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 2024  luglio 12 Venerdì calendario

Intervista ad Alessia Gazzola

La libreria è zeppa di romanzi rosa e romanzi storici. Pochi i thriller e noir, stranamente. Sui ripiani, una foto di Alessia Gazzola ventenne col futuro marito, entrambi col camice da studenti di Medicina, e un’altra di Alessia con Alessandra Mastronardi sul set dell’Allieva, la fortunata fiction Rai tratta dall’omonima serie di romanzi di questa quarantaduenne nata a Messina, medico legale e autrice di best seller che hanno venduto più di due milioni di copie e sono stati tradotti in tutto il mondo. I taccuini con gli appunti per i romanzi sono ovunque. Hanno copertine con fiori rosa o farfalle. «La cyclette sta in un angolo a prendere polvere», fa notare lei. La miniatura di una mongolfiera sfiora il soffitto.
La prima volta che ha avuto voglia di scrivere una storia?
«La cosa ha radice remote, mamma conserva una sorta di biglietto da visita che mi ero fatta a otto anni. Recita: Alessia Gazzola, scrittrice. Alle medie, ho scritto i primi romanzi. La necessità di esprimermi è nata con me, anche se al liceo e all’università è stata un segreto solo mio». 
Primo testo compiuto?
«Il racconto del pipistrello astuto, che si concludeva con una frase che entrò nel nostro lessico familiare: “I suoi colleghi pipistrelli lo soccorsero e dissero: non è più astuto come una volta”. Alle medie, invece, il primo romanzo era un polpettone sentimentale dal titolo Amore e tradimento».
Storia alla Jane Austen?
«Molto più turpe. Più Via col vento, con una dose delle soap viste in tv».
Le letture infantili che l’hanno formata di più?
«Speciale Violante di Bianca Pitzorno ha condizionato tutta la mia produzione: era il romanzo di formazione di tre ragazzine in vacanza».
Che famiglia ha avuto?
«Mia madre lavorava nella pubblica amministrazione. Con papà, non c’erano rapporti e abitava in un’altra città. Sono figlia unica, cresciuta tanto anche coi nonni materni in una Messina che era un mondo arcadico, col mare vicino, che davi per scontato e che, ora che da nove anni vivo a Verona, rimpiango».
Perché se scriveva fin da piccola ha studiato Medicina?
«Scrivere di mestiere non è mai stata un’opzione, non avevo una considerazione così alta di me. Dopo la maturità, ho superato il test di Medicina e mi sono detta: forse, il mio destino è questo».
Non lo era.
«Sì, invece. Posso inciderle sulla pietra che, se non avessi avuto quel contatto quotidiano con la morte e il tragico, non mi sarebbe mai venuta in mente Alice, la protagonista dell’Allieva. E anche Costanza, la paleopatologa di altri romanzi, si basa sui miei studi».
Come arriva la specializzazione da medico legale?
«All’università ho fatto moltissima fatica, stavo per lasciare. Poi, ho scoperto la medicina legale che consente di scrivere tantissimo: dopo l’autopsia, devi mettere su carta fatti e considerazioni. Mi sono detta: finalmente, ho trovato il mio posto».
Prima autopsia?
«Un giovane suicida: aveva lasciato un biglietto, la mia partecipazione emotiva è stata fortissima. Come l’allieva, io non mi rassegno alla morte, specie davanti ai giovani, per me non sono corpi vuoti. Quel giorno, ho capito che ricostruire le circostanze di una morte è un lavoro nobile».
Alla luce della sua esperienza, perché si muore di morte violenta o improvvisa?
«Per sfortuna o per disperazione tua o di un altro».
Un caso che l’ha avvinta?
«Quello di una ragazza accusata dell’omicidio del padre. Non credevo fosse stata lei. Non era stata lei».
In tredici anni, ha scritto sedici libri, come ha fatto?
«Ne ho scritti 18, uno sta per uscire, l’altro lo sto finendo. Nove sono dell’Allieva, tre su Costanza Macallè. Scrivo dalle 7,30 alle 15,30. In modo quasi impiegatizio, la mattina di getto, poi nel pomeriggio, mentre guido o cucino, ci penso su e, prima di cena, sistemo, aggiusto».
