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 2024  luglio 08 Lunedì calendario

Cosa fa crescere le liste d’attesa

Liste d’attesa negli ospedali: ancora troppe criticità. Il decreto del governo propone misure già previste e mai attuate.
C’è «una straordinaria necessità e urgenza di definire misure volte a garantire la tempestiva attuazione di un programma straordinario per la riduzione delle liste di attesa per le prestazioni sanitarie, al fine di superare le criticità». È con questa premessa che il 7 giugno, il giorno prima delle elezioni Europee, il governo Meloni pubblica in Gazzetta ufficiale il decreto-legge n. 73 «Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie». Vediamo cosa prevede questo «programma straordinario».
I «codici di priorità»
Viene istituita la Piattaforma nazionale delle liste di attesa, che sarà gestita dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). L’obiettivo è monitorare a livello nazionale se sono rispettati i «codici di priorità» sulla ricetta, secondo i quali una visita o un esame medico devono essere garantiti in 72 ore se urgenti, entro 10 giorni se c’è il codice «breve», entro 30 giorni per una visita o 60 per un esame se differibili, e ancora entro 120 se sono programmati. Per farlo la Piattaforma dovrà scambiare informazioni con le banche-dati sulle liste di attesa delle Regioni. Il sistema di rilevamento regionale è previsto dal Piano nazionale di governo delle liste di attesa 2019-2021. Il problema è che finora non è stato capace di fotografare la situazione reale. Perché?
Il calcolo dei tempi di attesa è stato fatto solo su una settimana-indice a discrezione; pubblicando solo i dati di alcune aziende sanitarie, probabilmente le più efficienti; senza rispettare la lista delle prestazioni da monitorare per legge; senza specificare i tempi entro i quali la prestazione va garantita; e indicando indifferentemente il tempo di attesa «in previsione» oppure «a posteriori» ovviamente molto diversi tra loro: uno indica da quando prenoti a quando avrai l’appuntamento, l’altro misura l’attesa che c’è stata fra la prenotazione e l’erogazione della prestazione. È uno strumento che non risolve, ma cruciale per conoscere, a patto che vengano modificati i criteri di rilevamento, poiché oggi il monitoraggio non garantisce né qualità né completezza delle informazioni.
Le prenotazioni
Nel fissare un appuntamento al telefono il Cup regionale deve comunicare ai cittadini i tempi di attesa sia degli ospedali pubblici sia dei privati accreditati, ossia le strutture che offrono prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale. Regione Lombardia tenta di farlo dal 2016, ma dopo 8 anni i privati accreditati non sono ancora tutti collegati al Cup e le disponibilità degli appuntamenti sono parziali. I privati, per tenersi le mani libere su quali appuntamenti dare e a chi, non vogliono mettere a disposizione le loro agende in un sistema unico. Chissà se stavolta riescono a obbligarli.
È fatto divieto di sospendere o chiudere le attività di prenotazione. Divieto già previsto dalla legge 266 del 2005, ma ancora oggi succede che uno chiami e si senta dire che in quel momento non c’è posto e lo invitano a ritelefonare più avanti.
L’attività a pagamento
Quando i tempi delle «classi di priorità» indicate sulla ricetta non possono essere rispettati ci sono due opzioni. La prima è che il direttore generale si rivolga ai suoi medici che fanno attività a pagamento dentro l’ospedale, per includere alcune ore con le tariffe del sistema sanitario, dunque più basse: una prima visita di chirurgia generale il servizio sanitario la rimborsa 22 euro contro il minimo di 60 della tariffa a pagamento. L’utilizzo della libera professione senza costi aggiuntivi per il cittadino per tagliare le liste di attesa è già prevista in numerosi provvedimenti a partire dal 1998: il decreto legge 124/1998 stabilisce che in caso di mancato rispetto dei tempi di attesa il cittadino possa utilizzare la libera professione dentro l’ospedale pubblico e pagare solo il ticket; il contratto che regola l’attività dei medici dal 2000 prevede che possano essere chiamati dai vertici dell’ospedale a svolgere attività libero professionale per ridurre le liste d’attesa; possibilità ribadita dal Piano nazionale di governo a partire dal 2010-2012. Tutte norme mai applicate!
