Corriere della Sera, 3 luglio 2024
Londra-Ue, un legame necessario
Grandi svolte, questa settimana, sulle due sponde della Manica. Quanto siano importanti per l’Unione europea le elezioni per l’Assemblea Nazionale francese è evidente in queste ore. Ma anche il voto di domani per la Camera dei Comuni britannica può essere di notevole rilievo per la Ue, se Londra e le capitali del continente sapranno cogliere l’opportunità che apre questo 2024 di appuntamenti elettorali a ripetizione. La prima settimana di luglio potrebbe essere l’inizio della fase post-Brexit otto anni dopo il referendum che staccò il Regno Unito dal continente: la costruzione di una relazione nuova a beneficio di entrambe le parti.
La Gran Bretagna ha molto da guadagnare se riprende il rapporto con il mercato e con l’entità politica dell’Europa. E grandi vantaggi possono arrivare alla Ue, soprattutto in un periodo di disordine internazionale, di guerre e di cambiamento dell’economia mondiale. È di questo secondo aspetto che negli anni scorsi si è parlato poco: i britannici hanno pagato un prezzo per la loro scelta e per l’incapacità dei loro governi conservatori di gestire in positivo la Brexit; anche gli europei hanno però subito conseguenze negative – seppure tenute nell’ombra – da quel referendum del 2016. Se le novità politiche che stanno maturando nel continente e a Londra porteranno a riconoscere questa doppia realtà, i vantaggi saranno consistenti per tutti.
N on si tratta di parlare del passato: il Regno Unito non terrà un altro referendum per rovesciare la decisione del 2016. Il più che probabile vincitore delle elezioni con una super maggioranza, il laburista Keir Starmer, lo ha escluso: sa che ciò aprirebbe un periodo di instabilità politica e sociale ingestibile. Il ruolo positivo che i britannici – politici e funzionari – svolgevano a Bruxelles (erano per molti versi i più attivi e diligenti) non è dunque ripetibile. E non è nemmeno nelle carte la spinta liberale che Londra portava in economia e si confrontava con il dirigismo francese per poi trovare una mediazione tedesca. Questi tempi non possono tornare. C’è però un clima nuovo, dettato dalle tensioni internazionali, dall’affanno politico della Ue e da un nuovo governo britannico dopo 14 anni di dominio conservatore: impone punti d’incontro di rilievo.
Il più ovvio e immediato spinge verso la collaborazione per la difesa dalle minacce crescenti portate da dittature e autocrazie. Non è solo che il Regno Unito, come la Francia, è una potenza nucleare e ha un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il che è già parecchio in un pianeta nel quale la sicurezza va difesa con la dissuasione e con la diplomazia. È che i britannici continuano ad avere un approccio globale ai fatti del mondo, a differenza di gran parte delle capitali europee concentrate soprattutto sui rapporti interni alla Ue.
Lo si è visto nel momento dell’invasione russa dell’Ucraina, quando Londra non ha avuto esitazione nel valutare la minaccia costituita da Putin, ad armare Kiev e a fare training ai soldati ucraini. Non solo. La Gran Bretagna sta sviluppando una politica intensa verso l’Indo-Pacifico: sta entrando nella partnership di libero scambio transpacifica (Cptpp) e fa parte dell’alleanza sulla sicurezza Aukus con Australia e Stati Uniti. C’è chi ritiene questa proiezione velleitaria per una media potenza, fatto sta che una collaborazione con Londra su questi aspetti aprirebbe alla Ue a una visione meno parrocchiale delle dinamiche mondiali: difficilmente un primo ministro britannico assicurerebbe a Xi Jinping che la pressione cinese su Taiwan non è di suo interesse, come invece fece Emmanuel Macron.
Sempre dal punto di vista geopolitico, la «relazione speciale» tra Londra e Washington è spesso esagerata dai governi britannici. Ciò nonostante, esiste e può diventare importante per la Ue nel caso di una vittoria di Donald Trump in novembre: i rapporti Usa-Ue e all’interno della Nato diventerebbero difficili e coordinare una posizione politica assieme a uno dei Paesi forti dell’Alleanza Atlantica, anglosassone ma non americano, sarebbe un vantaggio per l’Europa.
C’è poi l’economia. Se ci si mettesse nella prospettiva di ridurre gli ostacoli al commercio seguiti agli accordi post-Brexit sul mercato unico europeo e sull’unione doganale, molte imprese ne beneficerebbero, non solo nel Regno Unito. Su questo, i governi britannici hanno fatto errori ma anche gli europei hanno tenuto una rigidità punitiva nei confronti di Londra, forse comprensibile ma poco saggia. Soprattutto, si sono fatti del male quando hanno creduto che la City di Londra fosse riproducibile sul continente, a Francoforte, a Parigi o ad Amsterdam. Non è successo: la piazza internazionale della capitale britannica è il risultato di qualche secolo di storia e rimane uno dei due maggiori centri finanziari del mondo. Nel momento in cui la Ue ha, per rilanciare la propria competitività, l’urgenza di creare un mercato unico dei capitali, ha bisogno di una piazza finanziaria sofisticata, efficiente e internazionale, e questa c’è. È possibile togliere ostacoli a un rapporto reciprocamente vantaggioso tra la City e il mercato della Ue? Sì, se lo si vuole.
Le opportunità per sciogliere le nebbie sulla Manica sono molte. Non è scontato che vengano colte. Dipenderà dalle politiche di Sir Keir se diventerà primo ministro a Londra. E dai governi europei: in testa quello di Parigi dopo le elezioni di questa potente settimana.