la Repubblica, 3 luglio 2024
Nasce Disability Pride
Sono state gettate le basi per la nascita di una prima rete nazionale delle persone con disabilità che si esprimerà con un Disability Pride Month: a luglio. Ed è possibile solo grazie alla tecnologia che accorcia distanze e abbatte barriere. La scelta del mese non è simbolica: negli Stati Uniti si celebra a luglio dal 2015 per commemorare l’iconica protesta del 1990 passata alla storia come Capitol Crawl. «Fu necessaria a ottenere l’ Americans with Disabilities Act – spiega l’attivista Sofia Righetti – fu la scalata faticosa, ma orgogliosa, dei gradini del Campidoglio da parte di un migliaio di persone disabili. Ci insegna e ricorda che i diritti passano dalla fatica della lotta». Ed è nell’ottica della lotta e della pressione politica che in Italia è nata la rete: una cordata di associazioni pre esistenti e militanti hanno risposto alla chiamata di una singola persona, Marta Migliosi, che ha visto la necessità di creare uno spazio «separato e indipendente – sottolinea – dopo la manifestazione del 25 novembre diNon una di meno,
quando noi persone con disabilità siamo state invisibilizzate ed escluse». La rete Disability Pride Month conta tra le prime centinaia di adesioni anche le divulgatrici Sofia Righetti e Barbara Centrone (Barbie Queer) che si aspetta «l’adozione dell’intersezionalitá come strumento, che si abbandoni definitivamente lo sguardo patologizzante e che le associazioni che ne fanno parte amplino i propri orizzonti e la propria azione per lottare insieme: lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità». E non sono poche, né per quantità né per qualità: le persone con disabilità in Italia sono oltre il 5% della popolazione e la miopia culturale di chi legifera rende l’autonomia un miraggio per molte di esse. E non sitratta dei Lea, livelli essenziali di assistenza che garantiscono le cure e i dispositivi necessari per affrontare il quotidiano ma «di strumenti per una vita indipendente dal welfare familiare, una carriera e non le assunzioni in categoria protetta, il diritto all’istruzione e non il privilegio per pochi», dice Migliosi. È un sistema che esclude, quello italiano. Nonostante la legge Delega: «Ha cambiato un po’ le cose – continua – ma esclude chi ha disabilità gravi e invece nessuno deve restare indietro. Per le politiche sociali il momento è buio: mancano persone competenti e istituzioni lungimiranti».
E si solleva un tema non secondario: «Ogni persona con disabilità è un universo a parte con esigenze, esperienze e desideri a parte: vederci come una comunità piatta è un ennesimo segno di sguardo abilista – specifica Carmelo Comisi, dell’associazione Disability Pride – le interviste o le interlocuzioni con la politica saranno sempre parziali perché limitate all’esperienza della persona che parla in quel momento». E ancora, «un grande esempio di cultura abilista è il modo con cui si affronta il tema dello spazio pubblico – dice l’attivista Marianna Monterosso – il Peba, piano di eliminazione delle barriere architettoniche è pensato solo per le barriere fisiche mentre le persone sorde sono alienate dall’assenza di dispositivi che le informino negli spazi pubblici o nella televisione pubblica e quelle neurodivergenti e nello spettro autistico pure. Per noi poste, scuole, uffici e spazi pubblici sono proibiti, chiaramente anche le manifestazioni e i cortei: l’unica piazza davvero accessibile è il digitale». E infatti se i social hanno un pregio è l’accessibilità quasi totale. In una società che immagina i suoi spazi attraversati solo da corpi abili «solo nel digitale possiamo incontrarci e costruire una comunità per lottare», conclude Migliosi.