il Giornale, 7 luglio 2024
Così la delinquenza minorile diventa adulta e produce orfani
Il più grande problema che comporta la delinquenza minorile è che cresce più velocemente dei funghi nei boschi, ci mette un amen a diventare adulta. È sempre stato così, le baby gang ci sono sempre state, ma una volta c’era anche chi metteva in pratica il vecchio detto «la pianta va raddrizzata da giovane», mentre oggi chi dovrebbe farlo, fa il contrario: crea semi geneticamente modificati di piante storte, li infila sotto terra, li annaffia con l’acqua avvelenata del menefreghismo e del cinismo e se ne va. Alcuni di questi botanici maledetti spuntano anche in tv, a parlare di violenza giovanile.
C’era una volta un’altra frase, opposta e ricorrente, «è colpa della società», se non assolutoria, portatrice di attenuanti molto più che generiche. Nel suo romanzo del 1966 Hard Rain Falling, edito ora per la prima volta in italiano (Edizioni Clichy, pagg. 447, euro 22, traduzione di Fabio Cremonesi e Micaela Uzzitelli), inizialmente Don Carpenter pare propendere per quest’ultima frase. Ma poi, dopo un lungo reciproco corteggiamento, le colpe collettive e quelle individuali si sposano, e restano unite finché morte non le separa. Sembra non essersene accorto George Pelecanos quando, nell’introduzione, scrive che questo libro «è narrativa populista al suo meglio», usando «populismo» nell’accezione positiva di dalla parte del popolo.
L’antefatto potrebbe dargli ragione: nel 1930 a Bend, Oregon, in un istituto per ragazze madri nasce il figlio di una 23enne che sette anni prima era fuggita di casa e si era messa con un cow boy scapestrato, il padre del bimbo; la ragazza aveva lasciato il cow boy da tempo ed era andata a vivere con gli indiani; il cow boy, non avendo notizie del figlio, dà fuori di matto e poi si mette a scrivere lettere a tutti gli orfanotrofi per cercarlo, ma non lo trova, poi muore colpito in testa dallo zoccolo di un cavallo; la ragazza, quando apprende della morte del cow boy, si uccide con un colpo di fucile calibro 10.
Jack Levitt, il protagonista di Hard Rain Falling è il figlio di quella coppia pessimamente assortita, pessimamente assistita, pessimamente inserita, appunto, nella società. È fuggito dall’orfanotrofio, lo spazio concentrazionario che era la sua società, e lo incontriamo nel ’47, diciassettenne, mentre bazzica a Portland, dove non ha amici, non ha fissa dimora, non cerca lavoro. «Occhi azzurri, uno sguardo penetrante e freddo come quello di un serpente, che le persone comuni avevano difficoltà a sostenere; una testa che sembrava troppo grande per il suo corpo (...). Aveva un’aria cattiva ma non rabbiosa, i suoi enormi pugni quasi sembravano fatti apposta per frantumare crani». Un ogm umano già temprato dalla vita? Una vittima? Un colpevole? Sicuramente un «ricercato», in quanto, a modo suo, evaso. Siamo nella prima parte della storia, «I delinquentelli», quelli che non si fidano di nessuno e raccattano dollari con le scommesse al biliardo. Con Jack ci sono Denny e Billy, un nero non proprio nero ma «giallastro», gran talento della stecca. Diventano ufficialmente delinquenza minorile quando, dopo aver rubato un’auto, sfondano la porta di una villa disabitata, in cerca di soldi. Furto con scasso. Prego accomodarsi al riformatorio di Woodburn, con tutto ciò che consegue alla diseducazione sentimentale.
La seconda parte, già dal titolo si annuncia come la più drammatica: «Una morte nel cortile principale», e copre gli anni dal ’54 al ’56. Qui la delinquenza non è più minorile, è diventata, come dicevamo all’inizio, adulta. Ma non matura, e nemmeno troppo furba. Jack, più che un villain, è un selvaggio, un ruvido tronco di giovane quercia, forte ma allo stesso tempo indifeso a causa della sua ingenuità. Tuttavia, non è certo un buono, un virgulto in balìa della tempesta. Reati di varia natura; ospedale psichiatrico di Salem; un bagliore di speranza messa rapidamente ko quando intraprende la carriera di pugile; il carcere a Peckam, Idaho; spaccalegna in Oregon in una piccola azienda. Poi a San Francisco ritrova Denny, in compagnia di due gallinelle, purtroppo per loro, e per tutti, minorenni, Mona e Sue. E poi, ecco aprirsi per lui le porte di San Quintino, protettore del peggio e dell’irreparabile.
Sottotraccia, è lì che in Jack Levitt avviene la svolta. Ma non pensiate a una redenzione o cose del genere. Si tratta di una cosa tutto sommato banale, che accade quasi a tutti: la scoperta dell’amore. Non diciamo in chi il Nostro lo trova, a chi lo dà, perché questo romanzo cui si attagliano vari aggettivi, «carcerario», «hard boiled», «crime», «noir» è anche un po’ «giallo» e persino, concedete l’ossimoro, rudemente romantico. Questo romanzo è un piatto speziato e ben cucinato in cui abbiamo trovato sentori di C’era una volta in America, di Le ali della libertà, di Il cacciatore, molto Tarantino e molto Eastwood...
La terza parte, «Vite significative», relativa agli anni ’56-60, contiene infine quella che per Jack è, o dovrebbe essere, la vita più significativa di tutte, la vita nata da lui stesso, quella di un figlio non cercato ma trovato. Un figlio che lui ha timore di guardare perché, guardandolo, come in uno specchio rivede se stesso. Toccherà anche a lui l’orfanotrofio? O verrà adottato dalla società a patto che ne rispetti le regole?