la Repubblica, 4 luglio 2024
Premierato o presidenzialismo assoluto? I dubbi di Meloni
La scintilla potrebbe diventare proprio il premierato. Giorgia Meloni inizia a dubitare di tutto: strategia, percorso, orizzonte finale della riforma. Sia chiaro: non è pentita, semmai preoccupata di mancare l’obiettivo. Teme di compattare i suoi avversari. Sostiene in privato di sentire il Quirinale ostile al ddl costituzionale (e ieri ne avrebbe tratto – riferiscono – una nuova, palese conferma). Ha paura di schiantarsi sul referendum, senza neanche portare a casa quello che sognava: un Presidenzialismo assoluto, che attribuisca ancora più poteri a chi comanda. Dunque dubita. Ne ha parlato di recente con i più fidati strateghi: Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, la sorella Arianna, Francesco Lollobrigida e gli altri due o tre ministri di cui si fida. Ha il terrore di aver scelto il percorso sbagliato, anche se pubblicamente continuerà a dire che tutto procede al meglio (almeno finché non deciderà sul da farsi). Immagina correzioni di rotta per divincolarsi dalla morsa. Senza escludere più alcuno scenario, in queste ore. Compreso quello del reset: elezioni anticipate, nuova legittimazione popolare e, solo a quel punto, una riforma presidenziale senza più ostacoli lungo il cammino.
Per inquadrare la tempesta in corso, bisogna tornare indietro di pochi giorni, a inizio giugno. Tutto perfetto, ogni dettaglio al suo posto: l’ulivo secolare a reggere il tavolone dei Sette grandi e Meloni al centro della scena. In tasca il 28,8% delle Europee. Una premier vincente – non come gli altri leader del summit, uno più debole dell’altro – a danzare la pizzica nella finta piazzetta del resort di Borgo Egnazia. Tre settimane dopo, il mondo capovolto: lapresidente del Consiglio umiliata nella trattiva sui top jobs europei, fuori dalla maggioranza della prossima Commissione, all’angolo e costretta a scusarsi per le scandalose rivelazioni eternate dai video di Fanpage. E ancora, Palazzo Chigi senza una lira in cassa per provare anche solo a immaginare un riscatto con la prossima manovra, con il rischio di un assalto autunnale dei mercati ai titoli di Stato italiani (nel pieno di una procedura d’infrazione per deficit eccessivo). Come non bastasse, ci si è messo anche Matteo Salvini, benedicendo un gruppo di “patrioti” putiniani di cui lei, la premier, dovrà rendere conto oltreconfine con imbarazzo: ai tavoli Nato, alla Casa Bianca e nelle principali Cancellerie europee.
Indebolita e preccupata, Meloni ètornata dunque in questi ultimi giorni a immaginare (sognare, pianficare, il verbo è in costante evoluzione) un nuovo inizio. Non è la prima volta: già prima delle Europee aveva valutato questo scenario (lo ha confermato Guido Crosetto in un’intervista a Repubblica, «se avesse ottenuto il 23% – disse all’indomani della vittoria – oggi questo governo forse non ci sarebbe più»). Ecco, in questo flusso di coscienza meloniano, la presidente del Consiglio osserva i limiti del premierato e ragiona sul da farsi. Non ha mai amato questo ddl, considerandolo una copia sbiadita del progetto del Presidenzialismo caro alla destra (e ad Ignazio la Russa, che la consiglia e la influenza). Ha senso rischiare di perdere tutto con un referendum? Potrebbe invece convenire anticipare le elezionied approvare soltanto dopo il presidenzialismo, a cui seguirebbe comunque il passaggio referendario (anche perché, fallisse la riforma, sarebbe comunque il prossimo Parlamento a scegliere il successore di Mattarella, e la destra ci punta).
È una strada che presenta rischi enormi. Significherebbe forzare la mano per uscire dall’angolo. Il lavacro elettorale come nuovo rilancio. Resta il dubbio: minaccia tattica o voglia genuina di riscatto? Forse entrambe le cose. Di certo, registrare quello che circola a Palazzo Chigi – anche solo per stanchezza o frustrazione – aiuta a decifrare alcuni segnali recentissimi. Intanto l’offensiva della Lega, che sparge ostacoli lungo il cammino: l’emendamento sui balneari, la proposta sul canone Rai che colpirebbe Mediaset, il matrimonio putiniano di Salvini con Orban. E ancora, lo sbandamento nella gestione della mediazione con Ursula von der Leyen: una battaglia che sembra già persa e che comunque Meloni dovrà gestire, probabilmente con un’astensione all’Europarlamento. La frattura sull’autonomia con Forza Italia, che può danneggiare il governo. E poi il timore che tiene svegli il Colle e ministri di peso come Tajani e Giorgetti ma anche le strutture del Tesoro e della Ragioneria – di un autunno da brividi sul fronte dei conti. Senza soldi, con un rientro di almeno dieci miliardi già nel 2024. Infine, il caos sui decreti: sono nove e da approvare in 35 giorni. Ieri il ministro Luca Ciriani – sostenuto da Meloni – ha avvertito i colleghi: rispettiamo la tabella di marcia (tradotto: limitiamo al massimo le modifiche) altrimenti salta il banco. Qualcosa non gira nel verso giusto. E a Meloni torna in mente il reset.