Corriere della Sera, 7 luglio 2024
Elvira Serra ha passato una sera alla Gintoneria di Davide Lacerenza
Scordatevi lo Spritz. Del resto, la scritta all’ingresso è chiara: «No beer, amari e minchiate simili». Alla Gintoneria di Davide (Lacerenza), che per non sbagliarsi, il nome e cognome se l’è fatto scrivere pure sul cofano della Ferrari 296 da oltre trecentomila euro parcheggiata davanti al locale, servono solo vino, gin, tequila e Champagne. Di un certo livello, s’intende, come ci rendiamo conto sfogliando la lista sul tablet. Scartiamo il Petrus del 2017, un rosso da settemila euro la bottiglia, e pure il Krug Clos d’Ambonnay del ‘95, che ne costa seimila, e optiamo per un Gin Tonic allo zenzero e agrumi di creazione del titolare: 25 accessibili euro, con il plus che il ghiaccio non si scioglie per un paio d’ore e resisterà quando nello stesso bicchiere ci serviremo dell’acqua («Lo fa a mano un bengalese che si occupa solo di quello fino alle tre del mattino, ci vuole un’ora e mezzo per 120 cubi: poi li teniamo a -20 gradi già dentro i bicchieri», spiega Lacerenza, prima di lanciarsi in un’intemerata contro gli italiani che non vogliono più fare certi lavori e infatti qui da lui ce ne sono solo un paio e li paga pure più di duemila euro al mese escluse le mance).
Una notte alla Gintoneria di Davide, zona Stazione Centrale di Milano, è un concentrato di varia e mal assortita umanità, che insieme risplende come in un trittico di Hieronymus Bosch.
I quattro coreani che si affacciano chiedendo una birra vengono allontanati gentilmente (non avevano capito la scritta). Mentre i primi a entrare sono tre amici per il Gin Tonic, una ragazza russa che socializzerà con loro mentre attende un’amica, una coppia e, poco dopo, Cristian, protagonista indiscusso di questa serata per lui molto alcolica. Ventitré anni, cintura nera di Kung Fu, lo notiamo dopo la sua seconda bottiglia di Champagne (ne paga una bottiglia per volta), quando ha appena sforato i mille euro. Dice di essere un «contabile» (sui social però si qualifica come imprenditore), è venuto solo: «Preferisco uscire senza i miei amici, così non ho la responsabilità di portarli in macchina con me. E comunque nemmeno io dopo aver bevuto tanto mi metto in viaggio, magari più tardi prendo il taxi e poi torno domani a riprendermi la macchina». Borsello Armani sul tavolo, dice di essere venuto «per Davide, perché lui ti fa sentire speciale». Guarda caso, da un certo momento in poi il titolare gli dedicherà molte attenzioni, si mette seduto vicino a lui, gli fa arrivare qualche piatto dalla cucina per assorbire la sua delizia di Champagne e accetta più di un bicchiere delle costose bottiglie, versandone anche ai camerieri. Proviamo solo una volta a chiedere a Cristian se non sta spendendo troppo (poi intuiamo da certe occhiatacce che è meglio far finta di nulla), ma lui si difende: «Non faccio nulla di male, queste serate me le concedo una volta al mese, mica ogni weekend. Vivo con i miei genitori, non ho grandi spese, lavoro da 4 anni, mi piace leggere romanzi, mi piace bere bene. E mi piace Davide».
