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 2024  luglio 03 Mercoledì calendario

Il colonnello Bernacca raccontato dalla nipote

«Quando ascolto le previsioni del tempo, sorrido».
Perché?
«Parlano di bombe d’acqua, ribattezzano con nomignoli gli anticicloni, a volte lanciano termini senza significato. C’è molto sensazionalismo. Ho imparato dal nonno che oltre i tre giorni le previsioni hanno un’attendibilità estremamente ridotta e che è importante chiamare i fenomeni col proprio nome. Chissà che direbbe lui».
Cosa direbbe?
«Si metterebbe a spiegare l’origine delle perturbazioni o di un’ondata di caldo torrido con linguaggio semplice e comprensibile per chiunque. Era convinto che la meteorologia dovesse diventare una scienza al servizio di tutti. A 21 anni era già specializzato in previsioni atmosferiche. Nel 1968 lasciò l’ufficio meteo dell’Aeronautica militare e entrò come collaboratore fisso in Rai dopo aver fatto qualche apparizione per commentare scherzi del tempo che facevano notizia».
La divulgazione scientifica era il suo pallino.
«Voleva informare la gente sui fenomeni che tanto condizionano le nostre attività. Era convinto che, conoscendone il meccanismo e la loro frequenza, l’uomo avrebbe potuto almeno limitarne i danni. Lasciò con rammarico la divisa per mostrarsi in borghese, come conduttore della rubrica Che tempo fa».
Si apre in un’espressione dolcissima Fulvia Bernacca, nipote di Edmondo, il primo meteorologo apparso in televisione in Italia. Primo marzo del 1955, in Rai cercano un ufficiale per commentare la concatenazione di eventi di un febbraio funestato da bufere, fortunali, fiumi in piena, allagamenti, nevicate. Era di turno lui: «Senza nessun merito, fu il mio esordio in video», scriverà. Per 40 anni avrebbe affascinato i telespettatori del bianco e nero indicando con la bacchetta le isobare sulle carte del tempo affisse alle sue spalle, accanto all’indimenticabile barometro.
Generale dell’Aeronautica, Bernacca è passato alla storia come il Colonnello. Quando all’ora di cena quella figura autorevole si affacciava distinta dal piccolo schermo, migliaia di famiglie istintivamente si azzittivano per sapere se il giorno dopo avrebbero dovuto indossare l’impermeabile o vestirsi leggero.
Fulvia è la bambina col golfino blu che in una vecchia foto si ciuccia il pollice in braccio a nonno Mondo, il nomignolo usato dai nipotini e adottato dalla moglie. Lui si gira orgoglioso verso l’obiettivo, la mostra come fosse un trofeo.
Cosa le ha lasciato?
«La malinconia di non essere stata con lui quanto avrei desiderato. Avevo 7 anni quando ci ha lasciati, il 15 settembre del ‘93, all’età di 79 anni. Ero troppo piccola per comprendere cosa significasse quella perdita per gli italiani. Ho potuto scoprire il nonno soltanto dopo, da grande».
È partita alla sua scoperta, come ha raccontato in una bella intervista con Paola Saluzzi su TV2000.
«Sono andata a cercarlo frugando nel suo archivio, raccogliendo documenti e lettere, oggi in gran parte in mostra al Meteo Museo Edmondo Bernacca dedicato a lui e alla meteorologia. Si trova a Fivizzano nel Lunigiano, il paese natio di nonna. Lui era romano ma amava quella terra dove tutti noi della famiglia ancora oggi torniamo con amore. Riposano nel piccolo cimitero. Si erano conosciuti al mare, a Massa Carrara. Un’unione forte. I miei ricordi diretti sono filtrati dall’incanto dell’infanzia».
Ne racconti uno.
«Eravamo a pranzo nella casa di Fivizzano con papà, Paolo, mamma Paola e mia sorella Alice. La tivù era accesa, sintonizzata sul telegiornale di Rai 1. Squilla il telefono, nonno si alza per rispondere da un’altra stanza. La sua voce esce magicamente dalla televisione. Per me da quel giorno assunse le sembianze di un personaggio fiabesco, capace di indovinare il futuro».
