La Stampa, 8 luglio 2024
I quattro migliori ct son i più destestati
C’è una bottiglia di champagne con su scritto sopra Gareth Southgate persa in qualche frigo. Il tecnico dell’Inghilterra l’ha messa in fresco e non sa quando e se potrà stapparla, ma di certo prima di lui la nazionale era persa in una serie di psicodrammi e ora è alla seconda semifinale consecutiva agli Europei, tre anni fa è arrivata seconda battuta dall’Italia e ai Mondiali del 2018 si è piazzata tra le migliori quattro. Eppure quest’uomo non piace a nessuno.Sulla sua strada si trova un altro allenatore accolto nello scetticismo totale, Ronald Koeman, secondo la stragrande maggioranza, un ripiego per i Paesi Bassi che tornano a giocarsi un accesso alla finale per la prima volta dal 2004. Dall’altra parte del tabellone stessa storia: Deschamps ha dato lstro e successi ed è considerato un «difensivista», «un italianista», almeno quando potevamo esportare l’arte dell’impenetrabilità. A De la Fuente, sulla panchina della Spagna, sono toccate etichette peggiori «un burocrate», «uno degli uomini cresciuti nel sistema corrotto della federazione spagnola». Non c’è un solo ct tra i quattro in corsa per vincere l’Europeo che esalti il proprio Paese, trascini il pubblico, convinca la critica.La Spagna è l’unica nazionale che convince, ma sembra quasi farlo a prescindere da chi la guida, l’Olanda si ricrede un po’riguardo a Koeman, anche se proprio non riesce a considerarlo un visionario. E da quelle parti, chi disegna calcio se lo deve inventare per rispettare le aspettative. Il peggio è che è tutto vero. L’Inghilterra è una noia, la Francia non rischia nulla e mostra ancora meno, i Paesi Bassi sono insipidi e la Spagna è una scuola che si tramanda da Iniesta a Yamal, un contesto in cui l’allenatore è la figura meno interessante e rilevante.I più amati sono usciti, Yakin idolo della Svizzera, Ragnick, fedele al coraggioso gegenpressing, Montella agevolatore del talento e pure lui è arrivato in Germania con più di un dubbio addosso. Sono rimasti quattro tecnici che non spostano un applauso eppure hanno evidentemente meriti per la tempra delle squadre che forgiano.Allenare è un ruolo sempre più complicato. Chi decide di votarsi al mestiere deve essere intraprendente, brillante, ottenere risultati, sviluppare gioco fascinoso, essere contemporaneo, parlare la lingua del mondo, farsi capire dal gruppo, creare un carattere, non opprimere la libertà di espressione in campo e fuori, alimentare la fantasia e custodire l’ordine. Il tutto alle prese con giocatori sempre più stanchi e spremuti da un calendario che non fa che peggiorare. Più che un lavoro è diventata una missione anche se gli stipendi sono cresciuti insieme con l’antipatia.In nazionale le richieste si fanno ancora più monumentali: servono gli stessi requisiti elencati per i club, in più però è obbligatorio farsi carico dell’orgoglio nazionale, della salvaguardia del prodotto interno lordo e dell’umore collettivo. Impresa ardua.A Deschamps non è bastato un Mondiale vinto in grande stile. Southgate ha probabilmente modificato il carattere dell’Inghilterra, è un incassatore straordinario, impara dal pugilato, il suo sport preferito, però resta l’uomo che toglie spazio alle capacità di Bellingham, che fa rendere meno Foden. Mette le stelle in formazione, da selezionatore puro che si occupa più di preparazione che di tattica e ancora non merita approvazione. Tartassa i suoi sull’atteggiamento che serve per vincere ai rigori e dopo una serie di delusioni, sopravvive alla sfida dagli undici metri contro la Svizzera e nemmeno questo livello gli concede tregua. Come non è sufficiente aver superato la Germania in casa per dare a De la Fuentes il consenso, l’amore.I quattro ct in semifinale sono apprezzati per i traguardi che raggiungono, non sostenuti per il modo in cui lo fanno. Loro cercano affetto, ma per quello vincere non è abbastanza. Ci vuole molto di più