Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 13 Giovedì calendario

Biografia di Donald Trump (Donald John T.)

Donald Trump (Donald John T.), nato a New York il 14 giugno 1946 (78 anni). Imprenditore. Politico. Personaggio televisivo • Proprietario della Trump Organization (società di sviluppo immobiliare, guidata direttamente da lui fino al 2017), detiene, stando alla classifica Forbes aggiornata a giugno 2024, un patrimonio personale di 6,4 miliardi di dollari • Impegnatosi soprattutto nell’edilizia di lusso a Manhattan, fino a fare del suo nome un brand. Ha costruito casinò, investito nel wrestling e nella televisione • Dal 2006 è stato testimonial della società di telecomunicazioni e energia ACN Inc Entrato in politica alla fine degli anni Novanta nelle fila del Reform Party per poi passare in quelle del Partito repubblicano, nel luglio 2015 è stato nominato candidato alle presidenziali del 2016 per il Partito repubblicano, presentando un programma politico protezionista in cui risultano centrali la creazione di posti di lavoro, rigide strategie anti-immigratorie e la sostanziale revisione della riforma sanitaria. Alle consultazioni svoltesi l’8 novembre 2016 è stato eletto quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, subentrando nella carica a Barack Obama il 20 gennaio 2017 (Treccani) • «Barbiere era il nonno tedesco di Donald, quel Friedrich Trump (nato Drumpf) che coi soldi guadagnati a New York spuntando capelli riuscì ad aprire piano piano una serie di alberghi e ristoranti sulle spiagge del Pacifico e nello Yukon, al tempo della corsa all’oro del Klondike. Cameriera era invece la madre di lui, Mary MacLeod (1912-2000), emigrata dalla Scozia. […] Sposò Fred (1905-1999), uno dei figli di Friedrich, diventato milionario grazie alla speculazione immobiliare […] Donald nasce nel Queens. […] Qui, nella bambagia, cresce un po’ troppo viziato. E per questa ragione, ritirato dalla scuola a 13 anni a causa del cattivo comportamento, viene spedito dal padre all’accademia militare» (Massimiliano Jattoni Dall’Asén). «All’età di tredici anni i genitori lo iscrivono alla New York Military Academy, e il giovane Trump continua a studiare in ambienti militari fino al 1964, anno del diploma, prima di entrare alla Fordham University e successivamente alla Wharton School of Finance in Pennsylvania, dove si laurea in Economia nel 1968. La formazione militare non gli impedisce di evitare la guerra del Vietnam, per la quale in quegli anni tutti i giovani della sua età erano chiamati alle armi: Trump sfrutta per quattro volte il rinvio per motivi di studio, e, quando non può più farvi ricorso, accusa un difetto fisico ai talloni per venire definitivamente riformato. A questo punto Trump, terminati gli studi, inizia a lavorare per l’azienda di famiglia, allora battezzata Elizabeth Trump & Son, dal nome della nonna di Donald, che già nei primi anni del secolo aveva dimostrato un talento imprenditoriale in ambito immobiliare, e con il figlio Fred (padre di Trump) aveva fondato la compagnia nel 1923. Nel 1973, quando il rampollo ormai in ascesa condivide col padre la gestione della società, una causa civile mette nei guai la compagnia di famiglia: secondo un’associazione di difesa dei diritti civili, infatti, la prassi degli agenti immobiliari dei Trump era di non affittare case a inquilini neri, favorendo invece le domande dei bianchi e violando così la legge sul “fair housing”. La causa si conclude con un impegno da parte della compagnia a formare i suoi dipendenti secondo le leggi statunitensi che impongono la non discriminazione in campo immobiliare. Nel 1974 è Donald, allora ventottenne, ad assumere il controllo della società (che nel 1980 verrà ribattezzata una volta per tutte Trump Organization), e, con il padre occupato con i quartieri più popolari