Lacerenza, 59 anni a ottobre, è in effetti l’attrazione principale di questo locale frequentato da trader (come quello che ha tutta la faccia tatuata e si siede nel tavolo dove c’è pure la fidanzatina di Davide, doppio cognome della Milano bene, iulmiana di 19 anni), influencer (Filippo Champagne, zero post e 505 mila follower su Instagram, e Nevio Lo Stirato, 52 post e 213 mila follower, raccontano spesso alla Zanzara di Cruciani le loro scorribande), ma anche l’insospettabile famiglia – mamma, papà e due figlie – che brinda con un Dom Pérignon da 350 euro. Quando andranno via, le due ragazze si fermeranno a salutare il padrone di casa: lo seguono sui social e sono state loro a chiedere ai genitori di portarle stasera. Lui gongola e raccoglie i frutti di tanto lavoro, raccontato nell’autobiografia che troneggia in pile circolari accanto al registratore di cassa, Vergine, single e milionario, pubblicata nel 2020 per Sperling & Kupfer, dove si racconta dall’infanzia in zona Giambellino, quando si divertiva con quello che c’era («La scommessa delle scommesse era rompere le noci con l’uccello, vincevo sempre!»), fino alla conquista della Milano da bere sciabolando bottiglie con la carta di credito e la mazza da golf.
Il monito incorniciato
Il cartello della direzione: «Si prega di non pippare nei bagni, servono per altro»
Ma la ciliegina sulla torta di questo percorso a ostacoli cominciato spostando cassette all’Ortomercato, è la Tequileria al lato opposto della strada, inaugurata una settimana fa, che ha curato nei dettagli Stefania Nobile, figlia di Wanna Marchi ed ex compagna di Lacerenza. Il sodalizio tra i due, non più sentimentale, ma affettivo e professionale, va avanti da oltre vent’anni. Insieme sono una famiglia. E infatti è stata proprio la matriarca Wanna, già condannata con la figlia per associazione per delinquere finalizzata alla truffa, a preparare le ottomila polpette (non avvelenate, ma del resto non erano destinate ai giornalisti) per la nuova apertura di domenica scorsa. Mamma e figlia, con la rossa Charlotte, che è una cagnolina Spitz di Pomerania, si possono incontrare ogni sera nel tavolo più grande della Gintoneria, se non sono in trasferta nell’amata Albania (dove hanno inaugurato altri locali). Wanna non ha perso il sorriso fulminante con il quale ha incenerito la vita e che abbiamo visto pure nella docuserie su Netflix («L’ha vista?», ci chiede, «stiamo già lavorando alla seconda stagione: ormai anche all’estero mi riconoscono tutti, non posso più farmi una passeggiata tranquilla»).
Nel frattempo, nel tavolo accanto al nostro arrivano due «ragazze» tra i quaranta e i cinquanta che aspettano un amico da Jesi con il quale dopo qualche ora andranno a un raduno di harleysti. È stato lui a convocarle qui. Arriva poco prima dell’una facendosi anticipare dal rombo della sua CVO, l’ultima nata della casa moticiclistica statunitense. «Da Piacenza ho viaggiato sulla corsia di emergenza», racconta Mattia Felicetti, «procacciatore d’affari» (segnala vini, moto e Rolex), prima di portare in dono al titolare un Rosso Conero del 1975 Cantina Castelflora che era della collezione del nonno Eugenio, il suo mentore, scomparso vent’anni fa di leucemia fulminante (dunque, valore della bottiglia: «Inestimabile»). Lui chiuderà la serata brindando con lo Champagne Davide Lacerenza (Cuveé 1981-1982-1983) con astuccio di legno e dedica personalizzata (tutto il pacchetto che comprende anche il libro costa 400 euro).
A un certo punto è necessaria una tappa fisiologica al bagno. A dispetto dell’elegante monito incorniciato e firmato dalla direzione – «Si prega, per chi ne facesse uso, di arrivare già pippati. Perché il bagno serve per chi deve pisciare e annessi» – qualcuno ha lasciato un po’ di polvere bianca sul mobile del lavandino, e non sembra forfora. Nel locale, intanto, arrivano ragazzi molto giovani con il berretto da rapper, tre amiche che avevano conosciuto un cameriere in Spagna, una coppia di fidanzati. Dalla cucina escono gamberi rossi carabineros, risotti e ostriche.
Alle due e mezzo il piccolo Cristian è ancora lì che festeggia con il suo «Davidone nazionale». Sui social il giorno dopo posterà la loro foto trionfante davanti a 9 bottiglie di Champagne vuote. Ha speso ben più di cinquemila euro. Sic transit gloria mundi.