12 giugno 2024
Tags : Li Ka-Shing
Biografia di Li Ka-shing
Li Ka-shing, nato a Chaozhou (Guangdong, Cina) il 13 giugno 1928 (96 anni). Imprenditore. Dal maggio 2018, consigliere anziano del gruppo Ck Hutchison, da lui costituito il 18 marzo 2015 fondendo le sue due principali società, Cheung Kong e Hutchison Whampoa. Secondo l’ultima classifica ufficiale di Forbes (aggiornata al 2 aprile 2024), detentore di un patrimonio netto di 37,3 miliardi di dollari, che ne fa la persona più ricca di Hong Kong, la quarta più ricca della Cina e la trentottesima più ricca del mondo. «A 13 anni, ancora apprendista, per il suo istinto per gli affari il suo capo lo soprannominò “Superman”. Un nomignolo che gli è rimasto attaccato tutta la vita» (Riccardo Barlaam). «Il peso della povertà e il sapore amaro dell’impotenza hanno inciso sul mio cuore le domande che ancora mi guidano: si può dare una forma diversa al proprio destino?» • «La lunga marcia di Li Ka-shing cominciò quando i genitori lasciarono la provincia cinese di Canton, nel 1940, per sfuggire alla guerra rifugiandosi a Hong Kong. Anni duri: il giovanotto, orfano di un insegnante, non poté completare gli studi e si trovò un lavoro in una fabbrica di materie plastiche: 16 ore al giorno tutti i giorni della settimana. Diventò venditore per conto della società» (Guido Santevecchi). «Non potendo andare a scuola, ha raccontato Li in una delle interviste rilasciate in decenni di carriera, ha sempre cercato di imparare da auto-didatta, comprando anche libri di testo usati e destinati al macero» (Eugenio Buzzetti). «Nel 1950 pensò di aver imparato molto sulla plastica, tanto da poter tentare di mettersi in proprio. Con tutti i suoi risparmi e con fondi raccolti tra parenti, amici e persone di cui aveva guadagnato la fiducia come venditore (il famoso sistema del guanxi, la rete di conoscenze che domina la vita dei cinesi), costituì una sua impresa. La chiamò Cheung Kong Industries e cominciò a produrre plastica. Non materiale grezzo, ma fiori di plastica di alta qualità, colorati così bene da sembrare veri: una passione in Asia, e da Hong Kong la Cheung Kong cominciò a esportarli con successo. Poi sorse un problema: non riuscì a rinnovare l’affitto del terreno per il suo stabilimento. Cercandone un altro, Li Ka-shing si trovò nel business immobiliare e fu ancora una volta abile: comprò in un momento di quotazioni basse a causa di disordini sociali e rivendette alla ripresa del mercato. Cheung Kong era diventata una holding, tanto solida che nel 1972 si quotò in Borsa. Con il capitale fresco arrivarono altri investimenti. Nel 1979 quello decisivo: l’acquisizione della Hutchison Whampoa Limited, che dal 1863 controllava i moli del porto di Hong Kong» (Santevecchi). «È la prima volta a Hong Kong che un uomo di origine cinese mette le mani su una compagnia britannica: il segnale che qualcosa sta cambiando negli equilibri del potere economico dell’isola» (Francesco Radicioni). «Con Hutchison Whampoa, Sir Ka-shing entrò nel business delle telecomunicazioni di seconda generazione (tecnologia Gsm) nel 1991. Acquisì dagli inglesi di British Aerospace la Microtel, la rinominò Orange facendola diventare un colosso multinazionale e poi la cedette» (Santevecchi). «Nella corsa all’acquisto la spuntano i tedeschi di Mannesmann. Li Ka-shing non oppone resistenza, anzi: “Si accomodino”. Incassa 5,7 miliardi di dollari e una valanga di azioni della stessa Mannesmann, con oltre il 10 per cento del capitale sale al rango di primo azionista singolo. Ma il risiko