di Queens e Brooklyn, si dedica a espandere le sue proprietà immobiliari a Manhattan, cuore finanziario di New York. Il suo primo grande successo è la ristrutturazione di un vecchio hotel, il Commodore, che nel 1980 viene ribattezzato Grand Hyatt e si dimostra un grande successo. […] Il suo successo, anche a livello di culto della personalità, è sancito nel 1982 con l’apertura di un monumentale edificio sulla Fifth Avenue, la Trump Tower, cinquantotto piani di lusso (l’ultimo dei quali riservato all’ufficio dello stesso Trump) che sono il segnale visibile della notorietà raggiunta dall’imprenditore. L’altra sua mossa fortunata, risalente agli stessi anni, è quella che riguarda l’apertura di diversi casinò a suo nome, in particolare nella città di Atlantic City, New Jersey, sorta di Las Vegas della Costa orientale. Trump diventa il simbolo dell’America degli yuppies. […] Il libro del 1987 The Art of the Deal, in cui offre i suoi consigli per il successo, diventa un bestseller e ne conferma lo status di massima personalità tra i nuovi ricchi statunitensi. Se gli anni Ottanta sono il decennio dell’ascesa e della celebrità, i Novanta presentano anche i primi problemi, nella forma di un calo nei ricavati del suo impero immobiliare e in una serie piuttosto lunga di bancarotte (sei, per la precisione), che portano Trump a chiedere prestiti notevoli per evitare il collasso della compagnia, che nel frattempo ha acquistato resort turistici, campi da golf, una compagnia aerea e un’università privata. […] Gli anni Duemila vedono Trump toccare un nuovo picco di popolarità quando, a partire dal 2004, il magnate diventa protagonista del reality show della Nbc The Apprentice, programma che vede un gruppo di concorrenti impegnati in una serie di prove imprenditoriali per ottenere un posto di lavoro presso la Trump Organization. La frase-tormentone di Trump, pronunciata quando uno dei concorrenti viene eliminato per aver dimostrato scarso talento, è “You’re fired!”, “Sei licenziato”. […] Negli anni Ottanta si dichiara sostenitore dei repubblicani di Ronald Reagan, […] per poi stringere rapporti d’amicizia personale con Bill Clinton e infine schierarsi apertamente contro Barack Obama, di cui mette in dubbio addirittura l’effettiva nascita nel territorio degli Stati Uniti. È però il 16 giugno 2015 che comincia la “terza vita” di Donald Trump, che, dopo i suoi precedenti exploits come magnate dell’edilizia e celebrità televisiva, decide di annunciare ufficialmente, dalla sua Trump Tower, l’intenzione di candidarsi per la carica più ambita del Paese, quella di presidente degli Stati Uniti, lanciando per la prima volta lo slogan che porterà avanti per tutta la sua campagna “Make America great again!”, “Rendiamo di nuovo grande l’America”. I commenti dei media variano tra l’incredulità e lo scherno palese, ma nei mesi successivi Trump elimina dalla scena uno dopo l’altro tutti gli sfidanti che avrebbero potuto rubargli la nomination come candidato del Partito repubblicano: il senatore del Texas Ted Cruz, il governatore dell’Ohio John Kasich, e l’ex governatore della Florida, nonché figlio e fratello di ex presidenti statunitensi, Jeb Bush. Lo stesso Grand Old Party […] sembra imbarazzato dall’ascesa senza precedenti di questo outsider, che nei suoi comizi trascina le folle parlando di divieto di immigrazione per i musulmani negli Stati Uniti, isolazionismo politico ed economico, sostegno al possesso di armi per i comuni cittadini, supporto al presidente russo Putin, contrasto all’avanzata cinese, maggiore potere alle forze dell’ordine, stop all’arrivo dei rifugiati e addirittura la proposta di costruire un muro che divida il Paese dal Messico per evitare l’immigrazione irregolare. […] A maggio 2016, dopo una serie di vittorie alle primarie del partito, Trump guadagna 1.238 