La Stampa, 4 luglio 2024
Intervista a Tim Parks
Tim Parks, 70 anni, scrittore inglese naturalizzato italiano: 19 romanzi all’attivo, con Europa nel 1997 è stato candidato al Man Booker Prize, traduttore in inglese di Calvino, Moravia, Tabucchi, Calasso. Il suo ultimo libro è Il cammino dell’eroe: a piedi con Garibaldi da Roma a Ravenna (Rizzoli). Gli chiediamo cosa pensa alla vigilia delle elezioni.
Mentre l’Europa e la Francia vanno a destra, nel Regno Unito è scontata la vittoria dei laburisti. L’incognita non è chi vincerà, ma di quanto. Inizia una nuova era?
«Guardando in giro uno si chiede chi sta messo peggio. Mi pare che la Gran Bretagna abbia già fatto le sue scelte. In Scozia probabilmente i seggi laburisti che erano stati conquistati dal partito nazionalista scozzese, torneranno in parte ai laburisti. Credo ci sarà più unità».
Mi sta dicendo che l’onda populista che ha portato alla Brexit si sta sgonfiando?
«Populismo è una parola che mi rifiuto di usare parlando di Brexit. Mi sembra una cosa inventata per squalificare chi prende una posizione diversa dalla propria. Non c’entra niente».
Lei non definisce “populista” la campagna di Farage che girava in pullman promettendo di dare al sistema sanitario nazionale 350 milioni al giorno destinati all’Europa? Era una balla e il giorno dopo l’ha confessato pubblicamente.
«Farage è un ruffiano. Ma anche il governatore della Banca d’Inghilterra diceva che Brexit avrebbe causato subito 10 punti di calo del Pil. E poi dopo il voto ha ammesso di aver gonfiato la cifra per incoraggiare la gente a votare contro. Da entrambe le parti hanno calcato forte la mano».
Se non sbornia populista, cosa è stato?
«L’Inghilterra ha sempre avuto un rapporto molto difficile con l’Ue. Nel 1974 ha votato per entrare, ma i francesi non volevano l’Inghilterra nel mercato unico. È una cosa complicatissima e il governo laburista non cambierà Brexit, ma cercherà di migliorare i rapporti con l’Ue».
Come vede Keir Starmer, il leader del Labour, che sarà Primo Ministro?
«Ha fatto una campagna elettorale volutamente incolore, non è un leader carismatico. Si capirà chi è da come governerà. Ma non vedo uno svolta socialista. È stato abbastanza spietato nell’eliminare la sinistra più tradizionale di Corbyn dentro il suo partito. Per convincere la gente che la sinistra non è pericolosa, ha rinunciato a ogni tema di sinistra. La cosa più di rivoluzionaria è togliere l’esenzione dell’Iva alle scuole private».
La sanità è l’ossessione del Labour. Adesso il sistema sanitario nazionale (Nhs) è devastato da tagli e privatizzazioni. Pensa che riusciranno a raddrizzarlo?
«La sanità è sempre la discussione più interessante in Inghilterra. Quando Starmer dice che neanche di fronte a una lunga attesa per un figlio seriamente malato si rivolgerebbe a una clinica privata, dà la misura dell’estremismo degli inglesi in fatto di sanità pubblica. Tutto è gratis, vedo molto più privato in Italia, soprattutto a Milano dove vivo ora».
Nigel Farage, capo del Brexit Party si è ricandidato con Reform Uk. Riuscirà a creare una forza politica di estrema destra?
«Grazie al sistema uninominale secco Farage non è mai riuscito a portare un deputato a Westminster e anche questa volta si parla di 10 deputati, ma non riuscirà a creare un nuovo movimento decisivo».
Potrebbe provare a scalare il partito dei Tory?
«I Tory sono in totale confusione. Rimpiazzeranno Sunak e cercheranno di fare appello ai ceti medi. Non vedo Farage che si impossessa del partito, ma la sfida è affascinante. È sempre il solito tema identitario».
Identità e quindi immigrazione. Come si può pensare di mandare gli immigrati in Rwanda?
«È un gesto assurdo. Ma se ci pensa lo fanno tutti. L’Italia manderà i migranti in Albania e l’Europa paga la Libia e la Turchia per tenerli lì. La differenza è solo l’esotismo della parola Rwanda, il gesto rimane quello di pagare per esportare le proprie immondizie».
Perché l’immigrazione fa così paura? Cosa è cambiato?
«C’è il turbamento grezzo per il diverso da te e una paura più profonda dell’erosione della cultura storica di un paese. Su questi temi i partiti si dividono in una maniera non classica, è trasversale».
Non è strano che l’immigrazione sia tema così importante anche per un paese come la Gran Bretagna che è sempre stato considerato la culla del multiculturalismo, della diversità eccetera?
«L’immigrazione di oggi ha totalmente altri numeri».
Londra della sua giovinezza non era etnica?
«La città ha sempre subito flussi migratori. A 18 anni da studente lavoravo in una fabbrica di plastica e facevo i turni di notte, 12 ore orrende. Era il periodo in cui vennero espulsi gli indiani dall’Uganda, arrivavano a centinaia di migliaia e io ero l’unico bianco nei turni di notte con loro. Fuori Londra non c’era tanta immigrazione, ora sì. L’integrazione è più difficile». —