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 2024  giugno 03 Lunedì calendario

Biografia di Deborah Compagnoni

Deborah Compagnoni, nata a Santa Caterina Valfurva (Sondrio) il 4 giugno 1970 (54 anni). Ex sciatrice alpina. Vinse tre ori olimpici: Albertville 1992 nel superG, Lillehammer 1994 e Nagano 1998 nel gigante. Tre volte campionessa del mondo: in Sierra Nevada (1996) in gigante, a Sestrière (1997) in gigante e slalom. 16 successi in coppa del Mondo (tredici giganti, uno slalom, due superG). «Di notte sogno sempre le stesse cose: prati verdi, campi di sci. Penso di non aver mai avuto un incubo in vita mia».
Vita «Santa Caterina, dove tutto è cominciato su un paio di scietti azzurri senza marca (“Avrò avuto 2-3 anni, papà che è maestro ha notato subito che su quelle due piccole assi ci sapevo stare, andavo dietro a Yuri però non era scontato arrivare in Coppa del mondo: il talento non basta, ci vogliono disciplina e tenacia, bisogna imparare a sbagliare”), è il luogo dell’anima. Qui Deborah ha vinto, perso, si è innamorata, ha riso e pianto. “Don Giovanni, il parroco, suonava le campane per i miei successi. I trofei sono esposti in hotel, le medaglie le ho io a Treviso, i pettorali di una carriera sono in uno scatolone chissà dove, mai più aperto né con i miei figli né con i nipoti. Non mi è mai piaciuto vantarmi”» (Gaia Piccardi) • Figlia di albergatori: «Papà mi diceva sempre: se hai voglia vai a fare la gara, se poi vinci ancora meglio. Sennò te ne stai a casa. Il segreto è correre senza pressione, come ho fatto io». • «Da piccola volevo fare la parrucchiera perché mi piaceva trafficare coi capelli delle bambole, con quelli di mia mamma Adele. Dopo volevo diventare una pittrice. Avevo la nonna a Venezia, giravo per le calli e i campielli e stavo ore e ore dietro gli artisti che dipingevano i paesaggi, le case, i palazzi, i ponti, col carboncino, con gli acquerelli, con le tempere. Li guardavo ed imparavo. Mi piace infatti dipingere, appena posso mi ci metto». • Albertville 1992, oro in SuperG: «Tutto in due giorni: il trionfo e la corsa all’ospedale con il ginocchio rotto». Lillehammer 1994, oro in gigante: «Un sogno. La neve, tanta. Le casette nel bosco. Il rispetto per la natura dei norvegesi. Lì ho davvero pensato: che bello esserci!». Nagano 1998, oro in gigante e argento in slalom: «Eravamo isolati, lontani da tutto in un Paese incomprensibile. Avevo l’età giusta e l’esperienza: dal punto di vista tecnico, la mia Olimpiade migliore» • Deborah Compagnoni entrò nel cuore degli italiani alle Olimpiadi di Albertville 1992. Prima con una medaglia d’oro shock in superG, poi urlando di dolore per la rottura del crociato in diretta tv, durante il gigante. Deborah, quelle due giornate è impossibile dimenticarle. “Una bellissima giornata, quella del superG: la gara è stata rinviata perché erano caduti 30 cm di neve, e si disputa in concomitanza col gigante vinto da Alberto Tomba. Sono un’esordiente, ho appena vinto la mia prima gara di Coppa, non sono nemmeno nel primo gruppo. Parto col numero 16, equando arrivo stanno festeggiando la francese Carole Merle. Anche per me è una sorpresa, che mi cambierà la vita. Forse non reggo il momento di estasi”. Infatti arriva il giorno dopo: uno studio l’ha accostata a Tardelli nella categoria degli urli più famosi dello sport. “È andata così, ho voluto recuperare ed è uscito quel movimento del ginocchio. Ancora adesso c’è gente che tutti i giorni mi incontra e me ne parla, l’hanno visto in tanti. Il giorno in cui tutto mi è andato male, ho fissato il mio nome nella memoria”» (a Mattia Chiusano) • «Ero in macchina con mio papà, che mi stava portando a una garetta regionale. Ci fermammo in un bar per vedere lo slalom di Lake Placid. No, a quei tempi non mi immaginavo nemmeno lontanamente campionessa di sci: sognavo di vincere il trofeo Topolino, non l’oro olimpico… Ad Albertville arrivai in pista così in ritardo che l’allenatore pensò che mi avrebbero squalificata. A Lillehammer faceva così freddo che tra me e me pensai: facciamo ’sta seconda manche e andiamocene al calduccio. Paradossalmente, vincere una medaglia ai Giochi è più facile che salire su un podio di Coppa del mondo: gli atleti sono meno, solo quattro per nazione» • Carriera rallentata da alcuni gravi infortuni: nell’88 ai legamenti del ginocchio destro, nel 1992 a quelli del ginocchio sinistro, nel 1995 al menisco del ginocchio destro. «Il suo infortunio più grave risale all’Olimpiade del 1992. Meribel, un crac crudele, un urlo di dolore che attraverso i televisori raggelò le famiglie italiane» (Carlo Grandini). • «Non ho mai avuto miti, grandi esempi da imitare. Mi piaceva Stenmark, perché anche dopo aver vinto tutto è rimasto un ragazzo semplice. Anche Thoeni» • «Le vittorie ti esaltano, i malanni ti insegnano ad avere pazienza, ad accettare limiti e sconfitte. Le