il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2024
I giochetti proibitidi un mini-Macron
Macron voleva vedere l’effetto che fa. Il 9 giugno aveva appena sciolto l’Assemblea, per brutale ripicca e senza neanche avvisare il premier Attal, e con sorriso beffardo bisbigliò a un amico finanziere incrociato all’Eliseo: “Certo che sto bene! Gli ho gettato tra le gambe una bomba a mano senza sicura, e adesso vediamo come ne escono”.
Giocava ai soldatini e gli è andata male. Credeva di controllare tutto, e ora controlla giusto il rettangolino di terra su cui poggia i piedi.
Al primo turno delle Legislative ha assistito all’agonia del proprio partito, Renaissance, e alla quasi scomparsa della destra postgollista dei Radicali. Questi ultimi già s’erano disintegrati, l’11 giugno, quando Éric Ciotti, loro presidente, si alleò con i vincitori provvisori del giochetto di Macron: Marine Le Pen e Jordan Bardella. La lotta ora avrà come protagonisti cruciali la sinistra unita, che supera di gran lunga Macron, e un’estrema destra che non ha la maggioranza assoluta, ma che spera al secondo turno di ottenerla. E di trascinare con sé i Repubblicani restati fuori, se la maggioranza sarà parziale.
Torna dunque il conflitto destra-sinistra, solo che non è più destra ma estrema destra (Marine Le Pen tentò di abolire l’aggettivo “estrema”, ma nel marzo scorso il Consiglio di Stato glielo lo vietò). Macron aveva definito arcaico il conflitto, alle Presidenziali del 2017 e 2022. In ambedue le occasioni aveva promesso di sbarrare la strada a Le Pen, e ora è proprio lui ad aprirle i cancelli del potere, in una campagna che lo ha visto usare la sinistra radicale di Mélenchon come principale se non unico bersaglio.
Lunedì è parso svegliarsi. Ora auspica un Fronte Repubblicano per evitare che l’estrema destra ottenga la maggioranza assoluta, e non esclude più la desistenza dei propri candidati che al turno di domenica prossima restano in lizza come terzi (cosiddette triangolari). È giunto sino a ricordare ai ministri che nel 2017 e 2022 furono le sinistre a dargli la maggioranza: “Senza di loro nessuno di voi sarebbe qui”. Neanche lui.
Ben tardiva resipiscenza, che potrebbe raddrizzare le cose ma difficilmente. È mancato l’appello pubblico: dall’Eliseo è arrivato appena un sussurro a redazioni e reti Tv. E manca l’invito esplicito a ritirare tutte le candidature centriste arrivate al terzo posto e a votare per le sinistre, anche quelle calunniate di Mélenchon (“Bisognerà valutare caso per caso”). Per tutta la campagna elettorale, fin quando a sinistra è nato il Nuovo Fronte Popolare, Macron è stato ben più aggressivo con Mélenchon che con Bardella, e così si sono comportati Attal e i ministri. L’estrema destra era un pericolo per l’economia, ma Mélenchon era l’ignominia personificata: dopo il primo turno Macron lo definì antirepubblicano, antiparlamentare e soprattutto – l’accusa più infamante e menzognera – antisemita, per via del sostegno di France Insoumise (“Francia Indomita”) allo Stato Palestinese. Non solo: il costo delle riforme di Bardella ammontava secondo l’Eliseo a 100 miliardi, quello delle sinistre a 300.
La svolta in extremis del presidente pesa poco, per ora. Ben sette ministri ripetono come automi la formula presidenziale delle settimane scorse: “Né Bardella né Mélenchon”. Solo alcuni auspicano una “desistenza incondizionata” a favore di qualsiasi candidato di sinistra capace di vincere nelle triangolari.
Il ripensamento presidenziale, la presa di coscienza di alcuni macroniani, la proposta di Attal di una maggioranza alternativa che comprenda tutta la sinistra, qualora Bardella non avesse la maggioranza assoluta: sono elementi che potrebbero contare, ma è probabile che le scelte degli elettori abbiano ormai messo radici. In primo luogo perché anche se al primo turno non votano maggioritariamente Le Pen, di sicuro la maggioranza detesta Macron. In secondo luogo perché Bardella stesso ha cambiato idea. Aveva detto che avrebbe governato solo con la maggioranza assoluta e ora gli va bene anche quella relativa, sicuro com’è che i Repubblicani non passati all’estrema destra lo sosterranno dopo il secondo turno.
Il fatto è che la vittoria totale o parziale di Bardella/Le Pen non si decide solo tra i partiti e neppure solo tra gli elettori. Essa è oggi favorita da una vasta maggioranza in parte occulta, potente, spregiudicata. Sono i veri poteri che muovono le pedine: i grandi magnati che posseggono giornali e Tv (Vincent Bolloré in prima linea, detto anche Barone Nero perché protettore di Le Pen, Dassault, Bouygues, l’armatore Rodolphe Saadé), e inoltre i poteri finanziari, la Confindustria, le varie lobby industriali che temono come la peste le proposte delle sinistre: la giustizia fiscale progressiva in primis, smantellata da Macron, e le tasse sui redditi alti, le imposte sulle multinazionali e sulle aziende che più hanno profittato della crisi pandemica e inflazionistica (farmaceutica, energia, ecc.). C’è infine la lobby israeliana, sostenuta da intellettuali fossilizzati e tuttavia regolarmente invitati in Tv (Bernard Henri Lévy). Serge Klarsfeld, illustre studioso della Shoah, ha annunciato che in ogni caso meglio Le Pen di Mélenchon.
Per tre settimane c’è stato un coro unanime contro Mélenchon, figura trainante del Nuovo Fronte Popolare. Se si esclude qualche giornalista, nessuna rete radiotelevisiva, pubblica o privata, ha maneggiato senza malafede l’accusa di antisemitismo, lanciata contro chiunque avesse manifestato per i palestinesi decimati a Gaza, pur condannando il pogrom del 7 ottobre. Nessuna che abbia cercato di capire il ruolo di Mélenchon, la sua popolarità nell’elettorato popolare.
Macron e i suoi fedeli fanno capire che si può discutere e governare con “socialdemocratici e moderati” del Fronte Popolare, in caso di vittoria parziale dell’estrema destra. Quello che non calcolano è che Mélenchon esce dal primo turno molto più forte di socialisti, ecologisti e moderati.
In Italia ci sono commentatori – ad esempio al Foglio – che non s’allarmano, perché le Borse son calme e “l’instabilità politica non vuol dire automaticamente instabilità economica e finanziaria, in particolare se si tratta della seconda economia dell’Eurolandia”. Forse ci siamo talmente abituati all’estrema destra governante che ci abbiamo fatto il callo. Non a caso Bardella studia l’Italia, ripromettendosi di caldeggiare come Meloni Eurolandia e Nato.
Forse però si trascura il fatto che il piano Bardella ha elementi da noi improponibili. Tra i suoi progetti c’è l’impegno a non assumere in imprecisati “posti sensibili” i cittadini binazionali (3,5 milioni); l’assistenza sanitaria negata a immigrati irregolari, con rischi enormi per la salute di tutti; gli assegni familiari tolti ai genitori di minorenni recidivi. Alle domande scomode di sinistra, Bardella risponde con sorriso agghiacciante: “Eccoci, Jean Moulin è di ritorno!” (resistente morto in deportazione).
I mercati forse apprezzano, mini-comuni e Francia rurale si sentono ascoltati, ma il Paese intero non potrà che soffrirne e spezzettarsi.