La Stampa, 12 luglio 2024
Le domande giuste su Orban
Nel giro di una settimana, e senza dire niente a nessuno, Viktor Orbán è andato a trovare Vladimir Putin a Mosca, Xi Jinping a Pechino e Donald Trump a Mar-a-Lago. I vertici dell’Ue si sono molto inquietati fino a progettare la sottrazione a Orbán della presidenza del semestre europeo, appena assunta. Non gli va che il premier ungherese si presenti col pennacchio di Bruxelles a colloquio (o a confabulazione) coi nemici dichiarati o potenziali delle democrazie occidentali. Non hanno tutti i torti, ma qualcuno sì, e in particolare due e gravi. Primo, dovrebbero chiedersi come mai al capo di governo della cinquantaquattresima economia del mondo, appena suona, certi ceffi aprono, privilegio negato a qualsiasi altro leader d’Europa. Secondo, dovrebbero chiedersi non che intenzioni abbia Orbán da presidente del semestre europeo, ma perché lo sia diventato. Perché uno che ha dichiarato l’Unione europea una potenza imperialista di stampo sovietico, uno che l’ha dichiarata guerrafondaia, altroché Putin, proprio in quanto imperialista, uno che considera le democrazie occidentali malate, uno che ha teorizzato l’istituzione delle democrazie illiberali a sostituire le corrotte democrazie liberali, e l’ha istituita a casa sua, uno che reputa lo stato di diritto il totem dell’ipocrisia democratica, uno che sostiene la reintroduzione della pena morte, ecco, perché uno del genere, così ostile a tutto ciò che è fondante del nostro mondo, è ancora dentro l’Unione europea e dunque accede alle cariche più prestigiose garantite per turnazione? Chiedersi perché Orbán faccia Orbán, è una domanda sciocca e tardiva. —