il Giornale, 12 luglio 2024
Biografia di Hedy Lamarr
Innanzitutto, una raccomandazione. Che non vi venga in mente di leggere, prima di questo romanzo, la «Nota dell’autore»: sarebbe come buttare un sasso contro uno specchio, in cui poi vedreste tutto frammentato, sarebbe come sfregiare il volto di una bella donna sofferente e in più il volto della «donna più bella del mondo». Poi, e per cominciare, una «Nota del lettore sui lettori». Alcuni lettori, con il passare degli anni denotano (acquisiscono?) una «deformazione» che sarebbe sbagliato definire «professionale», essendo i lettori tutti dilettanti, ma che è comunque una «deformazione», anche se non grave, un vezzo, un vizio figlio della consuetudine: cercare di entrare nella testa dell’autore. E farsi domande del tipo: «che cosa pensava quando scriveva questo o quello?», oppure «come gli è venuta quest’idea?». Per esempio, a proposito di L’invenzione di Eva di Alessandro Barbaglia (Mondadori, pagg. 203, euro 18), qualche lettore potrebbe pensare: ah ecco! qui si parla della «donna più bella del mondo», Hedy Lamarr, però Hedy Lamarr è uno pseudonimo, lei di cognome faceva Kiesler, e di nomi ne aveva tre, Hedwig, Eva e Maria, però per tutti era Eva, cioè la prima donna, nonché, nel suo caso, prima donna del cinema; quindi l’autore ha voluto riscoprirla, accostarla, corteggiarla partendo da prima di Eva, partendo dalla donna zero, e si è inventato una specie di Lilith, la socia di Satana, l’angelo caduto, e infatti, guarda caso, tutto nasce da una caduta, e poi le cadute, in parallelo nella narrazione diventano due.
In effetti... Dopo il «Capitolo zero», si inizia con un fratello che va a trovare la sorella in clinica. Quindici anni prima la sorella è «caduta» (come sia caduta non lo diciamo, ma dobbiamo dire che è caduta non per colpa sua) e da allora il fratello è macerato dal senso di colpa, perché avrebbe potuto evitare quella caduta. La madre di entrambi, ora morta, seguiva assiduamente il calvario della figlia, e a un certo punto aveva trovato la chiave per riaprire la porta della sua mente dimidiata leggendole e parlandole di Edy Lamarr, anch’essa, come la ragazza, una «precipitata». Dunque il fratello (l’autore lupus in fabula) con la scusa di far visita quasi ogni domenica alla sorella si dedica anima e corpo all’altra «precipitata» del romanzo, Hedy Lamarr, ripercorrendone la vita. Una vita in precario equilibro fra due poli opposti.
Infatti, tra le frasi celebri dell’attrice (e inventrice, e pittrice) nata a Vienna il 9 novembre 1914 e morta ad Altamonte Springs, in Florida, il 19 gennaio 2000, c’è questa, che suona come il peggio del peggio per le donne, e anche per gli uomini: «Qualsiasi ragazza può apparire meravigliosa. Basta che stia ferma e sembri stupida». Ovvero, stare lì, esibendo il proprio corpo, la propria bellezza (primo polo), senza fare né dire nulla per non rivelare la propria intelligenza (secondo polo) o la sua assenza, è il modo migliore per far colpo sulla gente. Ma poiché Hedy Lamarr non voleva apparire meravigliosa, lo era, non stette mai ferma e non sembrò mai stupida, perché oltre a essere «la donna più bella del mondo», era un genio.
Quando ha sei anni, il padre le regala una collana, lei apre la scatoletta, toglie la collana e, armeggiando con la scatoletta e gli attrezzi che la madre Gertrud, eccellente pianista e accordatrice di pianoforti, usava quotidianamente, trasforma la scatoletta in un carillon. E poco tempo dopo, quando il padre la porta a vedere i tram, lei gli domanda: «Ma possono funzionare anche senza fili?». Nella sua testolina si stava già muovendo un’idea meravigliosa che avrebbe cambiato la storia dell’umanità... Dodicenne, bigia la scuola e partecipa a un concorso di bellezza. Vince, ma quando si scopre la sua età, scoppia un gran casino. E lei, seccata: «Tenete voi il premio! Vincerò anche le prossime dieci edizioni, li ritiro poi tutti insieme!». Sì, Hedy Lamarr aveva anche un’altra dote fuori dalla norma, era ironica. Barbaglia, in brodo di giuggiole, sciorina alcune delle sue migliori battute alla Franca Valeri, per intenderci.
