La Stampa, 9 luglio 2024
La ragazza che lava le foto
La memoria nel fango e la ragazza affonda la pala con la speranza di recuperarla. Centinaia di fotografie di famiglie, del paese, ricorrenze, personaggi e gli avi. Barbara Grappein è davanti alla sua casa di Valmianaz, muri di pietra che hanno un perimetro di tronchi incrociati. L’alluvione ha deviato il torrente che segna la verde Valnontey e vien giù dai ghiacciai del Gran Paradiso di Cogne. Onde di fango sono entrate fra le poche case di Valmianaz. È la prima volta dalla fine del Settecento. La ragazza è con il papà, Franco, 71 anni. Ammutoliti in quella devastazione di tronchi incrociati e pietre. Franco, immobile, dice alla figlia: «Entra tu, salva mamma e papà». L’uomo parla della foto dei suoi genitori, ingrandita, incorniciata e appesa a un muro del salotto. Barbara entra, cammina a fatica nell’acqua e nel fango. Poi grida: «C’è, eccola». Esce con il quadro in mano da una porta sventrata. Nonno Pacifico è a sinistra e nonna Delfina Cuaz al suo fianco. Sono in posa, seri, abiti impeccabili. Franco ricorda: «È del 1946, il giorno del loro matrimonio».
Barbara ha 31 anni, geologa all’Agenzia regionale dell’ambiente. «In quella casa c’è la memoria della nostra vita. Papà ci vive da quando va via la neve a quando torna e quindi conserva lì le care immagini. Ho pensato alle foto, ai nonni, ai bisnonni. A tutte quelle che sono un viaggio nella storia nostra, ma anche di Cogne e di tante famiglie. E il pensiero di averle perse, che mi disperava, mi ha scosso. Dallo sconforto alla ricerca». Barbara affonda la pala con delicatezza nel fango e pian piano la ritira fuori. Vede spuntare qualche foto, la porta al sole. In casa non c’è acqua, prende una bacinella e va al torrente che nell’ultimo sabato di giugno ha fatto il disastro dopo l’interminabile serie di temporali. Racconta: «Pian piano ho tolto il primo strato di fango e un mucchietto di foto appiccicate l’una all’altra è apparso. Ho provato a scollarle, poi le ho lavate una per una». Fra le prime anche la foto dei nonni Pacifico e Delfina, ingrandita e appesa al muro. E quella di com’era Valmianaz all’inizio del Novecento.
Intorno c’è un bosco di larici, ma i prati non ci sono più, ricoperti da uno strato di limo glaciale che l’acqua ha depositato, liscio quanto un’improbabile spiaggia e sempre più duro man mano che si asciuga. Franco Grappein dopo due giorni dall’alluvione è arrivato a piedi fino a Valmianaz, a 1.730 metri, partendo dalla frazione Cretaz di Cogne, ai margini della grande prateria di Sant’Orso. L’elicottero della Protezione civile lo ha portato fin lì: la strada in due tratti non c’è più. Ha seguito da Cretaz il sentiero di sempre. Non ha voluto un passaggio dai vigili del fuoco: «Sono risalito lungo il torrente, volevo vedere che cosa era successo. Un disastro dappertutto». Delle foto dice: «Le ho messe nel posto sbagliato, nel punto più basso». Nei cassetti di fondo di un mobile. L’acqua del torrente ha raggiunto i due metri di altezza e quando si è ritirata ha lasciato l’onda di melma spessa un metro e mezzo. Ha sventrato i mobili di larice, tutti fatti da Franco. I cassetti hanno svuotato nel fango la memoria dei Grappein e di parte di Cogne.
Quel comò è finito con altri mobili fra sassi e tronchi nel devastato prato tra le case, oltre mille metri quadrati. «L’acqua mi ha sradicato anche la cucina», dice Franco. Le foto fanno riemergere tante storie, dall’immagine del vecchio parroco, fino a battesimi, matrimoni, feste di paese, da quelle goliardiche dei coscritti a quelle religiose. E i quindici volontari del paese che sono saliti a Valmianaz per aiutare i Grappein, seguono i commenti di Barbara, gli «oh» di stupore e quando si avvicinano si ritrovano bambini in quelle immagini riemerse, oppure scovano quelle dei parenti. È un via vai alla bacinella rossa di Barbara. «Palate per palata le abbiamo trovate quasi tutte, credo. Abbiamo perso – dice la giovane geologa – due macchine polaroid e molti negativi. Altri credo che siano inservibili, mezzo bucati, piegati. Le abbiamo messe in due grandi borse della spesa rigide e le abbiamo portate in casa, al primo piano per farle asciugare. Una accanto all’altra sui letti. Sono un puzzle gigantesco, emozionante». Viene voglia di metterle in sequenza per ricostruire la storia di Cogne, per anni o per personaggi. Barbara si è sorpresa a trovarsi intatte fra le mani, man mano che il limo scivolava via nell’acqua, quelle piccole foto quadrate di qualche centimetro di lato, con i bordi seghettati. Provini nitidi che poi, scelti, diventavano foto formato cartolina, ma comunque erano conservati.
Nella Valnontey immersa nel parco più antico d’Italia, il Gran Paradiso, i segni rimasti dopo l’alluvione ricordano paesaggi infernali, e Franco Grappein, che delle vallate di Cogne conosce ogni anfratto, stenta a parlarne. «Tutto è stravolto. E ho perso tutto quanto c’era in casa al pian terreno e in cantina dove continua a restare acqua. La tiriamo via e lei risale». Prima guardaparco, poi falegname in una cooperativa nata per dare lavoro dopo la chiusura delle miniere di Cogne, quindi di nuovo guardaparco. La sua vita è legata alla natura e a Valmianaz. E Barbara dice: «Lavando le foto me n’è rimasta una tra le dita, è di papà da giovane. Poco o nulla è rimasto della casa e del paesaggio, i ricordi sono segnati dall’alluvione, ma salvi. Qui nel prato vicino a casa ho imparato a camminare. Ogni estate qui. Non c’è più neppure un piatto, le stoviglie che mi ricordavano l’infanzia. Chissà, qualcuno le troverà giù per la valle, qualche coccio fra le pietre». —