La Stampa, 11 luglio 2024
L’avvocato Agnelli, Paolo Fresco e la svolta internazionale del ’99
Venticinque anni vissuti pericolosamente, venticinque anni per cambiare pelle. Dalle celebrazioni del centenario, il 1999, ad oggi, Fiat ha rischiato di dover chiudere o, in alternativa, di dover consegnare il comando alle banche creditrici. Nei momenti più bui è diventata concreta anche la possibilità della nazionalizzazione. Ma questo quarto di secolo è stato anche quello della trasformazione. Il baricentro si è spostato da Torino al mondo. Quella che si chiamava Fiat è diventata un’azienda globale, con sede legale in Olanda. Fa parte di un gruppo, Stellantis, che è il quarto produttore mondiale di automobili. Venticinque anni di transizione dall’azienda-stato del Novecento, quando la Fiat si identificava con l’Italia, all’azienda-mondo. Con le opportunità che offre e anche i timori a livello locale che questa trasformazione comporta.
I segnali del cambio di pelle sono stati diversi, racchiusi nel decennio che va dal 1998 al 2009. Il primo è la nomina di Paolo Fresco alla presidenza Fiat. Il 28 aprile 1998, concludendo al Lingotto l’assemblea che approva il bilancio 1997, Cesare Romiti passa il comando al manager della General Electric. Smentendo così le voci, circolate nei mesi precedenti, di un prolungamento di un altro anno del mandato di Romiti. Sarebbe stato un grave strappo nella liturgia Fiat. Era stato l’Avvocato a volere la regola dei 75 anni: i vertici del gruppo avrebbero dovuto lasciare l’incarico a quell’età: «Ci siamo dati delle regole. Noi parliamo di regole per seguirle». A chi gli chiedeva se per lui, l’Avvocato, non si sarebbe potuta fare un’eccezione, rispose: «Guai a quell’azienda dove esistono casi speciali». Così Gianni Agnelli aveva lasciato la presidenza nel 1996 proprio a Romiti. Come avrebbe potuto lo stesso Romiti violare la regola? Non poteva farlo nemmeno con il bilancio record che aveva fatto approvare in quell’aprile 1998: in un anno il fatturato era passato da 40 a 46 miliardi e gli utili erano raddoppiati, da 900 milioni a 1,8 miliardi. Ancora nel ’99 la Fiat aveva 231 mila dipendenti sparsi in 249 stabilimenti nel mondo: 122 mila dipendenti erano in Italia.
Perché affidare la guida dell’azienda a un manager italo-americano come Paolo Fresco, formatosi a Genova e salito rapidamente ai vertici di General Electric? La risposta l’avrebbe data lo stesso Avvocato il 9 marzo 1999 dedicando al nonno, Giovanni, fondatore della Fiat, l’auditorium del Lingotto. «Ci hanno detto tante volte che siamo diventati troppo grandi, troppo ingombranti. Ma sono cose che può dire solo chi non ha idea delle dimensioni della concorrenza con la quale ci misuriamo. La verità è che siamo ancora troppo piccoli, siamo semi-internazionali». Da tempo i vertici Fiat stavano lavorando per diventare meno piccoli. Prima cercando di acquistare la divisione auto della Volvo, poi finita alla Ford, poi valutando un’alleanza con Daimler: i tedeschi volevano però l’acquisizione di Fiat auto e non se ne fece nulla. Il fallimento di quest’ultimo tentativo porterà la casa di Mercedes a rilevare la Chrysler.
È un fatto che la frase dell’Avvocato all’Auditorium del Lingotto, oltre a spiegare la nomina di Fresco, traccia una linea, quella di diventare un’azienda globale, che è ancora oggi quella del gruppo. Perché cambiare se i bilanci erano tanto lusinghieri? Perché l’azienda aveva raggiunto il massimo che poteva dare il modello che aveva funzionato per tutto il Novecento. Una Fiat italocentrica non poteva ingrandirsi di più mentre i concorrenti nel mondo aumentavano fatturati e vendite ricavando somme notevoli per gli investimenti. Molti anni dopo Cesare Romiti contesterà questa lettura: «L’internazionalizzazione del gruppo l’ho iniziata io quando ero amministratore delegato, con gli investimenti in Sudamerica». Ma era l’avventura di un’azienda italiana nel mondo, non la strategia di un’azienda globale. Di fatto, nominando Fresco, su consiglio dell’amico Henry Kissinger, Gianni Agnelli mise il primo mattone di quell’azienda globale. E iniziò il riavvicinamento di Torino all’altra sponda dell’Atlantico, alla Detroit di Henry Ford che era stato un modello per il fondatore della Fiat.
Nella Lancia Kappa limousine che portava alla redazione della Stampa il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, l’11 luglio del 1999, l’Avvocato e il Presidente si raccontarono una Fiat che certo cercava nuove alleanze ma che godeva di buona salute. Chi era con loro su quell’auto racconta di un colloquio pacato, senza alcun accenno alle nubi che, di lì a poco, avrebbero gravato sulla società. In quei giorni il cielo di Torino era terso. La festa dei cento anni era stata divisa in due momenti: quello pubblico, una serata con centinaia di invitati il 21 giugno al Lingotto. E quello istituzionale, con la visita di Ciampi a Torino e il discorso dell’Avvocato all’Auditorium. La sera del 21 giugno Bruno Vespa aveva dedicato al centenario una puntata speciale di Porta a Porta. Nella Bolla sul tetto del Lingotto erano entrati, tra gli altri, l’amministratore delegato, Paolo Cantarella, i rappresentanti delle istituzioni cittadine e, all’ultimo momento, direttamente da Seul, era arrivata Evelina Christillin reduce dall’assegnazione a Torino delle Olimpiadi invernali.
L’annuncio di una nuova alleanza lo fa l’Avvocato in una intervista alla Stampa del 14 marzo 2000: «Entriamo in una grande confederazione come in un Commonwealth, come alleati e non come una colonia». Il giorno prima Paolo Fresco e il numero uno di Generale Motors, Richard Wagoner, avevano firmato l’atto di nascita della joint venture. Gm acquista il 20 per cento di Fiat auto in cambio del 5,15 per cento di azioni Gm in mano a Torino, che diventa così il primo azionista privato del colosso americano. Fiat ha diritto di vendere a Detroit il restante 80 per cento di Fiat auto entro il 2004 (data poi spostata al 2005). Gm non ha diritto di acquistare altre azioni di Fiat auto senza il consenso degli Agnelli. In quei giorni anche coloro che ritenevano salutare per Torino cedere il settore auto, pensarono che sarebbe bastato attendere quattro anni per veder realizzato l’auspicio. Ma in quei quattro anni sarebbe successo di tutto e il matrimonio con Gm si sarebbe trasformato nel suo contrario, uno dei divorzi più convenienti della storia. —