vittorie sono punti fermi nel ricordo, gli infortuni ti aiutano a crescere. Nel tempo mi sono fatta quest’idea: chi vive solo agonismo felice, quando smette entra in crisi» (Enrico Sisti) • Nel 2021 ha perso il fratello Jacopo, morto sotto una valanga. «Era bellissimo e speciale. Darsi spiegazioni, come si fa? Io credo nel destino. Quando deve accadere, accade. Mi piace pensare così perché mi aiuta a vivere meglio. Provo a essere forte, a tenere su i miei. Jacopo aveva un’energia stupenda, conosceva la montagna a menadito, non si può dire che abbia commesso alcun errore. È andata così. Certo, per chi resta, è straziante» (a Gaia Piccardi) • «Da ragazza serviva ai tavoli dell’hotel di famiglia, il Baita Fiorita: si sta riavvicinando alle sue radici? “Si torna volentieri dove si è stati bene non solo nell’infanzia, ma anche nell’adolescenza. Adesso l’hotel è gestito da mio fratello Yuri, io abito lì vicino”. Disegnava tute per lo sci. “E anche adesso ho delle idee per una linea di abbigliamento. Un mio pantaloncino tipo bermuda per allenamenti di slalom fu copiato da tutti, poi c’è stata una giacchettina più aderente»”. “È cambiato il suo rapporto con la montagna dopo la tragedia di suo fratello Jacopo, travolto da una valanga? “Quel che è successo è stato un colpo molto forte, qualcosa che ti cambia la vita. Guardi il tempo passato, dai un peso diverso alle cose. Nonostante io abbia avuto una vita piena di esperienze, apprezzo cose semplici che ritrovo in questi luoghi. Non odio la montagna, anzi la amo, mi fa stare bene, quel che è successo non mi ha allontanato. Jacopo era giovane, aveva una famiglia con due bambine che ora hanno tre e cinque anni. Era una guida alpina, faceva un lavoro che comporta dei rischi, un tradizione di famiglia, e gli piaceva molto. Conservo il ricordo di lui sorridente, e guardo avanti”» (Mattia Chiusano) • È ambassador dei Giochi di Milano-Cortina 2026 •
Amori Tre figli – Agnese (2000), Tobias (2003) e Luce (2006) – dall’imprenditore Alessandro Benetton (Treviso, 1964), sposato nel 2008 e da cui si è separata nel 2020 (i figli vivono col padre) • Dal 2023 è legata sentimentalmente Michele Barbiero, veneto del Cadore, divorziato senza figli, cinque anni più di lei, fa la guida alpina come il padre di Deborah e il fratello Jacopo («Io credo nel destino: quando deve accadere, accade. Provo a essere forte, a tenere su i miei»). «Con Michele è un ritorno alle origini che sa di fresco inizio, Deborah non conferma né smentisce ma rifarsi una vita è un sacrosanto diritto, chi le sta accanto la vede serena, gli occhi di nuovo brillanti, le giornate piene. “Nell’amore credo ancora ciecamente – ha detto Deborah –. È la forza che mi tiene in piedi e mi fa andare avanti”. Quando la storia si sarà consolidata, quando Deborah sarà disposta a parlarne, sapremo di più. Per ora ci basti la descrizione che Michele dà di sé (“Sono un alpinista, un viaggiatore, un fotografo, sono una persona innamorata del mondo”), la rispettosa dichiarazione d’intenti (“Cerco sempre di passare leggero, lasciando meno tracce possibili del mio andare”), il mestiere scritto nel codice dell’anima (“Diventare guida alpina è stata una conseguenza naturale di ciò che sono”). Maneggia gli sci in neve fresca, i ramponi sulle vie ferrate e l’inglese con la stessa abilità: non è un orso di montagna, tutt’altro, è un bon vivant che sa destreggiarsi con i buoni ristoranti e la carta dei vini» (Gaia Piccardi)
Curiosità Dipinge • «Colleziona pezzi d’arte contemporanea (“Mi sono appassionata grazie a Ale”), scia nei weekend, muovendo come una ballerina classica le ginocchia di cristallo martoriate dagli interventi, che al freddo scricchiolano paurosamente ma sono ancora capaci di divine geometrie: “La neve mi dà sempre belle sensazioni”» (Gaia Piccardi) • Alla fine degli anni ’90 è stata testimonial per il reggiseno Lumière della Parah, scelta dal brand in seguito alla pubblicazione di alcune sue foto rubate durante una vacanza in Polinesia (Maxim). «Nella storia del costume è rimasta la celebre affissione pubblicitaria di un reggiseno, che grazie a lei vendette 10 mila pezzi in una settimana. Castigata per il senso del pudore odierno ma pur sempre la mossa che non ti aspettavi dalla fatina delle nevi, Deborah Compagnoni. “E pensi che Giulia, la mia storica manager, non dovette nemmeno insistere troppo per convincermi! In una vita scandita dai ritmi dell’atleta, concedermi quell’escursione era stato come ossigenarmi i polmoni. Mi sono buttata, divertendomi. A quei tempi una famosissima top model, Eva Herzigova, era testimonial di un reggiseno concorrente. Un giorno, in un’intervista, si lamentò di certe sportive bruttarelle che le facevano concorrenza. Le risposi con un sorriso dalla copertina dell’Espresso: non te la prendere, Eva, anzi se vieni su in montagna ti insegno a sciare...”» (a Gaia Piccardi).