Corriere della Sera, 10 luglio 2024
Intervista a Lino Banfi
In pratica ha un doppio compleanno.
«Sono nato il 9 luglio, a casa con la levatrice, però mi hanno registrato l’11, si usava così. E quindi festeggio due giorni, come i principi», scherza Lino Banfi, che domani ne compie 88.
Tondi tondi.
«Ottantotto, è lungo pure da dire. Ormai non sto più nella terza età, ma nella quarta. Non mi aspettavo di arrivarci, sono oltre i tempi supplementari, pronto ai rigori a oltranza».
In forma.
«Mi chiedono: “Come fai ad avere la pelle così liscia?”. L’altroieri parlavo con l’amico mio Renzo Arbore, meravigliato. “Ti ricordi tutto, beato te”. Mi alleno, so a memoria anche il codice fiscale».
Che regalo vorrebbe?
«Uno già lo so. Mia nipote Virginia, la figlia di Rosanna, aspetta una bambina. Tra qualche mese divento bisnonno!».
Il bisnonno d’Italia. E poi, che sorpresa le piacerebbe?
«Magari una telefonata da qualcuno che non mi aspetto. Da un pezzo grosso».
Dal Papa?
«Perché no? Ci spero. Di sicuro mi scriverà un messaggio. La nostra amicizia, con garbo, sta diventando sempre più stretta. Quando vado a trovarlo è contento, con me si diverte e ne ha bisogno, mica è facile fare il Santo Padre».
Vi fate belle chiacchierate.
«Sì. Lui mi da del tu, ma ancora non riesce a chiamarmi solo Lino. Io gli do del lei, del voi, come viene. Un giorno mi piacerebbe potergli dire: “Mio chero Francesco”».
Magari ci arriverà presto.
«Ho la faccia tosta. Una volta gli raccontavo dei piatti tipici pugliesi che cuciniamo alla mia Orecchietteria – anche papa Ratzinger ordinava da noi – e gli ho chiesto: “Santità, la conosce la pasta alla Puttanesca?”. Ha risposto di sì. “Ecco, noi qui la chiamiamo alla Porca puttena”. Francesco è scoppiato a ridere così forte che saltava sulla sedia».
Le vuole bene.
«Una delle ultime volte che ci siamo visti mi ha tenuto la mano, mentre parlavo. C’era Renato Zero che ci guardava con gli occhi spalancati».
Ci credo.
«Nella vita sono stato fortunato, non ho bisogno di regali. Ma sono contento che la gente si ricordi di me. Sulla mia lapide, quando sarà, ci voglio scrivere: “Se proprio ti va, dammela una lacrimuccia, però sorridi”».
Si aspetta una chiamata an che da Giorgia Meloni?
«Magari succedesse, mi farebbe piacere. L’ho vista al Quirinale per la Festa della Repubblica – sa, sono Cavaliere di Gran Croce – e le ho fatto questa battuta: “Presidente, visto che non è andata bene la via della Seta con i cinesi, perché non prova la via del Lino con me?».
Il film cult
Nella scena finale de «L’allenatore nel pallone» mi avevano davvero schiacciato le parti basse. E io inventai: mi avete preso per un c...
Impegnatissimo e ricercatissimo. Ha girato uno spot contro le truffe agli anziani.
«Sì, con i carabinieri».
A lei è mai successo di essere raggirato?
«No. Però mi è capitato che due rapinatori mi puntassero la pistola alla fronte per rubarmi il Rolex che avevo messo per accompagnare mia nipote a un evento. Avranno visto le foto sui social. E mi aspettavano davanti all’ascensore. “Banfi, dammi l’orologio”. Temevo che volessero salire in casa con la forza ed ho pure pensato di dargli una testata sulla faccia, ma per fortuna se ne sono andati».
Comunque sta attento.
«Eh, però a me è difficile fregarmi. In tempo di guerra, per poter mangiare qualcosa, ho venduto orologi falsi ai napoletani».
Ma dai.
«La fame era tanta, ero campione italiano del salto del pasto. Con la compagnia di varietà si lavorava poco, un tizio che conoscevo, lui sì, un truffatore di razza, mi propose di fargli da spalla».
Come?
«Ci vestimmo da ufficiali della Marina americana. “Ma io non parlo una parola d’inglese”, protestai. E lui: “Non importa. Quando ti faccio segno, tu piangi e ripeti soltanto: I remember my mother (ricordo mia madre)”. Ci siamo messi al centro di Napoli e abbiamo finto che ci avessero rubato il portafoglio. “Dobbiamo tornare alla base, aiutateci”, singhiozzavamo».
Qualcuno abboccava.
«E il compare gli proponeva di comprare il mio Rolex per 10, 20 mila lire. Al segnale, scoppiavo a piangere, fingendo di non volermi separare dal ricordo della mia cara mamma. Ma poi cedevo. Ovviamente il Rolex era falso».
Girerà un docufilm autobiografico per la Rai.
«Ci sono due personaggi, Pasquale Zagaria e Lino Banfi, che bisticciano tra loro, tra racconti, ricordi e interviste a politici e pure intellettuali».
Forse diventa dottore.
«L’università La Sapienza vorrebbe darmi la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione».
E un eroe dei cartoni, come Topolino.
«Stanno preparando un libro sulla mia vita a fumetti. E la Treccani vorrebbe pubblicare un piccolo dizionario con le mie frasi celebri. Da “Ti spezzo la noce del capocollo” a “Una parola è troppa e due sono poche”. Mi dicono che, nel mondo politico, quando c’è una riunione e qualcuno dice una fesseria, molti ripetono il “Condinui, condinui” del commissario Auricchio».
Ricorre un altro compleanno: i 40 anni de «L’allenatore nel pallone», girato nel’estate del 1984.
«Il famoso finale del film l’ho inventato io sul momento. Il regista Sergio Martino l’aveva pensato più corto, con il presidente della Longobarda che mi dice: “Lei è un disoccupato, lo sa?” E io, Oronzo Canà, ribatto: “E lei è un cornuto, lo sa?”».
E già così era cult.
Quarta età
Il mio amico Renzo Arbore mi dice meravigliato: «Ricordi tutto, beato te» Mi alleno, so a memoria anche il codice fiscale
«Ma aveva avvisato il suo aiuto: “Se Lino ci aggiunge battute che non sono previste, voi andate avanti, lasciatelo fare”. E così è successo. Quando i due gemelloni mi sollevarono di peso e mi facevano saltare in aria, mi avevano davvero schiacciato le parti basse. E di getto inventai: “Mi avete preso per un cogl...e!”. “Ma no sei un eroe!”. “Aah, mi avete preso per un cogl...e!”. “Ma no sei un eroe!”. “Mi avete preso per un cogl...e! Sotto la meno, mi fa male!”».