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 2024  luglio 04 Giovedì calendario

Harris erede naturale. Ma per i sondaggi la più popolare è Michelle Obama


«Con una mamma indiana e un papà giamaicano, la District Attorney Kamala Harris assomiglia a una versione californiana di Barack Obama», notò il quotidianoLos Angeles Times nell’ottobre 2004, un mese prima dell’elezione di Obama al Senato: dodici anni dopo la magistrata Harris diventò, a sua volta, senatrice, per candidarsi nel 2019, sconfitta, alle primarie democratiche per la Casa Bianca, diventando però nel 2020 la prima donna vicepresidente, con Joe Biden presidente.
Oggi è lei, 60 anni fra tre mesi da bambina scortata in bus a scuole integrate con scolari bianchi, cresciuta Hindu, convertita alla Chiesa Battista, fidanzata con l’ex sindaco di San Francisco Willie Brown, che le offriva pingui consulenze per 400.000 dollari, ora sposata con l’avvocato Douglas Emhoff – a essere in testa al drappello dei presunti successori di Biden, ove l’anziano presidente cedesse a chi gli chiede uno storico passo indietro.
Nel sabba di promesse, ricatti, sogni, ambizioni, illusioni, investimenti, nepotismi, ideologie che trasforma il partito democratico nel Gattopardo d’America, i commentatori filo repubblicani delWall Street Journal distillano veleni, suggerendo che la cerchia di Biden indichi in Kamala Harris l’erede diretta per spaventare gli elettori moderati, costringendo lo stato maggiore a rinominare alla Convenzione di agosto, a Chicago, il vecchio leader.
Harris aveva debuttato accusando Biden di essersi opposto all’integrazione forzata delle scuole anni Sessanta, il controverso “busing”, bambini bianchi nei ghetti e studenti neri nei quartieri alti, «quando io ero una bambina su quei bus»; poi l’amicizia con Beau Biden, primogenito del presidente scomparso nel 2015, li aveva rappacificati. Ora la vicepresidente studia la campagna del New York Times contro Biden, prende atto che la decana Nancy Pelosi invoca un candidato diverso, sa che le regole assegnerebbero a lei il tesoro dei 264 milioni di fondi della campagna elettorale e che nessun altro pretendente potrebbe reclamarli.
I sondaggi non privilegiano Kamala Harris, le prove opache su emigrazione e controllo del Senato, quando era diviso 50 a 50 con l’opposizione repubblicana e toccava a lei, vicepresidente, il voto decisivo, ne limano l’aplomb. Eppure, la tradizione militante dello “Yellow Dog Club” – già evocata dal futuro presidente Lincoln nel 1848 – raccoglierà comunque gli elettori che non disertano mai il partito. Milioni di “yellow dog” democratici si opporranno dunque a Donald Trump chiunque lo fronteggi, il canuto Biden, Harris, l’affascinante governatore della California Gavin Newsom, quello dell’Illinois J.B. Pritzker, erede di una dinastia di imprenditori, la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, Stato del Midwest che ha assegnato la presidenza in 9 delle ultime 12 votazioni.
C’è poi un nome adorato in Europa, coccolato dai talk show liberal, negato con vigore dall’ex presidente Obama, assolutamente smentito dai comunicati ufficiali, che pure, in un sondaggio
Reuters/ Ipsos di martedì, stronca perentorio Trump, con un massiccio 50 per cento a 39, sommando al branco degli elettori fedeli, i “cani gialli”, il favore di donne, moderati, indipendenti. È Michelle LaVaughn Robinson Obama, 60 anni compiuti in gennaio, avvocato con studi a Princeton e Harvard, due figlie, Malia e Sasha, un antenato schiavo nelle piantagioni del Sud, l’antenata Melvinia Shields, costretta alla gravidanza nel 1860 dal giovane padrone bianco.
Elegante, materna, sportiva, affabile, metodista protestante, professionista di grido, First Lady del marito Barack, Michelle Obama non ha mai vinto una elezione, affrontato un faccia a faccia tv con un rivale sfacciato alla Trump, subito schifose polemiche online, ormai abituata a essere rispettata, omaggiata, venerata dai sostenitori. Ce la farebbe contro l’arsenale di insulti sessisti e insinuazioni che, dal podio, le riserverebbe Trump, come fece con Hillary Clinton? Online, preventiva, è partita una campagna di disinformazione via Instagram che tarocca foto di Obama studente con un amico, sostenendo che Michelle abbia cambiato sesso e fosse, da giovane, un uomo: ove nominata, queste calunnie diverrebbero virali, secondo un rapporto riservato del Diprtimento di Stato, con il supporto di governi ostili, via Intelligenza artificiale.
Kamala o Michelle? O uno dei governatori giovani e popolari? O il veterano Joe, eletto al Senato nel 1972? La battaglia politica lacera i democratici, che non vanno a una Convenzione aperta dal 1968, anche allora a Chicago. Il tempo stringe, i fondi bloccati saranno un guaio, Trump spadroneggia online, nei comizi, alla Corte Suprema. Chiunque la spunti in agosto, potrà contare però su due passioni irriducibili: l’amore degli “yellow dog” per i Democrats, e l’odio viscerale che anima mezza America contro Donald Trump. Basteranno?