delegati, quanto basta per garantirgli la nomination ufficiale. […] Negli stessi giorni […] gli avversari del Partito democratico offrono la nomination ufficiale a Hillary Clinton. […] Trump la ribattezza “crooked Hillary”, “Hillary la disonesta”, soprattutto a causa dello scandalo che ha coinvolto Clinton in un’investigazione dell’Fbi riguardo all’uso di account non protetti per lo scambio di e-mail riservate nel periodo in cui era stata segretario di Stato. Trump subisce un ultimo duro colpo alla sua campagna da parte del Washington Post, che a ottobre 2016 pubblica una registrazione audio risalente al 2005 in cui si sente il candidato alla presidenza pronunciare frasi, poi definite “chiacchiere da spogliatoio”, in cui si vanta del successo dei suoi approcci sessuali a causa della sua celebrità. […] L’8 novembre gli Stati Uniti vanno al voto, e […] nella notte comincia una marcia inarrestabile verso una vittoria schiacciante, inattesa, che non dà a Clinton nemmeno l’onore di una battaglia all’ultimo voto. L’ultimo conteggio lo dà vincitore, e quindi presidente eletto, con 290 delegati contro i 218 di Clinton» (Guglielmo Latini). Sin dall’inizio la sua presidenza è stata sempre al centro del dibattito, tra scandali sessuali, accuse di collusione con Putin e relative minacce di impeachment, una lunga serie di licenziamenti eccellenti (tra i più eclatanti, quelli del direttore dell’Fbi James Comey, nel maggio 2017, e del segretario di Stato Rex Tillerson, nel marzo 2018), guerre commerciali con la Cina e l’Europa all’insegna del protezionismo e prese di posizione controverse in ambito internazionale (su tutte, il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale d’Israele e la denuncia dell’accordo con l’Iran, ma anche il disimpegno rispetto all’accordo di Parigi contro il surriscaldamento globale). Tra i migliori risultati finora conseguiti, la vigorosa ripresa dell’economia statunitense, con livelli di occupazione altissimi, e la storica riconciliazione con la Corea del Nord, giunta apparentemente all’improvviso al termine di una lunga e tesissima prova di forza fra Trump e Kim Jong-un. «Che il presidente sia oppresso dalle sue difficoltà interne è chiaro. Eppure tutto ciò potrebbe essere mitigato, se non negato, da alcune grandi vittorie in trasferta. […] I leader europei – in particolare la cancelliera tedesca Angela Merkel – credevano di avere diritto gratuitamente all’ombrello di sicurezza americano. Poi Trump ha lasciato intendere che l’impegno americano nei confronti della Nato potrebbe, dopo tutto, non essere incondizionato. Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, pensava di poter provare testate nucleari e missili a lungo raggio a suo piacimento. Trump lo ha minacciato di “fuoco e furia”, mentre allo stesso tempo si appoggiava alla Cina per imporre sanzioni economiche a Pyongyang. Ed ecco, “Little Rocket Man” ha attraversato la zona smilitarizzata, facendo i primi passi verso la pace nella penisola coreana. […] L’Iran credeva di poter firmare il suo accordo nucleare con Obama e ottenere la revoca delle sanzioni, pur continuando la sua flagrante e sanguinosa ingerenza in Iraq, Libano, Siria e Yemen. Entra Trump e rianima le tradizionali alleanze americane con Israele e i sauditi. […]» (Niall Ferguson) • «In aperto contrasto con le scelte USA degli ultimi anni e inizialmente fedele a quell’“America first!” che è stato il suo slogan nel giorno di insediamento, T. si è dimostrato dapprima riluttante a esercitare quel ruolo di egemonia sul mondo che è stato la cifra politica degli Stati Uniti nelle presidenze precedenti a Obama …[], per poi assumere inaspettate posizioni interventiste – che hanno comunque prodotto il risultato di ricompattare i repubblicani sul fronte interno e di ridare credibilità all’immagine politica del presidente, apparsa