Corriere della Sera, 7 luglio 2024
Lodo Guenzi s’è messo a recitare Shakespeare
Il palco è il palco. Che sopra ci si faccia musica o che ci si reciti una commedia. Così è per Lodo Guenzi, frontman dello Stato Sociale che, messa in pausa la band, sarà protagonista (con Sara Putignano) di Molto rumore per nulla, classico di Shakespeare in anteprima al Teatro Romano di Verona il 25 e 26 luglio e in tournée da novembre. «Cerco di non fare alcuna distinzione. E non solo perché in questo spettacolo suono la chitarra o perché la musica per me è dire cose con un senso, non suonare e cantare bene. Più in generale dico parole, che spero abbiano un senso, davanti a persone che spero trovino in quelle parole un senso diverso».
Credi che sul palco la gente veda Lodo dello Stato Sociale o Lodo Guenzi?
«Sto cercando di costruire la mia solidità teatrale. Non per scollarmi dalla musica, sono fiero del percorso con la band. Non so quale sia il primo pensiero del pubblico, ma voglio che tornino a casa contenti. Che era poi l’obiettivo anche della band».
Shakespeare, il classico dei classici...
«Mai affrontato prima, nemmeno in Accademia. Un testo divertente ma con un’indagine profonda sull’incomunicabilità maschile/femminile. A 38 anni mi rivedo nell’età dei protagonisti: non sanno dire “ti amo”, e questa è una delle questioni della mia generazione. La prospettiva di avere figli e famiglia mi sembra lontanissima. L’incapacità di mettersi in gioco in amore viene dal non aver capito chi sei. E se non sai chi sei, l’amore è un disastro, lascia ferite».
Sta qui la contemporaneità di Shakespeare?
«A 20-23 anni senti l’esigenza di dire le cose tue. Poi, più vai avanti più scopri che i classici parlano al futuro».
Benedetto, il tuo personaggio, usa molto la parola. Ti ci rivedi?
«L’affabulazione è un modo per non esporre la propria vita interiore. Sono dinamiche in cui mi riconosco. Gli ultimi tre anni al liceo li ho fatti senza comprare libri e non sono stato bocciato. Forse ha a che fare con la bolognesità, vedi la maschera del Dottore. Come dice il mio amico Nicola Borghesi: “tenere banco per non morire”».
Nelle note di regia, Veronica Cruciani scrive che i personaggi «fingono costantemente di essere altro da quello che sono». E allora non c’erano i social...
Il gruppo
Lo Stato Sociale?
Il dovere è di guardarci negli occhi e capire
come andare avanti
«Siamo mangiati dalla contemporaneità e pensiamo che l’esasperazione della maschera sociale sia un dato tecnologico, figlio dei social. E invece no, la tecnologia ci offre solo degli strumenti per riprodurre meccanismi sociali di cui abbiamo miserevolmente bisogno. Tutto si riconduce al lavoro, anche in Molto rumore per nulla sebbene si parli di chi non lavora. Se non sei felice di ciò che fai in quelle 8 ore, non sai chi sei. Nel testo di Shakespeare gli uomini hanno senso solo nell’orrore della guerra, fuori da quella si sono scordati di come vivere. Le donne occupano un posto confinato e, sebbene non sia appassionato all’indagine sulle dinamiche di genere, il testo ti ci fa cadere dentro».
Da qualche mese hai ridotto la presenza social. Cosa è successo?
«Ho avuto la necessità di disintossicarmi. Quei meccanismi mi avevano inaridito. La morte di Matteo (Romagnoli, manager dello Stato Sociale ndr) l’anno scorso è stata l’unica cosa vera che avevo intorno e all’improvviso tutte le cose artificiose hanno perso senso. Non ho più voglia di dire la mia sui social. Mi sembra che siamo in un momento di grande caduta di questo meccanismo verso cui le persone coltivano diffidenza».
Pesa il Pandoro-gate di Chiara Ferragni?
«Le cose non succedono per scarti ma per progressione. Poi noi ce ne accorgiamo per scarti».
L’assenza di Matteo ha reso più difficile fare musica?
«È un incubo. Non mi rendo ancora conto di quello che è successo. Matteo aveva questa straordinaria energia, una capacità di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, che dava un senso a tutto. Ci ha presi che non eravamo niente dicendo “da qualche parte c’è un pubblico pronto”. Era lungimiranza. Mi manca quel motore e anche la sua capacità di tenere insieme noi cinque, di andare a braccetto con la follia di ognuno di noi. Quando suono, ogni parola e ogni nota mi ricordano che lui non c’è più. È passato un anno ma credo che nessun tempo sia abbastanza. Tutto è fermo.. Stiamo cecando di capire».
È la fine del gruppo?
«Dobbiamo guardarci negli occhi e capire come, non se, andare avanti».