dei telefoni impazza: Vodafone poco dopo si mangia Mannesmann, e ancora una volta i compratori bussano a Mr Li: “Si accomodino”, fa lui una seconda volta, tuffandosi nuovamente nell’oro» (Fabio Dal Boni). «I soldi dell’immobiliare, li ha […] usati per diversificare all’estero, caso più unico che raro tra i magnati locali, comprando porti, società energetiche in Australia e Canada, catene come le farmacie Watson e compagnie telefoniche in mezzo mondo: 300 acquisizioni in 25 anni, una al mese. In questo terzo millennio, sostenuto dall’amica e partner d’affari di una vita Solina Chau, ha fatto pure in tempo a mettere qualche gettone in belle promesse come Facebook, Skype e Spotify. Ovviamente mantenute. […] Ha iniziato a lavorare a 12 anni. […] Ha smesso ieri [il 16 marzo 2018 – ndr] all’alba dei 90, con un patrimonio di 35 miliardi di dollari e un impero da 323 mila dipendenti in 50 Paesi raccolto nella holding Ck Hutchison, tra immobiliare, infrastrutture e telecomunicazioni, compreso il 50% di Wind Tre. Ma Li Ka-shing non ha mai dimenticato da dove veniva. E, […] nella presentazione dei bilanci diventata passaggio di testimone al figlio maggiore Victor, lo ha confermato ancora una volta: “Sono grato di essere riuscito in tutti questi anni a creare valore per gli azionisti e a servire la società”, ha detto, con la voce rotta ma la serenità nel volto, il tycoon che sembrava incapace di invecchiare. “Ringrazio tutti per il loro amore e il loro sostegno”. […] L’impero passa al 53enne Victor, laureato in Ingegneria a Stanford, finalmente liberato dal ruolo di eterno apprendista. Tra lo scetticismo di molti analisti, che già avvertono come il carisma e il fiuto del padre non siano replicabili. Chi ha ereditato i geni, dicono, è piuttosto il fratello minore Richard, che ha deciso di lasciare l’ovile di famiglia per fondare Pccw, gruppo dei media e della tecnologia. “Victor ha lavorato per 33 anni al mio fianco, ho fiducia in lui”, ha detto ieri Li Ka-shing, captando lo scetticismo attorno a questo avvicendamento, atteso e rimandato da anni. Ora si dedicherà alla sua fondazione, a cui ha già destinato un terzo del patrimonio personale, ma rimarrà comunque come consulente super-speciale della società. Comunque vada, finisce un’epoca. Con Li Ka-shing lascia l’ultimo grande “self-made man” della scintillante Hong Kong. I nuovi ricchi e i nuovi miliardari, oggi, li produce la Cina continentale, che non a caso sta allungando sempre di più le sue mani sulla città. Ma, pure questa tendenza, Li l’ha fiutata, spostando il baricentro del suo impero sempre più all’estero. A costo di tirarsi addosso l’ostilità del partito e le critiche dei suoi quotidiani, negli ultimi anni il tycoon ha portato la ragione sociale del gruppo alle Cayman e venduto proprietà immobiliari in patria per oltre 20 miliardi di dollari. […] Lontano da casa invece Li ha continuato a investire, anche svenandosi per comprare la società energetica australiana Duet, gas ed elettricità, orchestrando alla fine del 2016 con i russi di VimpelCom la fusione tra Wind e 3 in Italia e provando l’assalto, fallito dopo lo stop dell’Antitrust, all’operatore mobile inglese O2. Come se, prima di lasciare, Li abbia voluto segnare una direzione. Che ora tocca al figlio Victor seguire» (Filippo Santelli). «A Richard ha lasciato […] la guida della Shantou University, nella provincia del Guangdong, di cui è originario, nata con i soldi della fondazione. […] “Se Richard perderà i soldi della fondazione, dovrà ripagarli di tasca sua”, è stato