Beh, era davvero il mago del meteo.
«La gente lo cercava per sapere se il giorno dopo avrebbero potuto apparecchiare in giardino. Io gli chiesi, nonno vorrei festeggiare il compleanno all’aperto. Pioverà o ci sarà il sole?».
Non ha mai pensato di seguire le sue orme?
«Sono fotografa e insegno yoga, abito a Palermo, città di cui sono innamorata e che mi trasmette tranquillità. I miei soggetti preferiti sono le nuvole. Però quando mi presento e pronuncio il cognome Bernacca tutti pensano che anche io sia esperta di previsioni. Sul serio o per scherzo, mi domandano che tempo farà? E a me piace moltissimo che il legame con nonno non si sia spezzato».
Cosa le ha insegnato?
«A guardare il cielo con amore. Ad ascoltarlo. Così quando alzo gli occhi è come se vedessi lui, come ritrovarlo lassù. Mi succede anche quando sento l’odore del legno che mi riporta all’altro nonno, Carlo Borzelli, padre di mia madre, imprenditore del legno».
Ci accompagni nell’archivio del Colonnello Bernacca.
«Abitava a Roma, in una casa dell’Eur, dove gli è stato intitolato un largo. Il suo studio era ingombro di libri e riconoscimenti. Una scrivania, una poltrona e un’enorme libreria. Da bambina pensavo che il suo regno finisse lì. Invece proprio dietro la scrivania, una porticina introduceva al suo archivio, tappezzato di faldoni».
Cosa ha trovato?
«Raccoglieva con ordine i ritagli dei giornali che riportavano notizie meteo. Ai margini appuntava i suoi commenti sull’esattezza delle previsioni. Era molto scrupoloso e onesto. Se gli capitava di sbagliare, chiedeva regolarmente scusa ai telespettatori. Era amico del suo collega Andrea Baroni, un altro storico signore del tempo (scomparso nel 2014)».
Da questo viaggio è nato un libro, Sereno, edizioni Forward, che lei immagina scritto a quattro mani con nonno Mondo.
«È proprio così. Era diventato giornalista casualmente, dopo aver cominciato a collaborare con alcuni quotidiani. Ho trovato lettere bellissime, piene di trasporto per la moglie, mia nonna, una donna severa, il vero Generale di casa. Lui era invece tenerissimo».
Cosa gli chiederebbe se fosse qui?
«Nonno, cosa possiamo fare oggi per salvare l’ambiente da questi disastri meteo? Soprattutto negli ultimi anni era molto preoccupato dei cambiamenti climatici. Riteneva fossero in gran parte causati da scelte sbagliate dell’uomo. Era convinto che proprio l’uomo avesse dunque un gran potere per correggere la rotta».
Andò in pensione il 5 settembre del ‘79. In un’intervista pubblicata nella raccolta Sotto la pelle, Paolo Mosca gli domandò come si fosse sentito quel giorno.
«Rispose di aver provato serenità. La stessa di quando aveva cominciato il 6 gennaio del ‘68, entrando per la prima volta nello studio 4 della Rai di via Teulada 66, trascinato dalla passione per il giornalismo che lo aveva conquistato l’11 settembre del 1949, primo articolo firmato sul quotidiano Il Tempo».
Anche se a volte annunciava temporali, il suo cielo era terso.
«Il titolo del mio libro è nato da questa immagine».
Congedarsi dal servizio militare attivo fu per lui una scelta difficile.
«In una lettera di commiato scrisse che il tarlo della divulgazione scientifica l’aveva avuta vinta sull’amore per la carriera militare».
Ci legga alcune righe.
«"Il berretto e la sciabola sono rimaste a lungo bene in vista all’ingresso di casa. Sono ora nella calma del mio studio davanti all’ultima carta del tempo che ho mostrato nell’ultima previsione. Domani? Come sempre, appena alzato, aprirò la finestra e guarderò il cielo, questo cielo misterioso e affascinante che è stato sempre la mia vita, da militare e giornalista"».