fino ad allora confusa e sfocata - nel conflitto mediorientale, sferrando per la prima volta un attacco diretto e unilaterale contro le forze armate della Siria […], a seguito del massacro perpetrato presumibilmente da Assad attraverso l’uso di armi chimiche nel villaggio di Khan Shaikun, 50 km a sud di Idlib […]» (Treccani) • «Fomentando il radicalismo e la polarizzazione politica e accentuando nello stesso Partito repubblicano la divisione tra una base infiammata dai suoi discorsi e un’élite preoccupata dalla sua ascesa, T. ha incanalato la rabbia sociale e le ansie di una società spaesata per il declino delle più fondanti appartenenze collettive, fornendo una risposta anti-establishment, populista e rabbiosa, agli effetti di lungo periodo della crisi economica e presentando un programma politico protezionista in cui risultano centrali la creazione di posti di lavoro e agevolazioni fiscali, rigide strategie anti-immigratorie, la sostanziale revisione della riforma sanitaria di Obama e l’implementazione delle fonti fossili […] Il tentativo di dare risposte immediate al blocco sociale cui deve la sua elezione, attuando fin dai primi giorni di insediamento – caratterizzati peraltro da una serie di proteste di piazza negli Stati Uniti e nel mondo che non trova confronto nella storia americana – i punti salienti enunciati nel suo programma di governo, con priorità alle politiche immigratorie e sanitarie, è stato almeno temporaneamente vanificato dall’intervento di organi istituzionali quali la magistratura, che ha bloccato per due volte, in gennaio e marzo, due ordini esecutivi (i cosiddetti Muslim ban o Travel ban) volti a impedire o limitare l’ingresso negli Stati Uniti di rifugiati e di cittadini provenienti da alcuni Paesi a maggioranza islamica, e dallo stesso Partito repubblicano, il cui mancato appoggio lo ha costretto a ritirare la riforma sanitaria che avrebbe dovuto sostituire l’Obamacare e a temporeggiare sulla riforma fiscale nota come Border adjustment tax, la tassa sui beni prodotti fuori degli USA che ha sollevato aspre critiche da parte degli stessi imprenditori statunitensi […] le elezioni di metà mandato del novembre 2018 - ritenute il banco di prova dell’operato di T. e svoltesi in un clima di accese tensioni e di violenze politiche – hanno registrato la perdita del controllo repubblicano della Camera, mentre il Gop ha mantenuto quello del Senato, ciò delineando un quadro di netta polarizzazione in cui le eterogenee forme di dissidenza verso le politiche presidenziali organizzate in primo luogo da donne, afroamericani e giovani elettori sono state decisive per la rimonta democratica. Nei mesi successivi l’inasprimento dei conflitti razziali e le violente proteste di piazza organizzate dal movimento Black lives matter che hanno trovato risonanza e sostegno internazionali e l’aggravarsi della crisi economica hanno parzialmente eroso i consensi accordati al presidente, che nel mese di agosto ha accettato la nomination repubblicana per un secondo mandato in vista delle consultazioni presidenziali previste per il novembre 2020. Le consultazioni, svoltesi in un clima di rigida polarizzazione politica e culturale acuita dalla pandemia di coronavirus cui il presidente uscente ha fornito risposte inefficienti se non irresponsabili, perdendo consensi ma riuscendo comunque a mantenere una soglia di resistenza costituita da elettori di classe medio-alta e alimentata dalle teorie cospirazioniste e dai miti salvifici di QAnon, hanno registrato la sconfitta di T., cui dal gennaio 2021 è subentrato il democratico J. Biden» (Treccani). Al momento del passaggio di consegne, si rifiutò di riconoscere la sconfitta. Fu formalmente accusato di aver tentato di rovesciare l’esito delle elezioni, in una fase politicamente teissisima culminata con l’assalto dei