La Stampa, 5 luglio 2024
Intervista ad Antonio Scurati
L’avanzata dei populismi, la democrazia liberale sotto attacco, le simpatie dei sovranisti per Putin. Ma anche l’antisemitismo dei giovani di Fratelli d’Italia, la censura in tv, la sanzione a Serena Bortone, il ministro Sangiuliano. Antonio Scurati, con Fascismo e populismo, sarà domenica alle 21. 30 a Camogli. È il primo appuntamento della rassegna Parole e Voci sul mare.
C’è veramente sintomo che in Europa e nel mondo possa tornare qualcosa di simile al fascismo, considerati gli eventi internazionali ed elettorali delle ultime settimane?
«No, io nonostante tutto non credo che possa tornare qualcosa di simile al fascismo storico, come l’abbiamo conosciuto e come lo racconto nei miei libri. Ho sempre pensato che questo timore fosse fuorviante, nel senso che le minacce per la democrazia liberale che noi dobbiamo fronteggiare presentano solo alcune analogie con il fascismo storico, ma per altri aspetti hanno anche delle forti differenze».
Quali sono queste differenze?
«Ritengo che populismi e sovranismi siano una minaccia per la democrazia liberale, ma non nel senso in cui lo fu il fascismo storico e altre dittature novecentesche che apertamente proclamavano di abbattere la democrazia. Mentre questi movimenti si muovono e continueranno a muoversi all’interno delle regole del gioco democratico, animate però da una visione che in alcuni punti confligge con la democrazia di tipo liberale».
Un altro grande protagonista dell’attualità, riferimento di molti sovranisti, è Putin. Per lei Putin per molti versi è più simile a Hitler che a Mussolini…
«Sì, sul piano della sua azione storica e soprattutto dell’uso della guerra d’aggressione come strumento abituale, sistematico per la creazione o la ricostituzione di un’area il potere imperiale. Anche nella propaganda, oltre che poi nell’agire concreto, ricorda moltissimo l’Hitler del’38 e poi del’39. Le guerre d’aggressione che furono combattute dal fascismo, che pure ci furono e non lo dimentichiamo, io lo racconto proprio nel nuovo volume di M. che uscirà a ottobre, ci furono senz’altro. Ma ebbero comunque caratteristiche diverse da quelle hitleriane che il neoimperialismo putiniano richiama più direttamente».
Tra i movimenti sovranisti e populisti, a volte più sommessa, a volte esplicita, emerge una sorta di simpatia per Putin.
«Credo che sia importantissimo per tutti noi cercare, qualunque siano le nostre convinzioni, anche nette, di attenersi ai fatti, di conservare una misura di giudizio. È nei fatti che alcuni dei leader di questi movimenti, pensiamo al nostro Salvini, alla Le Pen, abbiano dei rapporti cordiali e delle manifestazioni di stima nei confronti di Putin».
Poi c’è il problema dell’antisemitismo che torna a riaffiorare. La vicenda dell’inchiesta di Fanpage non l’avrà stupita…
«Chi studia, conosce, analizza il retroterra storico e il substrato antropologico di Fratelli d’Italia sapeva e sa ciò che l’inchiesta di Fanpage ha rivelato. Cioè che da un lato non sono mai stati recisi i legami di memoria, di discendenza storico-culturale dal passato fascista e dall’altro c’è un sottobosco ma nemmeno tanto nascosto di giovani dirigenti, che siccome in alto quei legami non sono mai stati recisi, ripeto, legami di storia e memoria e identità, in basso o in maniera che potrebbe apparire grottesca e maldestra, ma comunque non meno orribile per questo, praticano simboli, riti, pregiudizi inveterati che riportano non solo e non tanto al fascismo storico, ma quanto al nazifascismo».
Questo riporta a un episodio recente accompagnato da forti polemiche.
