il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2024
Kafka, Nietzsche e Gadda: i tre alieni al mondo ordinario
Gli incontri che mi hanno cambiato la vita sono stati quelli con tre morti: Franz Kafka, Carlo Emilio Gadda e Friedrich Nietzsche. Tutti e tre erano scapoli, solitari, valetudinari, afflitti da acciacchi o malattie gravissime, ma sopra a ogni cosa incapaci di vivere secondo le regole socialmente accettate; dei reietti, che pure hanno lasciato nel mondo il segno imperituro del loro passaggio.
Di Kafka lessi La metamorfosi a scuola, senza poterne apprezzare appieno, per anagrafica limitazione, la vertiginosa, totalizzante bellezza. Ma la storia del tizio trasformatosi in insetto destandosi da sogni inquieti mi attirava: avvertivo un campo di forze, un’emicrania del testo che in seguito imparai a riconoscere quale marchio inconfondibile di Kafka. Lettera al padre mi esaltò e mi raccapricciò (ancora mi vibra la dura madre quando Kafka dice al padre: “In me c’è un fondo kafkiano, ma tu sei un vero Kafka”).
Nietzsche l’ho incontrato a 14 anni. Zarathustra mi ha salvato la vita tenera sotto i colpi del mondo ostile: la vicenda sapienziale di questo selvatico antiprofeta era un’alternativa più convincente e ironica al Vangelo del catechismo, come del resto, saprò poi, nei progetti dello stesso Nietzsche.
Gadda è apparso in una nebbia aurorale (così a T. S. Eliot appare all’alba il fantasma di Dante nei Quattro quartetti): La cognizione del dolore, inducendomi al pianto e al riso nella medesima pagina, mi portò sulla vetta delle più alte emozioni intellettuali.
Se la nevrosi è il dolore non superato, cioè l’impossibilità di fare esperienza del dolore senza che questo si cristallizzi in angoscia, tutti e tre sono stati dei nevrotici. Gadda era anche ansioso e psicastenico; Nietzsche era un “torturatore di sé stesso”: tra il 1880 e il 1889 visse anni angosciosi, fecondi e febbrili che sfoceranno nel collasso psichico di Torino, a cui seguirà il ricovero presso l’ospedale psichiatrico di Jena per “demenza paralitica”; Kafka conteneva moltitudini: la sua condizione è ultra-clinica.
Più ancora che nelle opere, lo spirito di costoro rifulge negli epistolari, dove si è depositata la polvere del loro essere stati.
In una lettera che scrive a Lou Salomé e a Paul Rée da Rapallo del 20 dicembre 1882, dopo la grave delusione che i due gli avevano procurato (la giovane russa aveva alluso in presenza di altri a intenzioni poco commendevoli di Nietzsche nei suoi confronti, e Rée, che gliel’aveva presentata ad aprile dentro la Basilica di San Pietro, aveva avvalorato l’accusa), Nietzsche si esprime così: “Non si preoccupi troppo dei miei accessi di megalomania o di vanità ferita: e perfino se un giorno, per via delle suddette passioni, capitasse che mi togliessi la vita, non ci sarebbe troppo da dolersene. Cosa importa a voi, intendo a Lei e a Lou, delle mie fantasticherie! Pensate pure, voi due, che in fin dei conti io sono un semi-alienato afflitto da emicranie, cui la solitudine ha del tutto sconvolto il cervello. Arrivo a questa, che considero una valutazione ragionevole della situazione, dopo aver preso per disperazione una dose enorme di oppio”.
Gadda, invece, era totalmente nevrotico. Le controprove letterarie: enumerazioni ossessive, elenchi, temi concentrici, spirali sintattiche, scale lessicali e dirupi anticlimatici; quelle biografiche, le offrono le lettere dell’Archivio Liberati pubblicate da Adelphi.
Nelle lettere a Citati (Gadda numerava i fogli e scriveva l’indirizzo quattro volte tra intestazione, firma, involucro anteriore e posteriore; poi chiedeva ripetutamente se erano arrivate le lettere precedenti sottoponendo il destinatario a prove e controprove) si definisce “molto stanco, e spiritualmente disperato”: “I tràumi, i ricordi, le orribili pene dell’animo sempre taciute e chiuse hanno ormai acquistato un carattere ossessivo e si chiamano disperazione, specie nelle ore del ‘rilasciamento’, cioè del sonno-dormiveglia-sogno-incubo”.
Il Super-io (materno o paterno) di questi grandi ossessivi è talmente severo che non sopportano nemmeno la propria immagine riflessa. Kafka non possedeva specchi, e una volta vedendosi riflesso per caso giudicò la sua figura bruttissima, per poi trovarla, anni dopo, bellissima.
L’ossessivo è avaro (lo erano Kafka e Gadda; Nietzsche viveva grazie a una misera pensione dell’Università di Basilea) e non per mancanza di generosità, ma perché non riconosce al denaro il suo valore strumentale, né quello di poter essere accumulato: è un oggetto come gli altri legato al suo sistema rituale e a una quotidianità alterata e minacciosa. Arrossisce spesso (Gadda arrossisce pure per lettera).
Erano alieni al mondo ordinario. Milena Jesenská, traduttrice di Kafka dal tedesco al ceco e sua amante-corrispondente, scrive a Max Brod parlando di lui: “Non riesce a capire le cose più semplici di questo mondo… È stato qualche volta con lui all’ufficio postale? Quando stende un telegramma scotendo il capo cerca uno sportello che gli piaccia più degli altri… quando paga e riceve il resto in spiccioli conta ciò che ha ricevuto, vede che gli hanno dato una corona di troppo e la restituisce alla signorina dello sportello. Poi s’allontana… conta ancora una volta e sceso all’ultimo gradino s’accorge che la corona restituita era sua… S’appoggia ora su una gamba ora sull’altra e pensa al da farsi. Tornare indietro è difficile, lassù c’è un mucchio di gente. ‘Allora lascia correre’, dico io. Lui mi guarda atterrito. Come si fa a lasciar correre? Una volta diede due corone a una mendica e ne voleva una di resto. Quella disse che non aveva niente. Siamo stati là due minuti a riflettere come si potesse fare. A me venne l’idea che poteva lasciargliele tutte e due. Ma divenne di pessimo umore… È assolutamente incapace di mentire come è incapace di ubriacarsi. È senza il minimo rifugio, senza ricovero. Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. È come un individuo nudo tra individui vestiti”.
Tutti e tre sono stati toccati dal demone, che ha donato loro un’eccezionale chiaroveggenza di nervi; inventori di una lingua nuova, creatori di universi, erano in vita esseri indifesi, puri.