Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 09 Martedì calendario

IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - SE NE VA BRUNO ZANIN, 73 ANNI, IL TITTA DI “AMARCORD” DI FEDERICO FELLINI. NEL BENE E NEL MALE, VISSE PER ANNI ALL’OMBRA DI TITTA, PORTANDOSELO DIETRO COME UN FRATELLO MAGGIORE O MINORE. SE PENSIAMO A LUI ANCORA LO VEDIAMO MOLESTATO DALLA GIGANTESCA TABACCAIONA DI MARIA ANTONIETTA BELUZZI. LUI, CHE PER GRAN PARTE DELLA VITA SCONTÒ IL PESO DI BEN ALTRE MOLESTIE, PURTROPPO VERE, QUANDO AVEVA 13 ANNI E STAVA DAI SALESIANI PER DIVENTARE PRETE… - VIDEO -

Se ne va Bruno Zanin, 73 anni, il Titta di “Amarcord” di Federico Fellini. Per sempre legato sullo schermo a quel ruolo, anche se ci arrivò un po’ per caso. Come era il Titta per Fellini? “Un bel ragazzotto troppo ingenuo per essere completamente creduto tale”, risponde per lui Oreste Del Buono.

“Ma la sua pervicace, vistosa, ostentata salute affonda nella melma del borgo, la fanghiglia tenace, irriducibile della terra natale. Una terra così italiana, in cui dominano, al solito, i briganti e i preti e in cui un ragazzo del tipo di Titta non può essere educato, ma, al massimo maleducato. Briganti e preti, fascisti e cattolici, non permettono alla luce di emergere mai ad asciugare la fanghiglia, la cancellano con il loro nero e comunque la sconciano di un grigio peggiore forse del nero, il grigio della coscienza sporca”.

In qualche modo la fanghiglia del personaggio di Titta, Zanin se la portò dietro a lungo nella sua vita, così poco pacificata. E anche se Felini gli voleva davvero bene, lo dimostrò aiutandolo più volte nei momenti di difficoltà, nel bene e nel male Zanin visse per anni all’ombra di Titta. Portandoselo dietro come un fratello maggiore o minore. Comunque inevitabile. Forse solo a teatro, con Luca Ronconi con Marco Sciaccaluga allo Stabile di Genova, Zanin riuscì a uscir fuori dalla grande ombra felliniana.

Ma se pensiamo a lui ancora lo vediamo molestato dalla gigantesca tabaccaiona di Maria Antonietta Beluzzi, quasi soffocato dal suo petto. Lui, che per gran parte della vita scontò il peso di ben altre molestie, purtroppo vere, quando aveva solo 13 anni e stava dai salesiani per diventare prete. Un dramma che si porterà inevitabilmente con sé e che solo scrivendone, in un libro autobiografico, “Nessuno dovrà sapere”, riuscirà in parte a superare. Nato a Vigonovo, Venezia, sesto di sette figli, finisce dai salesiani. Ma non si farà prete. Dopo una serie di molestie subite, decise di andarsene. E iniziò a vivere come gli pareva in giro per il mondo.

Fece vari mestieri. Ma quando lo vide Fellini a Cinecittà, dove era andato per accompagnare un amico, figlio di una agente di bambini, scoprì che era perfetto per il ruolo del protagonista, Titta, ragazzo quasi adulto che tutto osserva e si apre alla vita. Il cinema italiano negli anni ’70, come riprese altri attori di “Amarcord”, dal padre di Armando Brancia a Alvaro Vitali, cercò di fargli fare qualcosa di simile. Nando Cicero pensò a lui, oltre a Alvaro Vitali, per chiudere il cast dei ragazzi di “L’insegnante” con Edwige Fenech. Non lo fece.

Ma lo troviamo in “La prova d’amore” di Tiziano Longo con Ely Galleani, François Prevost, Adriana Asti, dove è il ragazzo che cade tra le braccia della più matura Adriana Asti. Lo troviamo in un ruolo simile nel più interessante “La prima volta sull’erba” di Gianluigi Calderoni, con Anne Heywood, Claudio Cassinelli, Mark Lester e “La padrona è servita”, commedia erotica diretta da Mario Lanfranchi con Senta Berger e Maurizio Arena, dove è ancora il ragazzino da svezzare per la bella zia.

Oltre alla commedia sexy frequentò anche l’altro genere di gran moda allora, il poliziottesco, “Un uomo, una città” di Romolo Guerrieri con Enrico Maria Salerno, Françoise Fabian, “La polizia ha le mani legate”. Diventando adulto, riesce a staccarsi dal ruolo del ragazzino concupite dalle signore più grandi, ha due figli, fa del buon teatro, lo vediamo recitare in veneziano Goldoni con Luca Ronconi in “La puta onorata”, con Giorgio Strehler ne “Il Campiello”, recita Ionesco in francese per il regista Lucian Pintilie, “Jacques ou la soumission” nel 1977, e fa qualche film d’autore.

“La braca dei Biassoli” di Giovanni Fago con Anna Maria Gherardi, “L’Agnese la va a morire” di Giuliano Montaldo con Ingrid Thulin, “Il mercante di Venezia” di Giuliano De Bosio con Sergio Fantoni, Gianrico Tedeschi, Ilaria Occhini, Massimo Foschi, “La borgata dei sogni” di Daniele Pettinari con Miguel Bosé. Forte dell’esperienza teatrale interpreta buoni ruoli in sceneggiati di qualità, “Delitto di stato” con Sergio Fantoni, in film tv importanti come “Notti e nebbie” di Marco Tullio Giordana con Umberto Orsini.

E’ un potente Dino Campana in “Inganni” di Luigi Faccini con Olga Karlatos come Goliarda Sapienza. Ma lo troviamo anche in “Atto d’amore” di Alfredo Giannetti, “Il caso Moro” di Giuseppe Ferrara, “Un gusto molto particolare” di Giorgio Molteni assieme a Mara Venier.  E’ tra i protagonisti del kolossal televisivo “L’isola del tesoro” di Antonio Margheriti, versione fantascientifica del classico di Robert Louis Stevenson. Negli ultimi vent’anni ha girato poco e niente tra cinema e tv, preferendo tornare a scrivere, vivere tra i monti. Ma stava bene anche così.