l’avvertimento paterno, accompagnato da una risata, rivolto al figlio minore, seduto al suo fianco. […] La vita del pensionato non si addice al magnate di Hong Kong, che anche dopo il ritiro dagli affari è rimasto attivo» (Buzzetti) • Vedovo. «Quando nel 1996 Victor Li venne rapito, suo padre, il multimiliardario Li Ka-shing, non sporse denuncia alla polizia della sua città, Hong Kong (allora colonia britannica), ma chiese l’aiuto dell’esercito cinese. In poche settimane Victor venne liberato, e il rapitore, Cheung Tze-keung, venne ucciso con un colpo di pistola alla nuca. “Non ho rimorsi per quello che ho fatto”, disse dopo avere appreso la notizia Li Ka-shing. Questo episodio aumentò la sua popolarità in Cina e la fece crollare tra i suoi concittadini di Hong Kong, sempre più convinti di trovarsi di fronte a un uomo senza scrupoli. […] Che non sia ben voluto è un fatto, e questo soprattutto per un motivo: è considerato l’uomo di fiducia dell’esercito cinese, cioè del Paese che ha annesso la città-Stato nel 1997 e la cui presenza è sopportata ma non gradita» (Marco Cobianchi) • «Li Ka Shing è un imprenditore apprezzato da lungo tempo anche dal Partito comunista cinese. Il magnate aveva incontrato due volte, nel 1986 e nel 1990, Deng Xiaoping, il leader cinese che nel 1978 aveva avviato le riforme economiche e le aperture della Cina, facendo una buona impressione sull’anziano leader, che ne aveva elogiato il patriottismo. Ancora più apprezzato il suo supporto alla Cina all’indomani della strage di piazza Tian’anmen del 1989. “Amo il mio popolo e il mio Paese, perciò, non importa cosa sia accaduto, continuerò a lavorare per il mio Paese”, aveva dichiarato allora. Il buon rapporto con la Cina è proseguito anche sotto Jiang Zemin e Hu Jintao, i predecessori di Xi Jinping alla guida del partito e dello Stato, ma proprio negli ultimi anni erano emerse diffidenze da parte di Pechino, per il sospetto che il magnate di Hong Kong volesse prendere le distanze dal mercato cinese. Li ha smentito questi sospetti in molte interviste concesse ai media stranieri, spiegando che intendeva solo diversificare i propri investimenti in linea con l’andamento del mercato» (Buzzetti) • «Questa ricchezza, il magnate arrivato povero dalla Cina non la esibisce: veste di scuro, niente di griffato, al polso gli si vede un orologio da 50 dollari. Ed è impegnato in attività filantropiche: ha donato 10 miliardi tra università, istituti di ricerca medica, biblioteche, vittime di calamità. Questi meriti hanno convinto la regina Elisabetta ad assegnargli un KBE, il titolo di Knight Commander of the Order of the British Empire. […] Dicono che il segreto della sua forma fisica […] sia la regolarità: sveglia alle sei dopo otto ore di sonno. E un’ora e mezza di golf ogni giorno: “Quei 90 minuti sono tutti miei”, ama raccontare» (Santevecchi) • «Per chi vive a Hong Kong è praticamente impossibile che passi giorno senza contribuire all’impero di Li: la spesa si fa nei supermercati ParknShop, si abita in uno dei palazzi che il tycoon possiede in città e il fornitore dell’energia elettrica è la Power Assets Holdings» (Radicioni) • «Sono sempre stato ossessionato dal controllo del flusso di cassa. Il mio motto è rimasto “Puntare alla crescita attraverso la stabilità”. Entrate costanti, riserve elevate e un rapporto sano tra reddito e debito mi hanno permesso di cogliere le opportunità senza mai lasciarmi appesantire» • «Ho avuto più di quanto sognassi, ma il segreto è stato adottare la semplicità come regola quotidiana».