il Giornale, 4 luglio 2024
Intervista a Massimo Cacciari
Massimo Cacciari, che cosa significa «amicizia»?
«La parola può avere vari significati. Per esempio, il latino amicus non ha la forza e l’energia del greco philia, che è qualcosa di molto di più dell’amicizia, come noi la intendiamo: è un coappartenere, in cui il philos arriva a morire per l’amico. Nel mondo classico è comunque qualcosa che può accadere fra persone della stessa natura e cultura, affini: Aristotele dice che non si può essere amici né di uno schiavo, né di Dio. Nel contesto cristiano, questo significato muta: posso e debbo essere amico sia dello schiavo, sia di Dio. L’amicizia assume un significato più universale, ma si perde quella capacità di morire per l’altro».
Nella società di oggi che significato ha l’amicizia?
«Nessuno. È vissuta in termini totalmente individuali e personali. Non ha più un significato che la strutturi come valore universale, per cui la società sia improntata al valore dell’amicizia e combatta l’egoismo: la società funziona in base a valori totalmente diversi, egotici e individualistici. Può esistere, come valore, a livello del singolo individuo, ma non informa di sé l’intera comunità: non struttura il senso di una società, come nel mondo greco, latino e cristiano».
Si parla tanto di «amici» ma in realtà c’è molta solitudine: un paradosso?
«Si parla di guerra, di massacri, di tragedie... L’amicizia non è qualcosa di cui parlare: è qualcosa che si fa. È lavoro, opera, reciprocità, solidarietà. Di solitudine, invece, ce n’è quanta ne vuole».
Perché la solitudine è così diffusa oggi secondo lei?
«L’amicizia è ciò che supera in qualche modo la solitudine, è quell’energia che non ti fa sentire solo. Proprio l’assenza dell’amicizia come valore sociale implica una diffusissima solitudine, certamente non superata dalla superficialità dei social, anzi: essi sono una forma di solitudine, dominante».
La solitudine può essere anche positiva?
«Certo, per concentrarsi, riflettere e pensare bisogna essere soli: è impossibile farlo nella confusione. Ed è qualcosa che va rispettato, altrimenti fai grumo, non comunità... Questa solitudine però non è mai fine a sé stessa: scrivi per comunicare, per metterti in relazione a un altro, è qualcosa in relazione all’essere amico».
La solitudine ha un legame con le attività intellettuali?
«Secondo Platone cerchi un rapporto di amicizia con il prossimo e, allo stesso tempo, sei solo, se vuoi pensare e se vuoi farlo autonomamente. Così erano i filosofi: persone che vivono nella città ma sono sole; che sono distanti dalle opinioni comuni ma che hanno degli amici e, in questa comunità, elaborano anche delle idee...».
C’è una relazione fra amicizia e solitudine?
«Tra amici, si sa rispettare il silenzio dell’altro e il suo desiderio di restare solo: nello stare insieme ci deve essere il luogo della solitudine e del silenzio. Sono rapporti dialettici, tutti: nessun termine può essere compreso separatamente».