il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2024
Ritratto di Kamala Harris
“Una guerriera col sorriso”. Due anni fa si definiva così Kamala Harris, davanti a una classe di studenti filippini. Più che il sorriso, sono le risate a caratterizzarla, per qualcuno anche a seppellirla. Nel 2021 la vicepresidente non riuscì a trattenere una risata, appena scesa dall’Air Force 2 a Singapore, quando si avvicinò ai reporter per parlare del ritiro dei soldati Usa dall’Afghanistan. E l’ilarità non fu apprezzata. L’anno dopo, in un momento di imbarazzo durante una conferenza stampa con il presidente polacco Andrzej Duda, rise passandogli la parola. Ma la domanda era sulla crisi migratoria. Le antologie delle risate e delle battute di Harris inondano i social. Sulla galassia mediatica trumpiana, da Fox News in giù, si dice di tutto: “ridicola”, “indecente”, “ubriaca” davanti alle telecamere. Trump l’ha definita “una macchina da gaffe”, qualcuno la paragona a Julia Louis-Dreyfus, la “vicepresidente incompetente” della serie Hbo Veep.
Quattro anni di vicepresidenza hanno lasciato poco dal punto di vista politico, ma molto in termini di meme, soprattutto nella “lulz sfera” (il settore di Internet dove domina la satira politicamente scorretta egemonizzata dalla destra). Gli utenti si sono appassionati a un video di maggio 2023, in cui Harris, durante una cerimonia a Washington, racconta che sua madre le diceva sempre: “Non sei caduta da una palma da cocco”, per ricordarle l’importanza del contesto sociale. È diventata sinonimo di vuota retorica una frase che dal 2020 per descrivere la sua politica: “What can be unburdened by what has been”, “Ciò che può essere, non appesantito da ciò che è stato”. I Repubblicani hanno messo in fila le citazioni in un video: dura 4 minuti.
I meme sono tornati a riemergere in questi giorni di turbolenza per il Partito democratico, mentre si parla di una possibile nomination di Kamala al posto di Joe. Lo stile sopra le righe della vicepresidente è almeno metà del motivo per cui Biden ha finito per relegare Harris in un angolo nella parte finale della presidenza. L’altra metà sono i suoi errori politici. Il più grosso, quel do not come, “non venite” che ha rivolto ai migranti centroamericani che si ammassavano alla frontiera col Messico durante la crisi del Guatemala nel 2021. Un discorso che gli ha alienato le simpatie della sinistra democratica e che, unito al fatto che ha impiegato più di 100 giorni a recarsi al confine tra Usa e Messico nonostante Biden l’avesse incaricata del dossier migratorio, è stato il punto di rottura. Anche con gli americani: la popolarità di Harris è in caduta libera dal 2021. Ad aprile di quest’anno il 55% dava un giudizio negativo di lei, la peggiore performance di un vicepresidente dal 1989.
Il suo staff avrebbe voluto che fosse una nuova Obama, icona del riscatto afroamericano. Ma la scintilla non è scattata. La comunità nera è ancora quella più favorevole, ma per gmolti dem Harris è troppo di destra: figlia di migranti, sì, ma di famiglia benestante, ex procuratrice generale della California tutt’altro che progressista, ricordata per il pugno duro nelle richieste di condanna.
Nel suo primo anno di lavoro Harris ha licenziato metà dello staff, mentre sulla Cnn trapelava la sua “frustrazione” di sentirsi snobbata dal presidente. L’anno scorso la Conferenza sulla sicurezza di Monaco poteva essere un’occasione di riscatto, ma il suo discorso ha lasciato indifferente la platea, tanto che la sua capo staff ha dovuto far partire l’applauso a comando. Nelle stesse ore, Biden la surclassava con una visita “a sorpresa” a Kiev e lei ha finito per rientrare a Washington con un giorno di anticipo sul programma.
Nel partito, in pochi avrebbero scommesso su di lei finora e anche i media più liberal l’hanno definita “inadatta” al ruolo. Caustico il New York Times : “Sembra una politica che aspetta il suo momento di gloria, non una leader in grado di guadagnarselo”. Ma se Biden rinunciasse, aspettare potrebbe essere stato sufficiente.