Tuttavia non le mancava anche il senso del tragico. Ebrea, nel ’33, mentre studia ingegneria, sposa il primo dei suoi sei mariti, Fritz Mandl, padrone di un’industria di armi, recapitate ovviamente nelle mani dei nazisti, già in marcia verso lo sterminio degli ebrei e la distruzione dell’Europa. Però quattro anni dopo lo lascia, fuggendo prima a Londra e poi negli Stati Uniti, dove diventerà «la donna più bella del mondo». Che fosse ben avviata a diventarlo coram populo lo si era capito nel film del ’33 Estasi, celebre per una scena madre e una scena padre, il suo nudo integrale, primo della storia del cinema, e il suo orgasmo (solitario, provocato da una puntura di ago sul sedere – e se non è auto-ironia questa...).
Anche la sorella del Narratore è attraente e sensuale, e ha altre due cose in comune con Hedy, la passione per la musica, suonano entrambe il pianoforte, e l’abilità manuale nel costruire strumenti. Sapete che cosa assembla la «precipitata» malata? Ecco qua: «Tu, di notte, ti tiravi le dita. Avevi costruito una macchinetta, non saprei come chiamarla, con dei piccoli cappi, dei fili, e una manovella per tenerli in tensione. Volevi allungarti le dita. Le volevi più lunghe, più agili. Veloci. Forti. Dita per prendere accordi sulla tastiera del pianoforte che ti erano proibiti da limiti fisici».
L’invenzione di Eva è una biografia mascherata, anzi, truccata con il rossetto (a proposito, Hedy ne ideò l’estrazione a vite) e le altre diavolerie usate dalle donne per catturare gli uomini. Ma è anche una fenomenologia dello star system che prima crea le icone da cavalcare tra ali di folla plaudente e poi, quando la folla si mostra annoiata, le disarciona per crearne di nuove. Perché anche Hedy, negli anni ’60, ’70 e ’80, quando ormai gli scandali sono derubricati a routine hollywoodiana, imbocca il viale del tramonto (come Gloria Swanson nel film omonimo) che la porta in una residenza per anziani.
Ma L’invenzione di Eva è anche un pro-memoria di come funzionano la guerra e la politica che di fatto è, capovolgendo il detto di von Clausewitz, il proseguimento della guerra con altri mezzi. Ricordate che cosa chiese Hedy, a sei anni, al suo papà osservando i tram di Vienna? «Ma possono funzionare anche senza fili?». Ecco, lei vent’anni dopo, nel 1940, a guerra mondiale in corso, sotto lo sguardo sbalordito del suo amico compositore George Antheil, prima fa funzionare, cioè suonare insieme, sedici pianoforti sincronizzandoli, poi mette nero su bianco come ha fatto. All’ufficio brevetti della marina statunitense porta la data dell’11 agosto 1942 e si chiama «Secret Communications System, N. 2.292.387». A tempo debito si scoprirà che quello è il nonno del wireless, la comunicazione senza fili, con tutto ciò che questo comporta, ma Hedy l’ha pensato per non far intercettare i segnali radio che guidavano i siluri degli Usa.
Non se ne fa nulla. Hedy sarà anche «la donna più bella del mondo», ma da che mondo è mondo la guerra la fanno gli uomini, si dissero i cervelloni che di lì a poco metteranno i loro culi preziosi (ma non meravigliosi come quello di Hedy) sulle poltrone del Pentagono. Soltanto nel ’62, quando il brevetto era scaduto, durante la crisi dei missili di Cuba uno fra le migliaia di uomini che Hedy aveva sdraiato, John Fitzgerald Kennedy, diede l’ok per usare la formula magica del salto di frequenza. Che avrebbe generato la telefonia mobile, il Bluetooth e il Gps...
Hedy Lamarr e la sorella del Narratore sono due donne fuori tempo, ma alla seconda resta il tempo per andare a Vienna, al Wienerwald, dove la prima aveva disposto che fossero disperse le sue ceneri. E tra monti e foreste, come in una favola spunta un pianoforte.