Corriere della Sera, 11 luglio 2024
Intervista a Rita Pavone
Se Rita nella vita di tutti i giorni è timida, sul palco «appare la Pavone». La cantante scinde in due il suo rapporto con la timidezza, tema che accompagna l’edizione di quest’anno della Milanesiana, di cui è ospite stasera all’isola di Albarella (Rovigo) e il 27 a Livigno, tra musica e parole.
Il suo concerto si intitola «Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro». Se guarda indietro?
«Vedo cose bellissime accadute come in una favola. Ero una ragazzina che improvvisamente ha scoperto il mondo. Ma la mia formula è sempre stata quella di guardare dritto e non sentirmi mai arrivata. Così capisci anche le cose che non puoi più fare, ad esempio a quasi 79 anni trovo assurdo cantare “Viva la pappa col pomodoro”, quindi non la faccio più. Ci sono altre cose per cui invece mi metto in gioco e voglio vedere fino a quando alzare l’asticella».
Di cosa va più orgogliosa?
«Di aver girato il mondo e aver lavorato in programmi con nomi grandiosi come Barbra Streisand o i Beach Boys. Gente importante, soprattutto rispetto a una ragazzina figlia di un operaio Fiat e di una casalinga».
Il suo successo all’estero fu incredibile.
«Sono entrata in classifiche importanti, ho fatto quattro Lp negli Stati Uniti, ho avuto successo in Brasile, in Inghilterra, anche a Cuba. E allora non c’erano i social, quindi non arrivava neanche la notizia. Ora ogni cosina che fai la sanno tutti».
Quali sono stati gli incontri più emozionanti?
«Ho foto con tutti: Tony Bennett, Paul Anka, le Supremes. E poi ho conosciuto Elvis: era bellissimo e anche simpatico, un giovane uomo alla mano. Nel ‘65 mi trovavo a Nashville a incidere un Lp e ho saputo che arrivava. Lui mi conosceva già perché mi aveva vista all’Ed Sullivan Show».
Sessant’anni fa usciva «Non è facile avere 18 anni»: cosa rappresenta per lei?
«È l’album della mia crescita. Avevo capito che se avessi continuato con brani come “Sul cucuzzolo” o “Il ballo del mattone” non avrei combinato nulla. Quindi ci fu la prima crepa con la Rca. Mi trovai tutti contro tranne mio marito, che poi all’epoca era il signor Ferruccio, cioè Teddy Reno, il mio manager. Poi l’album rimase in classifica 15 settimane, una soddisfazione».
Aveva ragione lei.
«Dico sempre alle nuove generazioni di non farsi incatenare. Un tormentone funziona, ma è importante sentire canzoni che rimangono, non si può vivere solo di cose che durano un’estate».
Lei non accetterebbe un «feat» in un tormentone?
«Io non li farei mai, non mi interessano. Sono divertenti, ma non fanno parte del mio istinto vocale e musicale».
In «Gemma e le altre», suo disco dell’89, c’è anche un brano su un amore fra donne. Come mai?
«Ho sempre preceduto gli eventi. Bisogna parlare della vita per quello che è e ho voluto raccontare storie di donne, fra cui questa che però ha una fine molto drammatica. Non è giusto, ognuno deve poter amare chi ha voglia di amare. Però io detesto tutte le ostentazioni che sviliscono l’amore, quando vedo i sederi all’aria al gay pride non mi piace».
Il Pride fa parte della battaglia per i diritti.
«Può darsi, ma io sono una boomer e la mia educazione sentimentale era molto diversa. Sono arrivata illibata al matrimonio e so che i miei figli ridono, ma i tempi erano altri. Oggi è diverso e va bene, però nessuno critichi me».
Il suo matrimonio con Teddy Reno, più grande e già sposato, fu osteggiato. Invece dura da 56 anni.
«Lui ha 98 anni, è un po’ confuso, ma le cose vanno bene. Quando ci siamo incontrati era un uomo con una giovane donna, è vero, ma ci siamo sempre capiti in tutto, solo con gli sguardi. Mi dissero “durerà lo spazio di una canzone”, invece è un melodramma, non finisce mai».
Anche suo padre era contrario.
«Fu duro fino alla fine, ma cambiò idea col nostro primo figlio. Un giorno mi disse “mi sa che ho sbagliato alla grande con voi”. Abbiamo avuto il mondo contro come se stessimo rubando, invece il nostro è stato un bell’incontro».
Nel 2006 si ritirò dalle scene, come mai ci ripensò?
«Avevo subito un’operazione con due bypass all’aorta che mi aveva spaventato moltissimo. Rimasi intubata per sette giorni, la voce aveva problemi e non mi riconoscevo più. Se sono tornata è “colpa” di Renato Zero che mi ha invitata a cantare per i suoi 60 anni. Mi ha detto “è come andare in bici” e in effetti la voce era tornata. Lì ho capito che cantare mi piaceva ancora, mi sono autoprodotta un album e sono rientrata in classifica».
Ha qualche rimpianto?
«L’unico è che a 18 anni avrei voluto rimanere negli Stati Uniti per imparare meglio come lavorano lì, ma i miei decisero diversamente».
Si è tolta qualche sfizio?
«Mi sono regalata la Jaguar rosa, come tutte le persone piccole, volevo la macchina grande. Ma è stato l’unico, per il resto vivo tranquillamente. Però sono stata ovunque, mi manca solo il Giappone».
Come mai?
«Per due volte, prima di andarci, sono caduta facendomi male. Forse non è per me».