la Repubblica, 4 luglio 2024
“Com’è stupido il nazionalismo”
«Alla Russia odierna manca un Sacharov, anche perché il dissidente che c’era a Mosca è stato ucciso in carcere. E all’Europa mancano un Thomas Mann, un Kant, un Voltaire. Abbiamo bisogno di un’autorità morale che spinga alla pace e al dialogo, anziché alla guerra».
Di guerra e pace, Jan Brokken ha scritto molto nei suoi libri di viaggi e di narrativa: il 75enne scrittore olandese, considerato l’erede di Bruce Chatwin e Graham Greene, ha raccontato la radice dei conflitti odierni, a cominciare da quello in Ucraina, in libri come Anime baltiche, Bagliori a San Pietroburgo, Il giardino dei cosacchi (tutti pubblicati in Italia da Iperborea). Grande conoscitore della Russia e dell’Europa dell’Est, l’8 luglio riceverà nel nostro Paese il Premio De Sanctis Europa per la letteratura. Alla vigilia del prestigioso riconoscimento, l’abbiamo interrogato su dove va il nostro continente e sul ruolo dell’intellettuale nel ventunesimo secolo alle prese con nazionalismo e populismo: «Bisogna stare attenti – avverte – a non confondere orgoglio nazionalista eidentità nazionale».
Cosa significa per lei questo premio, Brokken?
«Come notò giustamente Milan Kundera, l’Europa è il massimo della diversità nel minimo dello spazio. E questo è esattamente quello che mi piace del Premio De Sanctis, un premio italiano, assegnato quest’anno a uno scrittore olandese, a un filosofo francese, a un artista e due registi italiani, in un contesto europeo. Un premio nazionale con un carattere internazionale alla varietà della cultura europea. Un grande onore per me farne parte».
Nel suo libro “Anime baltiche”, ci ha insegnato che c’è una grande differenza tra nazionalismo e identità nazionale, una distinzione molto importante nell’Europa di ogni tempo, compreso il nostro.
«Il nazionalismo è stupido. Il mondo è molto più vasto di un singolo Paese o di una singola cultura. Posso tifare per la squadra del mio Paese agli Europei di calcio e riconoscere che un’altra gioca meglio. Posso commuovermi davanti a un campo di tulipani olandesi e denunciare il pericolo del nazionalismo Uber Alles.E al tempo stesso l’identità è importante: i Paesi baltici non esisterebbero più, se estoni, lettoni e lituani non fossero stati nel corso dei secoli incredibilmente orgogliosi della propria lingua, della propria musica, della propria cultura e del proprio stile di vita.
Dopo l’aggressione russa all’Ucraina, i Paesi baltici hanno immediatamente appoggiato una dura reazione, perché conoscono i russi: se mostri debolezza, la tua identità nazionale è perduta».
Come vede la guerra in Ucraina, quasi due anni e mezzo dopo l’invasione russa?
«Come una guerra in cui non ci saranno vincitori, bensì soltanto sconfitti. Se vince la Russia, nessuno al mondo si fiderà più di Mosca. Se l’Ucraina resiste e alla fine coraggiosamente prevale, dovrà comunque richiedere al proprio popolo un incredibile sforzo per almeno vent’anni perricostruire il Paese. Non faccio che pensare: che spreco di vite, denaro, risorse, intelligenza. E tutto questo grazie a Putin, che non poteva accettare il fatto che l’Impero russo si è considerevolmente ristretto dal 1989 in poi».
E come giudica la reazione occidentale?
«L’Europa ha formato un fronte unito di sostegno a Kiev, sia pure con varie sfumature. Ma è triste pensare che non un solo leader occidentale abbia avuto la capacità di persuasione, l’abilità diplomatica o il carisma per fermare Putin».
Nemmeno dal fronte intellettuale sono emerse iniziative convincenti sulla guerra…
«Non abbiamo più un Kant o un Voltaire: un’icona letteraria con grande autorità morale. Thomas Mann è stato un problema per Hitler, Hemingway per Francisco Franco, Achmatova, Pasternak e Solgenitsyn per l’Unione Sovietica. Oggi non abbiamo un Sacharov».
Perché non lo abbiamo?
«Un’istruzione insufficiente, non abbastanza attenzione alla letteratura, alla filosofia, all’arte, e il populismo. Io sono cresciuto con la contestazione alla guerra nel Vietnam. Adesso c’è una guerra terribile in Europa e non sentoproteste».
L’Occidente fa bene a isolare la Russia, come reazione alla guerra?
«È giusto isolare Putin, ma è sbagliato confondere Putin con tutta la Russia, con tutti i russi.
Dostoevskij fu protagonista di una lotta titanica contro lo zar Nicola I.
Quarant’anni fa il pianista Yurij Egorov mi disse: “Jan, la dittatura sovietica non ha nulla a che fare con la Russia della poesia, della musica, del teatro, io sono russo, non sovietico”. Ma oggi non potrebbe ripetere le stesse parole.
Oggi c’è soltanto una Russia: un Paese aggressivo e antidemocratico, privo di ogni valore morale, nel quale l’unico intellettuale dissidente, Navalny, è stato ucciso».
Perché la guerra è spesso al centro delle sue opere?
«Perché è stata al centro della vita di quattro membri della mia famiglia: mio padre, mia madre, i miei due fratelli, tutti mentalmente e fisicamente marchiati dalla guerra. La lezione è che, quando sei investito da un conflitto, la guerra non finisce veramente più. Trovo insopportabile pensare che i giovani europei, fra venti o trent’anni, saranno ancora condizionati dalla guerra dei propri genitori”.
Quale sarà il suo prossimo libro pubblicato in Italia?
«Si intitola La scoperta dell’Olanda.
Parla di 1486 artisti stranieri che trovano rifugio in un villaggio di pescatori olandese dove trovano mare tempestoso, cielo azzurro e soprattutto tolleranza. È il mio libro più ottimistico, ambientato in un periodo meraviglioso per l’arte, tra fine Ottocento e primo decennio del Novecento, che però finisce con la Grande Guerra. C’è sempre un elemento di autodistruzione in Europa. Un istinto in cui io trovo le radici del populismo. Nonostante tutti i nostri capolavori della letteratura, dell’arte e del cinema, a un certo punto ci mettiamo a combattere gli uni contro gli altri».