la Repubblica, 9 luglio 2024
Viaggio nelle viscere della Terra
Negli anni Sessanta il progetto Mohole puntava a esplorare le profondità più remote. Ma l’impresa riuscì solo in parte
Cosa c’è sotto i nostri piedi? La terra ovviamente. Si parte dalla crosta composta di rocce basiche e acide, spessa da 5 a 50 chilometri; più sotto c’è il mantello: roccia stabile ad alta pressione, che contiene ferro e magnesio, spessa 3.300 chilometri di raggio; ancora più dentro c’è il nucleo, in parte liquido e in parte solido, altre dimensioni enormi.
Chi non ha mai visto nei libri di scuola uno spaccato degli involucri concentrici con cui gli scienziati rappresentano in sezione la forma interna della Terra? Fino al 1909 non si conosceva con certezza la sua composizione. Un professore dell’università di Zagabria di nome Andrija Mohorovicic, mentre studiava le onde sismiche d’un terremoto, dedusse che la Terra doveva essere non un corpo unico, bensì una struttura stratificata con rocce diverse. La profondità in cui la velocità delle onde sismiche aumenta bruscamente, il punto di svolta, porta oggi il suo nome: “Discontinuità di Mohorovicic”, più brevemente “Moho”. Cinquant’anni dopo questa scoperta un gruppo di scienziati decide di capire com’è composto il misterioso mantello dando vita a un progetto che prende il nome di Mohole. Lo scopo è di ottenere campioni della discontinuità di Mohorovicic, dal momento che, salvo gli impianti di estrazione petrolifera, nessuno aveva mai provato a spingersi nelle viscere della Terra e estrarre una carota significativa del Pianeta. Sotto le montagne e i continenti la crosta è spessa, mentre sotto gli oceani appare sottile. Ragione per cui gli scienziati approntano una speciale nave per trivellare a profondità mai raggiunte la sfera su cui camminiamo: almeno due chilometri. Da quello che i geologi sapevano i continenti sono blocchi spessi di rocce granitiche relativamente leggere, mentre i bacini oceanici, come spiega Willard Bascom nel libro Un buco nel fondo del mare (Bompiani, 1963), sembravano pavimentati di rocce basaltiche più pesanti e di minor spessore. Bascom ha raccontato nel volume la storia di questa avventura costata 57 milioni di dollari e conclusa senza ottenere i risultati desiderati. Scendere nelle profondità della Terra non è infatti un’impresa da poco, serve una trivella capace di sopportare temperature altissime e pressioni mai sperimentate, oltre a una nave dotata d’un grande derrick montato in cima. Lo scopo dell’impresa è anche quello di verificare le teorie sulla deriva dei continenti, un tema che affascina non solo i geologi, ma anche i non specialisti: i continenti si stanno spostando?
Le prime trivellazioni vengono effettuate al largo dell’isola di Guadalupe in Messico tra il marzo e l’aprile del 1961. Persino John Steinbeck ne scrive ammirato su Life Magazine.
Si perfora la superficie della crosta per cinque volte, scendendo a 183 metri sotto il fondo del mare, che ha uno spessore di 3.600 metri. Una prospezione mai tentata sino a quel punto. Si estraggono dei campioni del mantello entrando per la prima volta nei sedimenti del Miocene, 23 milioni di anni fa, composti di basalto. Questo primo successo è salutato con entusiasmo dalla comunità scientifica, e anche dall’industria petrolifera che possiede parte del know-how per l’impresa. Cosa ci sia dentro la Terra, sotto i nostri piedi, è stato oggetto di dispute durate secoli, con teorie tra le più bizzarre. Nel 1930, ad esempio, in Germania s’era diffusa una “Dottrina della Terra cava” enunciata da Karl Neupert. Nel suo celebre romanzo Viaggio al centro della Terra del 1864, Jules Verne racconta la storia di Alex e dello zio, il professor Lidenbrock; stimolati da un antico manoscritto con scritture runiche, decidono di entrare nel cratere dello Jokull di Sneffels per raggiungere il centro del Pianeta. Alex afferma che il centro della Terra è incandescente, ma lo zio replica che nessuno sa per certo cosa c’è nell’epicentrodel globo. Quindi partono. Ma perché siamo attratti dalle viscere, perché vogliamo conoscere cosa c’è là sotto? L’ha spiegato in un suo racconto Italo Calvino. Tra le storie del signor Palomar, divenuto poi protagonista del libro omonimo, c’è un’ampia conversazione tra il suo personaggio e il signor Mohole. Lo scrittore ligure conosceva il libro di Bascom sulla perforazione terrestre, e aveva letto anche un altro suo libro, Onde e spiagge (Zanichelli, 1965), che ha ispirato almeno un’avventura del signor Palomar. Lui, che reca il nome d’un osservatorio astronomico, dichiara il proprio interesse per l’esplorazione dell’universo, dello spazio stellare. Mohole invece sente il richiamo per ciò che è profondo. L’attirano le budella della Terra, le profondità e il buio che c’è laggiù: gli interessa provare a pensare nello sprofondo. Mentre Palomar è affascinato dall’esplosione di nove e supernove, Mohole è invece tentato dal contrario: l’implosione, il «crollo verso l’interno in cui nulla va sprecato». Il confronto è tra la superficie e la profondità, due paradigmi della conoscenza che attraversano la cultura umana, ma anche due pulsioni insopprimibili. Forse ora è venuto il tempo di scendere nell’ Underworld, come s’intitola un celebre libro di DeLillo del 1997? Alla fine Calvino sceglie Palomar e non Mohole, ma con una specifica: la profondità è già inclusa nel suo personaggio preferito. Non a caso nelle Lezioni americane Calvino trascrive una frase di Hugo von Hofmannsthal: «La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie». Sarà davvero così?