Corriere della Sera, 4 luglio 2024
Democrazia, Mattarella: no all’assolutismo di Stato
Battersi perché non ci possano essere «analfabeti di democrazia». E per questo «No all’assolutismo di Stato e all’autorità senza limite»: il monito del capo dello Stato Sergio Mattarella. Che ricorda: il principio «un uomo, un voto» non sia distorto.
«Battersi affinché non ci possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti». È il presidente della Repubblica a lanciare questa esortazione, che cade in una fase nella quale il funzionamento delle democrazie è in difficoltà e a volte «persino in affanno», per nuove criticità e per vecchie e sbagliate soluzioni riproposte oggi. Accade, spiega, in quelle «democrazie imperfette» dove si ha una modesta presenza alle urne oppure «dove il principio “un uomo un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori».
Riferimento non casuale. Perché il termine «marchingegno», associato alla parola «rappresentatività», riassume certe scorciatoie che hanno portato a varie forme di «libertà vulnerate». Così, Mattarella si tiene in bilico tra passato (vedi la legge Acerbo con cui nel 1924 fu spalancata la porta al fascismo) e presente, citando en passant le «democrazie illiberali» (così l’ungherese Orbán definisce il regime del proprio Paese) o «depotenziate e affievolite». Una riflessione, la sua, che non sembra abusivo riferire anche al futuro dell’Italia. Con l’avvertimento preventivo, ma non necessariamente polemico, andando per esempio alla legge elettorale che si renderà necessaria a margine del premierato, a non esagerare giocando su soglie spropositate del premio di maggioranza. Un altolà che, del resto, era già stato pronunciato nel 2014 con una sentenza ad hoc della Corte costituzionale di cui il presidente era all’epoca membro.
E qui chiama a soccorso un giudizio del filosofo del dubbio e del dialogo Norberto Bobbio «quando ammonisce a non ricorrere a semplificazioni di sistema in nome del “dovere di governare”». Perché «una democrazia “della maggioranza” sarebbe un’insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà». In breve: una forma-Stato con le opacità di una quasi-dittatura.
Suona densa di preoccupati intenti pedagogici la lectio del presidente alla cinquantesima Settimana sociale dei Cattolici convocata a Trieste. I temi del dibattito vanno dal concetto stesso di democrazia alla partecipazione attiva dei cittadini, dal senso del limite di chi detiene il potere all’interpretazione autentica della Carta costituzionale. Questioni che Mattarella unisce mettendo a confronto le esperienze e i grandi maestri, per lo più laici, in cui tutto si tiene. Beninteso, purché sia in funzione della libertà e non delle sue limitazioni, come da più parti si pretenderebbe di declinare quella democrazia che «le dittature del Novecento hanno identificato come un nemico da battere» (ricordate la demoplutocrazia mussoliniana?), mentre gli uomini liberi «ne hanno fatto una bandiera».
Chiarificatore, per lui, è sempre Bobbio, il quale ricordava come le «condizioni minime della democrazia sono esigenti». E contemplano: «Generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possono violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze». Ovvio, comunque, che, per lui, «è la pratica della democrazia a renderla viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere».
Ed ecco le domande fondamentali, in questi tempi di involuzione dell’intero Occidente. «Ci si può accontentare che una democrazia sia imperfetta o a “bassa intensità”? Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente’’, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della cosa pubblica? Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori?». Sono i problemi che si pongono molti e ai quali il capo dello Stato replica con un preambolo: bisogna stare attenti a «non commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare», evocando – senza dirlo – lo spirito di fazione per cui gli anglosassoni qualificano noi italiani come malati di hyperpartisanship.
Presupposto di ogni sforzo, sottolinea Mattarella, «elaborare una visione del bene comune in cui si intreccino – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa». Analisi che lo porta a mutuare le parole definitive pronunciate nel 1945 dal giurista Egidio Tosato: «“Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo, può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe”. Un fermo no all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice».