la Repubblica, 11 luglio 2024
Il partito Usa e il partito russo
Esiste un “partito russo” in Italia? E un “partito americano”? La definizione semplifica e magari rende banale un contrasto i cui contorni cominciano a essere visibili. Non riguardano solo l’Italia, come è logico, ma da noi acquistano un particolare rilievo a causa della maggioranza di destra che ha vinto le elezioni nel ’22 e da allora governa con risultati altalenanti. In tale quadro la politica estera acquista una centralità che un tempo si considerava acquisita e adesso va riconquistata, in un certo senso, giorno dopo giorno.
Fino a qualche anno fa, le scelte dell’Italia sembravano scontate: Alleanza Atlantica e Unione Europea come architravi. Le critiche a questo assetto erano marginali. La guerra russa in Ucraina ha cambiato le regole del gioco. È riemerso non solo e non tanto uno stato d’animo filo-russo, quanto soprattutto anti-americano e anti-occidentale. Il conflitto a Gaza conseguente al 7 ottobre ha rinforzato questi sentimenti. In entrambi i casi, Ucraina e Medio Oriente hanno sollecitato paure e inquietudini in una parte non piccola dell’opinione pubblica. Si è così sviluppato il cosiddetto “pacifismo” trasversale, fondato sul rifiuto della solidarietà all’Ucraina in nome di una pulsione elementare: vale a dire, “che c’entriamo noi con Zelensky, si arrangi da solo oppure si arrenda agli invasori”.
Fallito alle elezioni europee nella sua versione più esplicita e grossolana (la lista di Michele Santoro), il partito russo o anti-americano prende forma adesso con i Patrioti, ormai terzo gruppo al Parlamento europeo. Il leader è di fatto l’ungherese Orbán, ma l’animatore è Salvini che vede finalmente uno strumento da usare in politica interna contro la sua rivale di Palazzo Chigi. E fin qui il quadro è chiaro.
Ma c’è un altro tassello che non si può ignorare. Al vertice Nato per i 75 anni dell’Alleanza Giorgia Meloni ha interpretato la linea più ortodossa. Tutti hanno condannato l’orrendo bombardamento dell’ospedale pediatrico di Kiev, ma la premier italiana ha usato i toni più perentori. Il suo messaggio a Biden e all’amministrazione americana è stato chiaro: nel momento più difficile della guerra, l’Italia vuole essere un fattore di massima coesione per la Nato. E se Biden se la sente di andare avanti, la Meloni sarà al suo fianco. Lo dimostra soprattutto lo zelo con cui la premier ha aderito al programma di aumento delle spese militari dell’Alleanza, un punto prioritario per la Casa Bianca.
La presidente del Consiglio aveva un problema immediato: rassicurare gli Stati Uniti rispetto alle posizioni filo-Putin di un Salvini, dimostrare che non stanno minando la stabilità occidentale dell’Italia.
In questo la premier ha trovato – e nessuno ne dubitava – un alleato nel ministro degli Esteri, Tajani. Tuttavia la questione non è risolta una volta per tutte. Richiede un chiarimento all’interno del nostro esecutivo. La divaricazione è destinata a crescere, anche se il “patriota” leghista ha tutto l’interesse a trasformarla in azioni di guerriglia per logorare ai fianchi la Meloni senza provocare la caduta del governo.
Ragion di più perché lei non si faccia imbrigliare fino a ritrovarsi sulla difensiva.
A Washington è in un certo senso rinato il “partito americano”, vecchia tradizione italiana. È inevitabile che si contrapponga al nuovo “partito russo”. E la prima ricaduta in Europa sarà il 18 luglio, quando si dovrà votare Ursula von der Leyen come presidente della Commissione. I passi avanti di Giorgia Meloni, l’aver retto alla sfida dei filo-russi, dovrebbero portare a un voto favorevole dell’Italia. Altrimenti sarebbe una vittoria di Salvini.