La Stampa, 4 luglio 2024
Farage è la variabile impazzita
Sarà eccesso di prudenza o una dose di scaramanzia insolita a queste latitudini, ma dinanzi a sondaggi che suggeriscono la valanga laburista, qualcuno nel partito invita alla cautela. Il motivo è che nelle Midlands e in alcune zone del Nord dell’Inghilterra, i candidati del Reform UK, il partito di Nigel Farage, stanno andando meglio del previsto e potrebbero sottrarre in una manciata di distretti il primo posto ai laburisti. Un segnale evidente di quanto la destra ultraconservatrice, che ha infarcito la retorica della Brexit con il tema dell’anti-immigrazione, faccia presa sull’elettorato.
Nigel, 60 anni, due mogli, 4 figli, un testicolo rimosso per un tumore diagnosticato tardivamente, ex parlamentare europeo, amante di tennis e golf, è da un decennio la variabile impazzita della politica britannica. Quando fu fatta la Brexit, sbandierò che si sarebbe ritirato visto che la missione di una vita era stata completata. Ci ripensò e tornò fondando il Reform UK di cui è chairman, etichetta con la quale viaggia oltreoceano da Trump a Mar-a-Lago e delizia il mondo Maga con aneddoti e humor britannico.
L’ultima svolta è di poche settimane fa, quando decise di volere un seggio a Westminster. Ha prenotato quello di Clacton- on- Sea nell’Essex: ha il 50% delle chance di essere eletto. Quanti compagni di partito avrà con lui dipende non dalle percentuali ma dalla vittoria nel collegio. Il sistema britannico è maggioritario uninominale secco, chi prende più voti è eletto, alcune proiezioni dicono 11 altre più realiste 5. Nel 2019, l’anno dell’ondata conservatrice, lo Ukip rimase fuori da Westminster.
Il suo Reform è salito nei giorni seguenti l’annuncio del ritorno in battaglia di Nigel dal 6% al 16% sino al 18% nel momento di più fulgido splendore, minacciando il secondo posto dei Tory sempre più spaccati su quale sarà la loro opzione finito il regno di 14 anni a Downing Street: sposare Nigel o continuare a respingerlo?
Il Regno Unito che vorrebbe Farage è a immigrazione zero, e per raggiungere l’obiettivo vorrebbe imporre una tassa ai datori di lavoro che assumono stranieri nelle loro aziende; ma anche far pagare ai dipendenti non britannici il 20% per la National Insurance contro il 13,8% dei britannici. Vorrebbe, Farage, ritirare il Regno Unito dalla Convenzione europea dei diritti umani e rovesciare le politiche green «che zavorrano la nostra economia». Sono temi che fanno presa. Gli elettori Tory tradizionali sono pronti a «tradire» proprio perché vogliono maggior durezza nelle politiche migratorie e controllo della spesa pubblica.
A gettare però più di qualche ombra sul Reform Party arrivano le dimissioni di due candidati a poche ore dalle elezioni. Denunciano un clima «sessista, misogino e razzista» nei ranghi del partito, pur assolvendo i vertici e lo stesso Farage. Georgie David, che avrebbe dovuto correre per un seggio dell’East London, appoggerà il candidato conservatore: «Non voglio che il mio nome sia associato a persone che manifestano queste idee». Prima di lei, aveva lasciato Liam Booth-Isherwood per lo stesso motivo: «Deluso dai continui report sui comportamenti nel partito». Il Times ha rivelato l’esistenza di post sui social oltraggiosi e misogini che coinvolgono simpatizzanti ed esponenti del partito a livello locale. Darren Ingrouille, candidato a Chelmsford, ha «litigato» con un utente su X finendo con definire gli autistici «vegetali». Farage si è scusato: «Non c’è posto per queste persone». Poi ha accusato la società che ha valutato il curriculum e la storia dei candidati di non aver fatto bene il processo di selezione. Sinora sono 7 le persone cacciate. Ma il fenomeno sembra ben più diffuso, almeno il 10% del partito è avvezzo a linguaggio scurrile, frasi omofobe, teorie cospirazioniste. Un candidato, Robert Smith, a Orkney and Shetland, sin dal 2016 si è scagliato contro Lagarde, «capo delle prostitute dei globalisti», contro JK Rowling, e ha augurato la morte a Nicole Sturgeon, ex leader indipendentista scozzese. Ma la lista potrebbe continuare.
Il Web è il regno in cui proliferano questi comportamenti ed è lì che c’è un altro punto debole per Farage, ovvero la presunta vicinanza a Putin. È noto che il politico britannico sia contrario all’adesione dell’Ucraina nella Nato. In passato aveva accusato l’Occidente di aver provocato l’invasione russa consentendo ai Paesi dell’Est di aderire all’Alleanza. Lunedì il primo ministro Rishi Sunak ha denunciato, citando dei dati dell’Unità contro la disinformazione (CDU) come sul Web la disinformazione e la diffusione di fake news siano in aumento e che «i follower di Reform usano le stesse tattiche dei russi per creare falsi account e influenzare gli elettori». Quanto insulti e fake news incideranno sul giudizio degli elettori sarà un altro dato che scopriremo stasera.