«Se posso permettermi una nota personale, visto che se n’è molto discusso: il famoso monologo che poi fu censurato dalla Rai. In quel monologo ponevo alla presidente del Consiglio e alla sua classe dirigente una questione di tipo storico-culturale: il fatto che si ostinassero a non riconoscere nell’antifascismo un valore fondante della Costituzione, della Repubblica e che eludessero sistematicamente il tema urgente di una netta rescissione dei legami storico-ideologici con la storia novecentesca. Adesso, quando si affrettano a espellere dal partito questi elementi che manifestano apertamente l’antisemitismo, dovrebbero assumersi le loro responsabilità, perché l’una cosa è collegata all’altra».
L’ultimo atto è stata la sanzione di 6 giorni inflitta alla giornalista Serena Bortone.
«Posso dire che è sicuramente una forma di avversione, di punizione, da parte della Rai, che dovrebbe essere la nostra principale azienda culturale, di un suo professionista di indubbia capacità, che ha lamentato una limitazione della sua libertà di informazione. È sintomo di una tendenza fortemente illiberale che secondo me è visibile, una tendenza generale nel paese da parte di chi ci governa. Si manifesta in questo caso, come in tanti altri, una tendenza che dovrebbe inquietare chiunque abbia a cuore la democrazia liberale e che è di grave danno anche per l’azione del governo, soprattutto a livello internazionale».
Qual è la sua speranza?
«Io auspico che la classe dirigente che ci governa, che proviene da quella storia e che dice di aver chiuso i conti con quella storia anche se non l’ha mai fatto in una riflessione aperta, pubblica, condivisa, si discosti finalmente, cambi rotta. Perché se c’è veramente l’intenzione di innalzarsi al ruolo storico, di statista e non di capo di fazione o di partito da parte della presidente del Consiglio e del suo entourage, questa quest’astiosa, persecutoria, aggressiva attitudine nei confronti dei critici, degli antagonisti culturali e politici è veramente insopportabile».
Il caso di oggi sono contestazioni e fischi spariti nella resocronaca Rai dell’intervento del ministro Sangiuliano al Taobook.
«Non conosco l’episodio. Dico però che se un ministro si vuole proporre come interlocutore di un intero mondo culturale, annunciando che il suo è il tentativo di soppiantare una presunta egemonia culturale della sinistra per rivendicarne una di destra, deve almeno dimostrarsene degno. Deve ascoltare chi la pensa diversamente. Deve imparare ad accettare le critiche, saper distinguere la censura che proviene dall’alto e la contestazione che viene dal basso, che chi la pratica abbia ragione o torto. Il dibattito nel mondo culturale ha delle regole. Regole di civiltà, non di parte, partito o fazione».
Il caso Francia, dove lei è stato appena nominato cavaliere delle Arti e delle Lettere. È possibile che una consistente parte dell’elettorato sia diventato di estrema destra?
«Il caso francese è di straordinario interesse, è vitale per il destino dell’Europa. Se l’estrema destra francese dovesse prevalere e guadagnare il governo della Francia, io credo che il futuro sviluppo di un progetto politico necessario al benessere e al progresso dell’Europa si interromperebbe bruscamente. D’altro canto è uno dei capisaldi del loro programma, quindi ancora una volta non è questione di opinioni».
Perché, oltralpe, tanti voti si dirigono lì?
«Il discorso dell’estrema destra che apparentemente si è presa la scena collettiva meriterebbe invece tutt’altra riflessione. L’ascesa lenta del Fronte Nazionale, poi Rassemblement National, ormai data diversi decenni e ha accompagnato quella progressiva sfiducia nei confronti della democrazia liberale, quel senso di delusione, di tradimento e di paura e di rancore che si è andato diffondendo nella media, in parte anche nella grande borghesia, con i fenomeni dell’immigrazione, della decadenza economica e sociale dell’Europa. Quindi è un processo epocale che come tale merita di essere analizzato e compreso nelle sue ragioni profonde, perché ha delle ragioni profonde, e che soprattutto le persone che stanno dall’altra parte, che lo criticano e lo rigettano come me e come tanti altri, dovrebbero sforzarsi di comprendere». —