Corriere della Sera, 11 luglio 2024
Lo Zar prova a rompere l’assedio stretta sui rapporti con Cina e India
Da presente nessuno lo prese sul serio. Da assente, Vladimir Putin fa lo stesso sentire la sua voce al vertice Nato. Lo fa in tre modi: quello brutale dei missili contro l’ospedale dei bambini a Kiev; quello diplomatico del messaggio ai leader dell’Alleanza, affidato a Viktor Orban; quello geopolitico dell’abbraccio moscovita a Narendra Modi. I primi due sono reattivi, il terzo è una sfida all’Occidente. La Russia di Putin va oltre l’amicizia con la Cina per rivendicare un ruolo trainante nel Sud globale e nei Brics in via di allargamento. L’India è il tassello fondamentale.
In 75 anni il rapporto della Nato con Mosca è passato dalla guerra fredda, alla pace tiepida, alla guerra indiretta. L’ombra lunga della Russia si staglia su tutti i temi, espliciti o impliciti, nell’agenda del vertice e nella mente dei leader – come sostenere l’Ucraina, come difendere l’Europa da Est ma anche da Sud, come porsi di fronte alla Cina, quali sono le condizioni psicofisiche del Presidente Biden, cosa succederà all’Ucraina e all’Alleanza se Donald Trump vince a novembre. Il compito della Nato è di garantire la sicurezza dell’Europa e dell’Atlantico. Il principale fattore destabilizzante è la Russia che non si rassegna alla perdita dell’impero territoriale, zarista poi sovietico. L’invasione dell’Ucraina è la punta dell’iceberg di una questione russa che agiterà l’Europa fino a che la Russia non accetterà di essere uno Stato nazione territorialmente enorme ma come gli altri – o avrà ricostituito con la forza la sfera imperiale. Tertium non datur.
Ci fu una questione ottomana, oggi c’è una questione russa. Tra le tante differenze – oggi lo scenario globale interseca le altre dinamiche mondiali a cominciare dalla competizione fra Usa e Cina e dall’emergenza del Sud globale – c’è proprio l’esistenza di un’alleanza strutturata, la Nato, alla quale è affidato il mantenimento di stabilità e pace nello spazio euro-atlantico. La Nato dovrà convivere a lungo con la questione russa. Idealmente questo avverrebbe in un quadro negoziale. Era l’idea guida delle varie formule di collaborazione culminate nella triplice stretta di mano Berlusconi-Putin-GW Bush a Pratica di Mare. Quell’architettura è definitivamente crollata nel 2014 con l’annessione della Crimea e la prima invasione russa dell’Ucraina, per motivi totalmente estranei alla Nato – il pomo della discordia era l’accordo di associazione di Kiev all’Ue. Da allora, nei vertici Nato, la questione russa è diventata impellente, ma la Russia è la grande assente.
Non rinuncia però a far sentire la sua voce, con un misto di violenza cieca nella guerra contro Kiev e di articolata diplomazia. Colpire con missili un ospedale nella capitale può essere stato un errore nello specifico bersaglio, non nel prendere di mira aree residenziali civili senza alcuna valenza strategica. Mosca lo fa periodicamente nel corso della guerra. È un modo per intimidire la popolazione ucraina, per segnalare determinazione nella guerra a chi sostiene l’Ucraina e per ovviare con la brutalità contro civili allo stallo sul fronte militare – l’arrivo degli aiuti militari americani ed europei ha infatti fermato i microscopici avanzamenti russi.
Putin si è affidato innanzitutto al fedele Viktor Orban, ormai promosso al ruolo di portavoce ufficioso del Cremlino (e di Pechino per questioni commerciali come i dazi Ue sulle auto elettriche cinesi). Latore di un’iniziativa di pace per la quale non ha alcun mandato, il Primo Ministro ungherese ha fatto eco alle posizioni russe al vertice così come con gli omologhi europei in veste di presidente Ue per il secondo semestre dell’anno. Nessuno gli dà retta ma intorbidisce le acque. Se tira troppo la corda l’Ue potrebbe far scattare le procedure per togliergli anticipatamente la presidenza. Altrimenti, sei mesi passano presto.
È con la visita di Narendra Modi a Mosca che il Presidente russo segna un grosso punto a suo favore. Per più di un motivo. Continua a rompere l’isolamento internazionale. Rinverdisce un vecchio legame bilaterale che in questa fase ha un’importante valenza economica per Mosca; l’India compensa la perdita dei mercati europei per carbone, petrolio e gas. Rafforza la sua posizione nella galassia dei “neutrali” sulla guerra ucraina. Si mette su un piede di relativa parità diplomatica con la Cina, consolidando l’effetto della visita in Vietnam. Il risultato è tanto più significativo in quanto l’India è da tempo assiduamente corteggiata da Washington. Ma Modi sta al gioco americano nel contenimento della Cina non su questioni nelle quali ritiene che l’interesse nazionale indiano sia diverso dalle posizioni Usa e europee. Ed è ormai abbastanza chiaro che questo atteggiamento sull’Ucraina sia condiviso da molti Paesi del Sud globale. Facciamocene una ragione: non cambierà.
Quando ancora partecipava ai vertici Nato, Vladimir Putin disse «guardate, siamo noi che abbiamo dato la Crimea all’Ucraina». Eravamo a Bucarest, marzo 2008. C’erano un paio di centinaia di persone in sala. Nessuno lo prese sul serio.
Oggi ignorarne la voce è impossibile e pericoloso. Pur se parla da lontano. —