Corriere della Sera, 9 luglio 2024
Palazzo Matignon, ecco chi sono i papabili
PARIGI Chi andrà a Matignon? Ci vorranno forse settimane per saperlo, anche perché la nomina del premier sarà il frutto di lunghi negoziati dei partiti all’Assemblea nazionale, non più lasciata alla preferenza sovrana del presidente della Repubblica.
Per la prima volta da decenni, la poltrona di primo ministro è destinata diventare il cuore del sistema politico francese. Tranne che nei tre casi di coabitazione (tra il presidente Mitterrand e il premier Chirac, Mitterrand e Balladur, Chirac e Jospin), il primo ministro è la figura istituzionale più ingrata della V Repubblica, l’uomo che di solito si prende le rogne e lascia i meriti all’Eliseo, il capo del governo che però ha sopra di sé un presidente dai poteri esecutivi superiori, oltretutto sempre più estesi, di fatto, da Sarkozy (2007-20212) in poi.
La chiamano «la maledizione di Matignon»: l’edificio al numero 57 di rue de Varenne, tra il museo Rodin e l’ambasciata d’Italia, è stato capace in passato di trasformare il politico più brillante in un mesto esecutore degli ordini presidenziali, fino al caso limite di François Fillon, declassato dallo stesso Sarkozy a «mio collaboratore».
Da domenica sera tutto è cambiato. Emmanuel Macron si è salvato dalla catastrofe ma resta un presidente indebolito, che aveva una maggioranza relativa e non ce l’ha più, e soprattutto un leader che decidendo da solo le elezioni anticipate ha rotto per primo il patto di fedeltà con i suoi stessi deputati e ministri.
Carica «maledetta»
Il premier spesso diventa un mero esecutore di ordini
del capo dello Stato
Macron è chiamato ora a fare un passo indietro, e a lasciare che la Francia sperimenti le gioie della democrazia parlamentare, con compromessi che si formano all’Assemblea e generano l’indicazione di un premier.
Il più voglioso di andare a Matignon sarebbe Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise e quindi figura importante del Nouveau front populaire, ma è giudicato «troppo divisivo» e inaccettabile per i suoi stessi alleati di sinistra, primo fra tutti Raphaël Glucksmann. Nonostante quel che ancora ieri diceva la sua deputata Mathilde Panot, Mélenchon premier è impossibile: quando questa certezza verrà messa agli atti vorrà dire che ci sarà stato un chiarimento in seno al Nfp.
Il segretario socialista Olivier Faure dice che le discussioni sono in corso tra i quattro partiti della coalizione (insoumis, socialisti, ecologisti, comunisti) per trovare entro la fine della settimana un nome da sottoporre a Macron, e la leader ecologista Marine Tondelier si è lamentata perché Macron avrebbe già dovuto fare il primo passo e chiedere subito al Nfp, vincitore delle elezioni, di indicargli il premier da nominare.
Potrebbe essere Tondelier quel nome? «Non è questo il punto adesso», ha risposto l’ecologista, che tradotto dal politichese vuole dire «mi piacerebbe, sono pronta, speriamo di farcela». Oppure, in area Mélenchon ma al suo posto, un candidato potrebbe essere Manuel Bompard, autore di un’ottima prestazione nei dibattiti tv. Sempre a sinistra, c’è anche l’ex France insoumise Clémentine Autain, che ha lasciato il partito in odio a Mélenchon.
Un ritorno?
Una delle figure su cui si punterebbe è l’ex primo ministro
Edouard Philippe
Ma se Emmanuel Macron non ha ancora telefonato al Nfp, non è certo per pigrizia. Il presidente è in partenza per il vertice Nato negli Usa, un’ottima occasione per prendere tempo e sperare che le rivalità personali e soprattutto le profonde differenze politiche portino in fretta alla disgregazione, a suo avviso inevitabile, del Nouveau front populaire.
A quel punto non sarebbe più tenuto a dare l’incarico a un esponente dell’alleanza di sinistra – che comunque non ha la maggioranza e da sola non può governare —, favorendo la nascita di una grande coalizione che l’ex premier Édouard Philippe guiderebbe volentieri, stavolta con maggiori poteri.