La seconda opzione la deve esercitare la Regione, ed è quella di farsi aiutare dai privati accreditati. Regione Lombardia lo ha messo negli obiettivi 2023, chiedendo un aumento di produzione del 10% rispetto al 2019 per tutte quelle prestazioni con tempi di attesa lunghissimi: visite, ecografie, risonanze magnetiche, Tac e endoscopie.
Cosa è successo? I privati accreditati hanno fatto 700 mila prestazioni in meno con il servizio sanitario e 400 mila in più invece a pagamento! L’Ats ha trattenuto dal contratto 10 milioni di penalizzazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi, ma evidentemente ai privati conviene comunque potenziare l’attività in solvenza: del resto privilegiano le prestazioni che rendono di più rispetto a quel che serve.
Previste visite diagnostiche e specialistiche da effettuare nei giorni di sabato e domenica e prolungando gli orari. Anche questa misura è già prevista dal Piano nazionale 2019-2021 e non applicata.
I controlli e le sanzioni
Nasce l’Organismo che deve vigilare sulle liste di attesa. La stessa cosa che già doveva fare dal 2006 un analogo organismo solo con un nome diverso (SiVeas). In pratica viene autorizzata una nuova direzione generale al ministero della Salute con qualche dirigente da assumere in più e 20 nuovi funzionari, però con potere sanzionatorio.
Morale: fin qui il nuovo «programma straordinario» del governo Meloni contro le liste di attesa contiene misure già vecchie, la differenza è che vengono rafforzate le sanzioni in caso di inadempimento. Il personale dell’Organismo di vigilanza sulle liste di attesa svolgerà funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria. Per i direttori generali è prevista la revoca dell’incarico; per gli erogatori privati accreditati la messa a disposizione delle agende è una condizione per l’accreditamento; in caso di chiusura delle agende la sanzione amministrativa già prevista da un minimo di 1.000 a un massimo di 6.000 euro viene raddoppiata. E anche il cittadino viene responsabilizzato: l’assistito che non si presenta nel giorno previsto senza giustificata disdetta può essere tenuto al pagamento del ticket, misura peraltro già prevista, ma mai attuata.
Le assunzioni
Il ministro della Salute Orazio Schillaci enfatizza la possibilità di assumere, oltre al normale turnover, medici e infermieri utilizzando fino al 15% dell’incremento del fondo sanitario nazionale. L’articolo del decreto fa riferimento a una norma prevista dalla Finanziaria 2022. In pratica se questo 15% lo traducessimo in numero di teste, facendo finta che siano solo medici (ma così non è), vorrebbe dire 5.000 in più. Ovviamente l’incremento del personale serve anche per potenziare i ricoveri, i Pronto soccorso, i servizi territoriali, ecc., e solo una parte è finalizzato alle attività legate alla riduzione dei tempi di attesa.
Unica vera novità: medici e infermieri beneficeranno di un’agevolazione fiscale del 15% sui compensi per le prestazioni aggiuntive. Il medico che oggi prende 100 euro lorde l’ora, di fatto, è come se ne prendesse 150. La misura costerà in 3 anni (2025-2027) 491,7 milioni di euro, sempre a carico del Fondo sanitario nazionale. Il decreto si concentra sull’obiettivo di produrre più prestazioni, ma non interviene sull’appropriatezza: nel 2023 le prescrizioni delle prime visite sono aumentate del 31% rispetto al 2019 e quelle delle risonanze magnetiche del 38% (dati Agenas). Resta il fatto che oggi gli italiani per superare le liste di attesa spendono di tasca loro per le visite ambulatoriali e gli esami diagnostici oltre 8 miliardi all’anno (dati Cergas-Bocconi). Basta questo per capire che senza importanti nuovi finanziamenti al Ssn non si va tanto lontano. Difficile che bastino solo le punizioni!