Come nasce l’Allieva?
«Era il 2006 o 2007, ero una venticinquenne che leggeva tanta chick lit, storie di ragazze fra avventure sentimentali e carriera nelle metropoli. Intanto, vivevo un mestiere duro, emotivamente forte. Il personaggio è arrivato per raccontare di una ragazza che, anziché lottare in un mondo glamour, faceva il mio lavoro. Facevo autopsie tutto il giorno e la sera non vedevo l’ora di avere tempo per scrivere».
Che cosa ha mandato per la prima volta a un editore?
«Proprio l’Allieva. È stata la prima volta che, rileggendo qualcosa che avevo scritto, mi sono detta: questo è carino e l’ho fatto io. Ai tempi, non c’erano Wattpad e le autopubblicazioni e ho cercato un’agenzia letteraria. Ho scelto la più altisonante e mi hanno bocciata con snobismo terribile. Leggendo la scheda di valutazione, mi sentii trattata da sfigata. Però suggerivano delle correzioni, qualcuna la accolsi e mandai a un’altra agenzia di fama meno altisonante. Un giorno, ero in istituto, e ricevo la telefonata dell’agente che mi dice: qui abbiamo una miniera d’oro».
Perché nel 2017 ha smesso di fare il medico legale?
«L’ho deciso non senza lacrime. Amavo entrambi i lavori, ma con due bimbe piccole sono riuscita a farli finché stavo in Sicilia e mia madre e mia suocera potevano aiutarmi. Quando mi sono trasferita a Verona, seguendo mio marito, era diventato impossibile. Tornare a fare anche il medico legale è rimasto uno di quei sogni impossibili ma confortanti come quando dico che vorrei tornare a Messina».
Ha poi recuperato il rapporto con suo padre?
«È morto a 65 anni, e non ci siamo mai chiariti. Il problema è che ci piace pensare che le cose siano immobili, ma tutto va avanti con la fastidiosa tendenza a sorprenderci».
Lui ha fatto in tempo a sapere del suo successo?
«So che aveva i miei libri».
Il prossimo ha un personaggio nuovo?
«Le lettrici mi chiedevano il seguito della storia di Rachele, ma ho creato una protagonista di un’altra epoca: è l’ispirazione che comanda e, se non mi diverto quando scrivo, non lo farà neanche il lettore quando legge. Stavolta, mi è venuto un atto d’amore verso il giallo alla Agatha Christie, coi miei soliti pacchi di rosa».
Molti considerano la chick lit un genere minore. Le capita di percepire snobismo?
«Non mi sento meno degli altri scrittori, c’è nobiltà sia a intrattenere sia a far riflettere. Sul mio profilo Instagram, ho messo una frase tratta da un articolo spregiativo, “ravana in giallo fra tresche e amorazzi”. Chi l’ha detto ha ragione: è vero, ravano in giallo fra tresche e amorazzi e mi diverte moltissimo farlo».
Dei Tiktoker in classifica, come per la chick lit, i critici dicono che rovinano l’editoria. Che ne pensa?
«Quello che rovina l’editoria è la perdita di lettori».
Questi lettori, è la critica e il timore, non passeranno mai a leggere Marcel Proust.
«Sono giovani, è un modo per capire l’arricchimento che un libro porta nella vita. Poi, se non passano all’alta letteratura, è un “non problema”. Il problema c’è quando il numero dei lettori cala, mettendo in sofferenza tutta la filiera».
Il libro letto di recente che le è piaciuto di più?
«L’altra valle di Scott Alexander Howard, un romanzo distopico poetico sul primo amore, i viaggi temporali e su come le nostre scelte condizionano il futuro».
Quando sarà pubblicato l’ultimo libro nella storia dell’umanità?
«L’essere umano è l’unico animale che ha bisogno di storie e avremo sempre bisogno di storie su carta e di luoghi come le librerie. Se sopravviveremo fino ad allora, l’ultimo libro sarà pubblicato quando si spegnerà il sole».
 
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