la Repubblica, 10 luglio 2024
Sei matrimoni e troppi funerali alla corte del re
«Certe storie sono destinate a essere raccontate di nuovo», diceva la compianta Hilary Mantel, «anzi, ci costringono a farlo». E allora riviviamo, rileggiamo e riscopriamo le vite di queste sei donne, ognuna in qualche modo straordinaria. Ovvero le sei mogli di Enrico VIII, vorace come Crono con i figli. Due mandate al patibolo della Torre di Londra, Anna Bolena e Catherine Howard, e quasi cancellate dalla storiografia ufficiale. Tre respinte dopo le nozze, Caterina d’Aragona, Anna di Clèves e la sesta consorte riluttante Catherine Parr, queste ultime le uniche due sopravvissute all’imponente marito e monarca inglese che ci accoglie in questa mostra con la sua celeberrima e tronfia posa del ritratto di Hans Holbein il Giovane. E poi Jane Seymour, ex damigella di Anna Bolena, terza sposa e l’unica adorata da Enrico VIII perché «osservante e servizievole», sepolta insieme a lui nel maestoso Hampton Palace fuori Londra e morta pochi giorni dopo aver dato alla luce il futuro Edoardo VI d’Inghilterra: unico figlio maschio e legittimo sopravvissuto del re, che morirà a 15 anni dopo esser salito sul trono a 9.
Ma questa mostra non è sul controverso Henry VIII, padre dello scisma dalla Chiesa cattolica nel 1534 e fondatore della Church of England, le cui conseguenze sono tuttora vivide, dal ruolo di re Carlo alle rovine della cattedrale di Whitby. Six Lives: the Stories of Henry VIII’s Queens, alla National Portrait Gallery di Londra fino all’8 settembre, è un possente tributo a queste sei donne, che va oltre l’agiografia e intreccia le loro esistenze attraverso quadri, ritratti misteriosi, costumi di elastan e vinile, armature, gioielli, prodigiosi pendant, lettere, bibbie, eccelse miniature, e appunti, scene del mesmerizzante film espressionista Anne Boylendi Ernst Lubitsch, arazzi, ritratti tormentati dell’“utopico” Thomas More (o Tommaso Moro, come vi piace), giustiziato per la sua opposizione allo scisma e alla vita “vivace” del re. Regine di cuori, dolori e sospiri. Sembra la sceneggiatura di The Crown.O un «implausibile melodramma», secondo la curatrice Charlotte Bolland.
A ogni donna, nella mostra, viene data una definizione da scoprire. Poi, superato l’iconicoe massiccio ritratto del sanguinario re, ecco la prima rilevante cerchia di opere: le fotografie delle statue di cera Madame Tussaud delle sei Queen, immortalate dal 76enne giapponese Hiroshi Sugimoto. Scatti in bianco e nero che tuttavia appiccano vita pulsante alle immagini delle donne. E in ognuna spunta un sopraffino dettaglio: il ciondolo con la lettera “B” di Anna Bolena mentre suona il liuto, simbolo del tradimento. Oil pendant di diamanti condiviso da Catherine Howard e Jane Seymour. A dimostrazione che le consorti del sovrano si tramandavano anche i loro preziosi, insieme a lussi, dolori e drammi della casata dei Tudor.
Ma questa è solo la premessa. Perché, subito dopo, ci sono sei stanze dedicate ad ognuna di queste regine consorti. Che ci offrono il contesto della loro esistenza, ma soprattutto ci fanno viaggiare nelle loro vite, passioni e tragedie. Si inizia con Caterina D’Aragona, definita dalla mostra humble and loyal, umile e fedele. Nata nel 1485 ad Alcalá de Henares e a 24 anni prima sposa di Enrico VIII: diplomatica, leader militare, devota cattolica, due aborti e un neonato morto nemmeno dopo un mese, Henry, rimane fedele al marito. Anche quando Enrico (che poco dopo avrà il figlio illegittimo Henry Fitzroy dall’amante Elizabeth Blount) chiede il divorzio, che lei combatte strenuamente. Sarà sconfitta, il connubio viene sciolto nel 1533 e Caterina muore tre anni dopo.
Prima però dà alla luce Mary, ossia la futura e sanguinaria Maria I Tudor, detta anche “Bloody Mary”, per aver fatto giustiziare almeno trecento oppositori religiosi. Tra questi Thomas Cranmer, l’Arcivescovo di Canterbury (qui amabilmente ritratto da Gerlach Flicke), che tra le altre cose aveva annullato i matrimoni del re con Caterina, Anna Bolena e la quarta moglie, la tedesca Anna di Clèves. Di quest’ultima, nata in una famiglia a capo di un ducato strategico sul fiume Reno, sposata, sfruttata e scartata da Henry dopo aver stretto un’alleanza contro la Francia e il Sacro Romano Impero, la mostra vanta le sue carte da gioco parigine e il meticoloso dipinto di Edgar Degas, ispirato a quello di Holbein al Louvre.
Ma, a proposito di Anna Bolena, seconda moglie del re, che la rassegna definisce «la più felice» e include un meraviglioso ritratto di fine XVI secolo, oltre al liuto galeotto. Nata nel 1501, cresciuta nelle corti francesi, la dichiarazione d’amore di Enrico VIII «Declare I dare not», il matrimonio nel 1533 dopo il rifiuto di lei a essere una semplice amante. Subito dopo la nascita della loro figlia, che diventerà la regina Elisabetta I, ultima monarca dei Tudor. Poi due aborti, un altro neonato nato morto, le accuse di tradimento con un musicista di corte e infine l’esecuzione nella Torre di Londra nel 1536. Lo stesso capiterà anche a Catherine Howard, quinta moglie del sovrano sposata il 28 luglio 1540, il giorno della decapitazione di Thomas Cromwell (per ilfallimento della precedente unione con Anna di Clèves), e regina consorte per soli sei anni, ufficialmente a causa di presunti tradimenti e vittima di una faida a corte. Di lei, dopo la censura ufficiale, qui rimane un raro miniritratto su un anello, probabilmente di Holbein. Vestiti eleganti e curati, i gioielli. Sì, non c’è dubbio: è lei. Come l’elegantissima Catherine Parr, che almeno riuscì a sposare l’amato Thomas Seymour (fratello della terza moglie del re, Jane Seymour) dopo la morte di Enrico VIII e di cui riammiriamo lo splendore nei dipinti di ignoti artisti della mostra. Che, tra l’altro, include anche i libretti di Petrarca, custoditi da Parr. E «s’amor non è, che dunque è quel ch’io sento?», direbbe il poeta.