il Giornale, 5 luglio 2024
Ultima chiamata per la previdenza privata (oppure salta il banco)
Il sistema previdenziale somiglia sempre più a un puzzle, i cui pezzi, complici le pesanti eredità del passato e le transizioni in atto, da quella demografica a quella digitale, passando per quella ecologica, fanno fatica ad incastrarsi restituendoci un’immagine nitida. L’invecchiamento della popolazione, la crisi demografica, i vincoli sulla spesa pubblica, i problemi di competitività del nostro sistema industriale e di produttività del lavoro hanno reso necessaria, negli ultimi trent’anni, una revisione progressiva dei meccanismi di trasferimento delle risorse tra popolazione attiva e non attiva al fine di coniugare la risposta ai bisogni previdenziali con le ragioni dell’efficienza e della sostenibilità.
Un cantiere in continua attività le cui tappe fondamentali sono state la riforma Dini del 1995, che ha modificato la struttura del sistema previdenziale in senso contributivo, sebbene con tempi di realizzazione a lungo termine, e la legge Fornero del 2012, che ha introdotto requisiti pensionistici particolarmente stringenti con l’obiettivo di contenere la spesa e facilitare il turnover tra le generazioni nel mondo del lavoro.
Se l’inasprimento dei requisiti pensionistici ha prodotto sin da subito profonde lacerazioni nel tessuto sociale, rendendo necessari negli anni successivi interventi di carattere temporaneo, volti a mitigarne gli effetti a breve termine (es. Quota 100, 102, 103, l’APE sociale e la disciplina per i lavori gravosi, usuranti e precoci), ciò che preoccupa è, da un lato, più a medio tempore, l’impatto dei baby-boomer sulla spesa pensionistica e, dall’altro, a lungo termine, le implicazioni del sistema contribuitivo sui giovani lavoratori i cui contributi versati, per la loro esiguità, richiano di compromettere non solo la sostenibilità del sistema previdenziale ma dell’intero tessuto sociale.
A complicare ulteriormente il puzzle v’è poi un ulteriore aspetto che non deve essere sottovalutato: sebbene non si possa escludere che la flessibilità in uscita possa facilitare l’ingresso al lavoro dei più giovani e la stabilizzazione dei lavoratori già occupati, le trasformazioni in atto del sistema economico e sociale, alimentate dalla transizione digitale e da quella ecologica, porta a ritenere che in futuro le dinamiche di ingresso nel mercato dipenderanno sempre meno da quelle in uscita.
Per non gravare sulla fiscalità generale, soggetta al tetto sulla spesa pubblica imposto dalle regole europee sul debito, la soluzione del puzzle richiede dunque uno sguardo più ampio rispetto alla sola dimensione statale del sistema previdenziale. Ciò significa, riprendendo l’insegnamento di Giovanni Palladino (G. Palladino, F. Felice, Non vivrai di solo INPS, Il Sole 24 Ore Libri, 2000), riperimetrare il sistema previdenziale, superando l’idea secondo cui lo Stato assicuratore debba pensare a tutti: chi ne ha la possibilità, ha infatti il dovere costituzionale di non gravare completamente sul sistema di previdenziale pubblico. La previdenza complementare, che è uno dei pilastri su cui si regge il sistema pensionistico, può infatti contribuire in modo significativo alla sua sostenibilità finanziaria e sociale.
In secondo luogo, occorre completare il processo di trasformazione in senso contributivo del sistema pensionistico. Eliminando gli attuali sbilanciamenti fra spesa pensionistica e gettito contributivo prodotti dalle pensioni anticipate, che pesano sulla fiscalità generale; e svincolando i requisiti per l’erogazione dell’assegno contributivo, il cui rateo pensionistico si basa esclusivamente sull’equilibrio attuariale tra montante contributivo accumulato alla fine dell’attività lavorativa e la speranza di vita residua, da quello retributivo, che invece sarà corrisposto (per i lavoratori in regime misto) solo al maturare di determinati requisiti di uscita. In relazione all’impatto dei baby-boomer sulla spesa previdenziale, facendo leva sulla sola componente contributiva che a lungo termine rappresenterà l’unico trattamento pensionistico da lavoro, questa soluzione avrebbe il merito di preservare la flessibilità in uscita, permettendo a chi ha maturato un adeguato di montante contributivo di andare in pensione coerentemente con le proprie esigenze di vita, percependo una pensione integrativa al maturare dei requisiti anagrafici o di anzianità contributiva, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
Infine, a fronte dell’insostenibilità politica oltre che sociale della riduzione della spesa previdenziale in rapporto al PIL, non resta che intervenire sul denominatore, affrontando in modo strutturale i problemi posti dalla competitività del nostro sistema industriale e della produttività del lavoro, facendo delle transizioni in atto un’opportunità per la crescita del Paese attraverso interventi strutturali e una seria politica industriale di respiro europeo, adeguata alle sfide geopolitiche che l’UE è chiamata ad affrontare. Senza dimenticare l’esigenza di incrementare gli sforzi sull’evasione contributiva che tanto pesa sul piano dell’efficienza e dell’equità del sistema previdenziale.