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 2024  luglio 04 Giovedì calendario

Il personaggioL’interpreteè protagonista del film «Animali randagi»

Agnese Claisse, scattosa e irruenta, col suo volto da lupo ferito è perfetta per Animali randagi, l’opera prima di Maria Tilli ora nelle sale. Agnese è figlia di due attori. Una gloria nazionale, Laura Morante, e il francese Georges Claisse, scomparso tre anni fa. Nel film quando il padre, l’attore Ivan Franek, si sente male, lei piange sconvolta, capisce che la situazione è grave. Il suo vero padre era appena morto.
Chi è quella ragazza?
«È un po’ inasprita dalla vita e dall’amore per il padre che le è mancato. Lui è duro, autoritario, simile al mio. Lei tende a non fidarsi. Ha qualcosa che mi appartiene».
Perché?
«Perché mio padre (lo diceva lui stesso) non aveva fibra paterna. E ha fatto tre figli, con la stessa modalità. Morì sei mesi prima delle riprese di Animali randagi. Il film l’ho vissuto come una cosa mandatami da chissà chi per farmi elaborare le emozioni. È stato catartico. I miei si sono separati che avevo 10 anni, sono venuta in Italia con mamma. Mio padre è rimasto a Parigi. A casa sua non avevo nemmeno il letto. Mi voleva bene, ma a modo suo».
Ha vissuto con sua madre fino a non molto tempo fa.
«Mi è capitato di stare con lei tra una casa e l’altra. Più di una volta sono tornata e ripartita. Crescere con genitori celebri non è facile ma lo considero un privilegio, mi hanno trasmesso l’amore per cinema e letteratura. Da papà ho preso la rabbia, da mamma l’emotività, la timidezza, la fierezza. Mi aiuta, è generosa. Usare il suo cognome sarebbe una scorciatoia furba. Berlino mi piace perché è piena di verde, cultura e musica, e la gente non è frenetica».
È vero che non era una brava ragazza?
«Ma quando mai. Una rivista mi ha messo in bocca ‘sta frase... Mai detta. È vero che non volevo fare l’attrice».
Come ha vissuto la notorietà di sua madre?
«Non è facile da vivere, anche per chi sta intorno. È tutto un po’ falso, uno chissà cosa pensa che debba succedere. Oppure pensano che sei raccomandato, ti tirano i pomodori solo perché sei figlio di e non puoi farci nulla».
Con sua madre tornerebbe a recitare?
«Accidenti, sì! L’abbiamo fatto nei due film ferragostani di Paolo Virzì, dove interpreto me stessa, sua figlia. Ferie d’agosto è stato un capolavoro inconsapevole, non aveva la pretesa di esserlo».
Vero che Nanni Moretti…
Privilegio
Crescere con genitori celebri non è facile,
ma lo considero
comunque un privilegio
«Girò un filmino il giorno che compivo 12 anni, mentre con mamma girava ad Ancona La stanza del figlio. Molto carino, morettiano, lo conservo, è un filmino d’autore».
Carlo Verdone.
«Ebbi una particina in Io Loro e Lara, dovevo avere gli occhi chiusi e li chiudevo anche fuori scena. Carlo mi diceva: ma che fai, li vuoi aprire? E io: no, è per darti una mano».
Ha ancora una pistola tatuata sulla spalla?
«Mi sto facendo togliere tutti i tatuaggi. Sono le cavolate che si fanno da ragazzini. Non sono il tipo del marchio per l’eternità. Sono la personificazione dell’instabilità».
E il suo ribellismo?
«Mi vedo più rassegnata che ribelle. Addio periodo punk, avevo i capelli di qualsiasi colore. Ma sono rimasta libera di dire quello che penso. L’analisi? Ci vado dai 18 anni. Mi ha salvato».
A scuola come andò?
«Alle medie sono stata bullizzata, i ragazzini sono cattivi, avevo l’erre moscia per Parigi, l’apparecchio, gli occhiali e zero tette. Una volta mi misero in un angolo e mi gridarono cozza. Sembrava un film».
Lei è di una generazione tecnologicamente di passaggio.
«Esatto, siamo l’ultima generazione (ho 35 anni) ad essere cresciuta senza smartphone e con poco Internet, da piccola aspettavo venti minuti per prendere la linea. Non conosco l’alienazione di chi è venuto dopo. Ero in vacanza a Bangkok e in un ristorante italiano entrò un gruppo di ragazzi vestiti di bianco. Al tavolo si fecero selfie tutto il tempo. Non toccarono cibo per rivedersi sui social. Sono cresciuta senza quella roba lì e pur nelle mie inquietudini mi sono salvata. Ho capito che dovevo smussare certe cose».
Lei al confronto è vintage.
«Assolutamente sì».