suoi sostenitori, convenuti a Washington da ogni parte d’America, al palazzo del Congresso sul colle del Campidoglio • «“Donald è stato bravissimo a trasformarsi in un marchio ambulante, e ha iniziato molto presto a farlo”, ha detto D’Antonio [il giornalista Michael D’Antonio, autore di una biografia di Trump – ndr]. […] Oltre agli hotel e ai casinò, il marchio Trump comprende anche bistecche, […] un gioco da tavolo, una rivista e una compagnia aerea che non esistono più, e la linea di camicie e cravatte “Donald J. Trump Signature Collection”. Trump ha messo il suo nome su un’acqua naturale, bevande energetiche israeliane, un’acqua di colonia, un vino della Virginia, vodka e mobili, “in pratica qualsiasi cosa possa essere venduta come un prodotto di alta qualità, ad alto costo e di alta classe”, scrive D’Antonio» (Ana Swanson) • Cinque figli da tre mogli: Donald Jr. (1977), Ivanka (1981) ed Eric (1984) dal matrimonio con la modella cecoslovacca Ivana Zelníčková (1977-1992), Tiffany (1993) da quello con l’attrice Marla Maples (1993-1999) e Barron (2006) dalla modella slovena Melanija Knavs, sposata nel 2005 e sua attuale consorte, nonostante continue voci di crisi tra i due. Particolarmente stretto il rapporto con la figlia Ivanka, che durante il suo mandato aveva ufficialmente nominato suo consigliere (come pure il marito di Ivanka, l’imprenditore Jared Kushner). «In realtà lei […] è figlia, è moglie, è madre, è punto di riferimento, in famiglia, fuori dalla famiglia, ovunque. Ivanka […] è per Trump la donna perfetta, il modello perfetto. […] Trump ha detto: “Se non fosse mia figlia, vorrei uscire con lei”» (Paola Peduzzi) • Grande passione per la Diet Coke, che consuma regolarmente, e per Twitter («Qualcuno ha detto che sono l’Ernest Hemingway dei 140 caratteri»). «Escluso dall’accesso ai social network Facebook e Twitter in ragione dell’uso fattone in concomitanza con l’assalto a Capitol Hill, nel febbraio 2022 l’ex presidente ha lanciato la piattaforma social Truth Social, sviluppata dalla Trump Media & Technology Group e da Digital World Acquisition» (Treccani) • Nel novembre 2022, nonostante gli insoddisfacenti risultati delle consultazioni di metà mandato, ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali del 2024. Ne è seguita una nuova campagna elettorale, tra successi alle primarie e guai giudiziari. «[…] Trump […] è stato incriminato dalla procura di Manhattan per 34 capi di imputazione gravi (tra cui il versamento nel 2016 di 130 mila dollari alla pornostar S. Daniels affinché tacesse su una loro presunta relazione), per 37 capi di accusa mossi dalla corte federale di Miami (detenzione illegale di informazioni sulla difesa nazionale), per 4 casi d’accusa della corte federale della Columbia (in merito all’assalto al Congresso, volto a sovvertire l’esito delle presidenziali del 2020) e per 13 capi di imputazione mossi dalla Corte federale della Georgia (per ingerenze nelle elezioni del 2020) in ragione dei quali è stato arrestato nell’agosto 2023, con rilascio immediato su cauzione» (Treccani). Da ultimo, nel maggio 2024, è stato condannato per tutti i 34 capi d’accusa del caso Stormy Daniels. È il primo ex presidente degli Stati Uniti a essere dichiarato colpevole nell’ambito di un processo penale. Ora si attende la quantificazione della pena, ma il dubbio avanzato da tutti gli analisti è che, nella sfida elettorale, posare a vittima del sistema non possa che rafforzarlo. Del resto, lui stesso, una volta ebbe a dire: «Potrei stare in mezzo alla Fifth Avenue e sparare a qualcuno e non perderei neanche un voto». «Gioco con le fantasie delle persone. La chiamo “iperbole reale”. Una forma innocente di esagerazione e un modo molto efficace di farsi promozione». «È sempre una buona cosa essere sottovalutato». «Io sono il marchio più sexy del mondo».