Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 05 Venerdì calendario

Intervista a Paola Severino

«L’emergenza carceri è da affrontare nell’immediato. Con piccoli passi concreti: combattere il senso di isolamento e abbandono del detenuto, pensare ad attività che consentano un reale inserimento in società. Combattere la recidiva, che è la causa più profonda del sovraffollamento, dev’essere la priorità». L’ex ministra della Giustizia Paola Severino offre un’ampia riflessione sulla situazione carceraria. Una realtà che come rappresentante delle istituzioni, come avvocata, come presidente della fondazione Severino Onlus che si occupa di legalità, conosce bene.Il 2024, con 47 suicidi in carcere nei primi sei mesi, rischia di detenere un triste primato. Come mai?«I picchi di suicidi in carcere purtroppo sono ricorrenti».Fragilità? Senso di isolamento?«Una delle prime cause è il senso di abbandono, la lontananza dalla famiglia. A Torino incontrai un detenuto che aveva cercato di impiccarsi. Sa cosa mi disse?».Cosa?«Che volevano trasferirlo in un altro carcere. Lontano dai suoi affetti. Per questo penso sia importante curare la distribuzione dei detenuti in modo che siano vicini alle famiglie».Nelle carceri, denunciano i garanti, manca la minima attenzione alla dignità umana. Affermazione esagerata?«Chiunque di noi, messo al chiuso per 24 ore senza alternativa di pensiero e azione, arriverebbe a pensare al suicidio. Magari non lo metterebbe in atto, ma ci penserebbe. Per questo bisogna agire su più fronti. A partire da lavori e attività pensate per il reinserimento sociale e per consentire di vivere la detenzione in maniera meno drammatica».Molti detenuti, una volta tornati in libertà, non hanno né una casa né un lavoro. Quali prospettive una volta scontata la pena?«La paura di uscire dal carcere senza una prospettiva futura è un dramma. E il detenuto che esce dal carcere senza aver affrontato un percorso rieducativo inevitabilmente tornerà a delinquere. Con un danno enorme per la collettività. Vorrei fare un esempio concreto».Prego.«Un detenuto a Regina Coeli mi disse che, una volta libero, l’unico modo che aveva trovato per mantenere la figlia era tornare a fare il rapinatore. Una frase semplice che racchiude un enorme fallimento sociale».Secondo i dati, la mancanza del lavoro post carcerario è la causa principale della recidiva. Come risolverla?«Proponendo attività che consentano di imparare un mestiere».Per questo servono spazi e personale, che al momento mancano.«Per creare spazi occorre tempo. Ma mentre si pensa a come risolvere la questione strutturale, bisogna affrontare la situazione emergenziale. Con il contributo delle istituzioni carcerarie e del volontariato».Pensa a un impegno anche delle imprese?«Certamente. In Italia ci sono diversi settori nei quali manca il personale. Mancano camerieri di sala nei ristoranti, mancano operai specializzati nella costruzione dei ponteggi. Se alle imprese che assumono ex detenuti venissero riconosciuti sgravi fiscali, si creerebbe un circolo virtuoso».Il ministro Nordio ha parlato di un decreto «per umanizzare il carcere». Le proposte di questo Governo seguono la strada giusta?«La via mi sembra corretta. Di certo è l’unica da adottare in una situazione di emergenza, mentre si affronta in una prospettiva più ampia, ma che richiede tempo, il grande tema dell’edilizia carceraria. L’umanizzazione del carcere può avvenire in varie forme, ad esempio rendendo i detenuti consapevoli dei loro diritti e delle loro opportunità».Tramite interpreti? Educatori?«Certamente si. Per questo portiamo anche gli studenti dell’Università Luiss a curare uno sportello di counseling per dare risposta alle domande dei detenuti».I problemi delle carceri sono tanti e intrecciati tra loro. Da cosa partire?«La vera soluzione del problema sta nel dare al carcere una struttura educativa che eviti la recidiva. Solo così si combatterà efficacemente il sovraffollamento, garantendo però ai cittadini maggiore sicurezza».Molti detenuti soffrono di fragilità psichiche o di dipendenze. Non dovrebbero essere in comunità?«I centri sono pochi e con posti limitati».Da un lato si denuncia il sovraffollamento, dall’altro si spalancano le porte del carcere con maggiore facilità. Non è un controsenso?«Questo problema riguarda soprattutto i minorenni. In questo caso è il tema dello spaccio ad essere prevalente. E se di certo non si può lasciare libero uno spacciatore, anche se minore, non si può nemmeno pensare che il carcere sia la soluzione. Anche in questo caso, la chiave sono le attività lavorative».Anche tra i minori il tasso di recidiva è molto alto.«È vero, ed ecco che torniamo a parlare del sovraffollamento. I ragazzi hanno tutta la vita davanti. Ma se la loro vita è continuare a delinquere, allora le carceri saranno sempre sovraffollate. E non basterà costruirne di nuove». —