiena da due proiettili sparati con un fucile di precisione da Lee Oswald, appostato a una finestra del sesto piano in un palazzo lungo il tragitto. Il presidente muore qualche ora dopo in ospedale. Arrestato, Oswald viene a sua volta assassinato il 24 novembre, durante il trasferimento da una prigione all’altra, da Jack Ruby, proprietariodi un night club, che voleva vendicare la morte di Kennedy ma così facendo chiude la bocca al suo assassino. Ruby muore in carcere nel 1967 in attesa di processo. Un rapporto conclude che Oswald ha agito da solo e Ruby pure, ma sull’assassinio di John Kennedy, il primo raccontato in diretta dalla televisione, anche per questo ancora più scioccante per l’America, nascono innumerevoli teorie della cospirazione. Cinque anni dopo viene assassinato anche Bob Kennedy, fratello minore di John, candidato alla Casa Bianca, ucciso a Los Angeles da un arabo americano di nome Sirhan Sirhan.
Passano altri due decenni e il 30 marzo 1981 John Hinckley apre il fuoco con una pistola su Ronald Reagan, in carica da due mesi, all’uscita di un albergo di Washington, ferendo il presidente, il suo portavoce, un agente del servizio segreto e un poliziotto. Come nell’odierno attentato a Trump, un centimetro in più e Reagan sarebbe morto: una pallottola gli sfiora il cuore. Ma il presidente saluta con una battuta da cinema i chirurghi che devono salvargli la vita: «Spero siate repubblicani», cioè del suo stesso partito. Il giovane attentatore confessa di avere compiuto il suo folle gesto per fare colpo su Jodie Foster, l’attrice di cui è innamorato, ricalcando la sparatoria del personaggio interpretato da Robert De Niro nel film “Taxi driver” per liberare una prostituta adolescente impersonata proprio da Jodie. Dopo 35 anni in un manicomio psichiatrico, nel 2016 Hinckley ottiene la libertà condizionata.