il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2024
Ritratto di Joe Biden
Povero Joe Biden. Alla tremante età di 81 anni lo hanno chiuso nella cameretta di Camp David a studiare come un ragazzo alla maturità, facendolo tornare all’incubo della sua giovinezza, quando i compagni di scuola lo tormentavano per la balbuzie, chiamandolo “Bu-bu-Biden”.
Moglie, figlio, nuora e staff gli hanno riempito la testa di nozioni con il badile e la memoria con una dieta bilanciata di fosforo e zabaione: fogli, foglietti, riassunti, tabelline sull’inflazione, brevi cenni della storia patria, e domandone finale tipo quante sono le strisce e le stelle della bandiera americana. E lui, poveraccio, ha trangugiato fino all’insonnia, fino all’indigestione, come si è visto durante quel capolavoro di dibattito in diretta tv con Donald Trump, il fuorilegge, che gli ha sparato balle a raffica, fino a fargli perdere definitivamente il senno e anche il principio di identità al punto che quando i due giornalisti Cnn gli hanno chiesto se temeva problemi per la sua età, ha risposto, non si sa come, parlando dei semiconduttori nella Corea del Sud.
Biden è la metà del dramma d’America, quella che muove persino a compassione, mentre l’altra metà è Trump e il trumpismo, prepotenza in purezza, la menzogna al potere. Insieme sono i due pericoli che assediano la futura democrazia americana, 333,3 milioni di abitanti, 76 mila dollari di reddito pro capite, inspiegabilmente incapaci di selezionare un cinquantenne bianco, nero, meticcio, asiatico, più o meno normale, eventualmente un attore, in grado di indossare la Casa Bianca e i suoi copioni, senza farli vergognare. Se non addirittura una donna, bianca, nera, meticcia, asiatica, magari capace di interrompere l’infinita serie di guerre che hanno scandito la storia ultra maschile americana, a cominciare dallo sterminio dei nativi, secondo i principi umanitari del progresso bianco, cattolico, che tra i suoi principi fondativi prevede “il diritto alla felicità”. Anche se non per tutti.
Luminosa e insieme triste è stata la lunga vita di Joseph Robinette Biden, nato il 20 novembre 1942 in un paesello di nome Scranton, Pennsylvania, famiglia di origine irlandese, cattolica e democratica, madre casalinga, padre venditore di automobili. Due fratelli, una sorella, un bel po’ di traslochi, come in ogni romanzo americano. Lui è il figlio maggiore, carattere tenace almeno quanto le sue ambizioni. Studia all’Università del Delaware, si laurea in Legge a Syracuse, nello Stato di New York. Fa l’avvocato e fa politica nelle file dei democratici. A 31 anni viene eletto senatore, lo resterà per 36 anni filati, fino alla vicepresidenza con Obama. In Senato ha un peso crescente, si batte contro la segregazione razziale negli stati del Sud e per la giustizia sociale: salari migliori per la working class, assistenza sanitaria, investimenti nella scuola pubblica e nelle periferie.
Le ferite private non lo piegano. La prima nel 1973, quando in un incidente d’auto, muoiono la prima moglie e la figlia Naomi di un anno. La seconda, quando muore il primogenito dopo una lunga malattia. La terza cercando di arginare i danni del figlio superstite, Hunter, tossicodipendente, una condanna per possesso illegale d’armi, un processo per reati fiscali con 17 capi di imputazione.
A cauterizzare quei danni ci pensano la seconda moglie Jill, e i rivolgimenti della Storia che macinano la fine della Guerra fredda. Appoggia i bombardamenti su Belgrado ordinati da Bill Clinton con la “Kosovo Resolution”, anno 1999, aerei decollati dalle basi italiane, con l’autorizzazione dell’astuto governo D’Alema. Da presidente della commissione Esteri del Senato, fronteggia lo choc delle Torri Gemelle. Appoggia le invasioni illegali e i bombardamenti dell’Afghanistan e dell’Iraq, fortemente voluti dall’opinione pubblica, di cui si pentirà solo vent’anni dopo, cioè appena ieri, quando ha provato a dissuadere il leader israeliano Netanyahu dai massacri di Gaza, in risposta a quello del 7 ottobre di Hamas: “Comprendiamo la vostra rabbia, ma non commettete i nostri stessi errori dopo l’11 settembre”. Lo dice da presidente, ma senza sognarsi di interrompere le forniture di armi e munizioni all’esercito israeliano che platealmente lo ignora.
Barack Obama, anno 2009, lo sceglie come vicepresidente per la sua lunga esperienza internazionale e la capacità di muoversi nei labirinti legislativi di Washington. Lavorano spalla a spalla. Si intesta la legge contro la violenza alle donne e vara cospicui investimenti per la ricerca contro il cancro. Obama lo elogia pubblicamente con la massima onorificenza, la “medaglia presidenziale della libertà”.
Alla fine del secondo mandato salta un giro a favore di Hillary Clinton che perde la sfida contro Trump. Nei successivi quattro anni, bombarda il rivale appena può, trattandolo come una minaccia per la democrazia, un razzista, un mentitore di professione, un populista che fomenta le paure dell’opinione pubblica e intanto taglia le tasse ai ricchi e le coperture sanitarie ai poveri. Critica la costruzione del muro lungo il confine del Messico. Deplora il ritiro delle truppe dalla Siria che lasciano campo libero a russi e Turchia.
Nel 2018 annuncia di candidarsi contro il suo arcinemico che gli scatena i suoi sciamani, muovendoli all’assalto di Capitol Hill. Affronta la pandemia del Covid non con la candeggina, come Donald consigliava agli americani per disinfettarsi, ma con provvedimenti efficaci e subito dopo con un maxi-investimento da 1 trilione di dollari.
Sui fronti esteri ordina il ritiro precipitoso dall’Afghanistan, dopo 20 anni di occupazione, 170 mila morti, mille miliardi di dollari bruciati. Vara sanzioni contro la Cina e firma l’Aukus, alleanza strategica nell’indopacifico con Australia e Gran Bretagna in funzione anti-Pechino. Contrasta le strategie aggressive di Putin con l’allargamento della Nato e osteggia le politiche energetiche filorusse d’Europa. Avverte il mondo della imminente invasione Ucraina, inaugurando una guerra per procura contro Mosca che dura dal 24 febbraio 2022, senza negoziati alle viste, con ricadute economiche che penalizzano l’Europa a cominciare dalla cancellazione del Nord Stream 2 il gasdotto che doveva alimentare Germania e Europa.
Ogni tanto inciampa e cade. Ogni tanto vede il suo angelo e lo saluta con la mano tesa. Potrebbe riposare e godersi la pensione, come gli hanno consigliato i maggiori commentatori e il buon senso della nazione. Ma non c’è verso. Mentre l’altra sera girava sulla giostra della Cnn, ha detto: “Fatemi finire il lavoro che ho iniziato”. Che potrebbe essere la prossima Guerra dei Mondi, oppure una nuova mano di burraco.