18 giugno 2024
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Biografia di Salman Rushdie
Salman Rushdie , nato a Bombay (India) il 19 giugno 1947 (77 anni). Scrittore.
Titoli di testa «Rimproverare Salman Rushdie di essere eccessivo è come rimproverare Simona Ferilli di avere le tette: è il suo bello. Gli aggettivi di Rushdie sono come seni soffici e opulenti. Ogni romanzo di Rushdie è zeppo di brani da portare via (come si fa con le pizze d’asporto)» [D’Orrico, Sette].
Vita Da piccolo il padre gli leggeva le fiabe, o meglio gliele raccontava a modo suo • «Era un alcolizzato, ma nostra madre ci ha protetti da lui, dai suoi eccessi d’ira. Da bimbi non lo abbiamo patito troppo. Lo sentivamo urlare e sapevamo che in casa succedevano cose brutte, tristi, ma lei ci ha protetti. Beveva un Johnnie Walker a notte, incredibile - Mr. Walker, di fatto, viveva con noi» [Mattia Insolia, L’Espresso] • «Fra tutti i ricordi d’infanzia, uno di quelli a cui sono più affezionato è quando io e mia sorella leggevamo Peter Pan insieme. La foto di noi due che leggiamo quel libro è incorniciata e appesa sia in casa mia sia in casa di mia sorella» [ibid.] • «Quando si chiede ai bambini che cosa vuoi fare da grande, io non dicevo che volevo essere un astronauta o un eroe sportivo, o altro, dicevo che volevo fare lo scrittore. Credo che la ragione sia che da bambino adoravo leggere» [a Maurizio Molinari, Rep] • A 12 anni, scrive un racconto ispirato al film Il Mago di Oz intitolato Over the Rainbow. Fu battuto a macchina su carta velina dalla segretaria del padre, e poi smarrito in uno dei traslochi di famiglia • Ha studiato in India e in Inghilterra, Si è laureato al King’s College di Cambridge, in Storia • «Anche quando andai all’università dicevo ancora che volevo provare a fare lo scrittore. L’unica altra cosa che ho pensato di fare è l’attore. All’università facevo molto teatro e partecipavo ai gruppi di studio teatrale e cose di questo genere e avevo questa strana fantasia che forse avrei potuto fare l’attore. Fortunatamente, ebbi l’intelligenza di capire che non ero abbastanza bravo. Pensai: “okay, magari non farlo e concentrati sull’altra cosa che hai sempre voluto fare, cioè scrivere”» [Molinari, cit.] • «Avevo vent’anni. Mio padre gridava contro mia madre, io gli sono andato addosso e l’ho colpito al volto, sì. Ero terrorizzato, temevo mi avrebbe picchiato, era un uomo piccolo ma forte, e invece no: si è girato e se n’è andato di casa». Alla fine, però, avete fatto pace. «È morto per un tumore molto aggressivo. All’epoca io vivevo in Inghilterra e lui in Pakistan, un amico di famiglia mi ha chiamato, sono salito sul primo aereo e l’ho raggiunto. È morto una settimana dopo e in quei giorni abbiamo parlato a lungo, curato tante ferite» [Insolia, cit.] • Il suo debutto come scrittore inizia con Grimus (1975), una fiaba fantastica, completamente ignorata dal pubblico e dai critici • «Ricordo che quando cominciai a scrivere il libro che divenne I figli della mezzanotte, a metà degli anni Settanta, avevo 27-28 anni, e quando cominciai a scrivere cercai di scriverlo con la narrativa in terza persona, ma non mi piaceva. Pensai che non risultava vivo e a un certo punto mi chiesi che cosa sarebbe successo se avessi lasciato che fosse il personaggio principale a raccontare la storia, se avessi lasciato che fosse la sua storia, raccontata con la sua voce. Poi un giorno, ero seduto nella mia stanza a Londra, e glielo lasciai fare. Ho sempre pensato che quello fosse il momento in cui diventai uno scrittore» [Molinari, cit.] • Fu un successo. Le Monde lo ha inserito nella top 100 dei libri del secolo • Nel 1983 pubblica La vergogna in cui delinea i tumulti politici in Pakistan • Del 1989 I versi satanici gli costa una fatwa da Ruhollah Khomeyni, la guida suprema dell’Iran: «La colpa di I versi satanici era quella di aver giocato letterariamente con il Corano, riprendendo un’antica favola su certi versetti successivamente espunti perché si riteneva potessero essere stati suggeriti dal diavolo, tema ritenuto tabù dall’Islam religioso. Per il resto è un romanzo fantastico, che comincia con due personaggi caduti da un aereo in picchiata verso la terra, e intreccia storie di meraviglia intorno al tema del confronto tra Bene e Male. Anche in modo umoristico» [Baudino, Sta] • «Sono passati molti anni e sono ancora qui. È strano come ciò abbia il sapore allo stesso tempo di una vittoria e di una sconfitta. Perché una vittoria? Quando, il 14 febbraio 1989, mi arrivò la notizia da Teheran la mia prima reazione fu: sono un uomo morto. Mi venne in mente una poesia scritta dal mio amico Raymond Carver, informato dal suo medico di avere il cancro ai polmoni: “Ha detto, se è religioso si inginocchi.../ E chieda aiuto.../ Ho detto, finora no, inizierò da oggi”. Ma io non sono religioso. Non mi inginocchiai. Andai in televisione a dire che avrei voluto scrivere un libro più critico. Per quale motivo? Perché quando il capo di uno stato terrorista ha appena annunciato l’intenzione di assassinarti nel nome di dio puoi o urlare o balbettare, e io non avevo intenzione di balbettare. E perché quando un omicidio viene ordinato nel nome di dio, inizi ad avere un’opinione meno positiva di quel nome. Dopo pensai: se un dio esiste, non credo si sia molto risentito per Versi Satanici, perché non sarebbe un granché come dio se bastasse un libro a far traballare il suo trono. Se poi un dio non esiste, di certo non si risente» [Rep 3/1/2004] • «Entrai in rapporti amichevoli con le squadre assegnate alla mia protezione e appresi un bel po’ di cose sulle attività interne alle forze speciali. Imparai come scoprire se si è seguiti da un’auto in autostrada, mi abituai alla strumentazione sempre sparsa dappertutto, e imparai lo slang della polizia. Gli agenti della stradale sono Ratti Neri. Il mio vero nome non venne mai usato. Imparai a rispondere ad altri nomi. Ero “Il Principale”» [ibid.] • Divenne Joseph Anton, appunto: scelse il nome pensando a Conrad e il cognome pensando a Cechov: gli scrittori da lui più amati • «Ricevevo lettere con l’invito ad arrendermi, a farmi operare, a iniziare una nuova vita. Non voglio la vita di qualcun altro. Voglio la mia. Gli agenti della scorta si sono dimostrati molto comprensivi e mi hanno aiutato a superare i periodi peggiori. Sarò loro eternamente grato. Sono uomini coraggiosi. Mettono a repentaglio la loro vita per me» • Più volte scampa alla morte • All’inizio degli anni Novanta il suo traduttore italiano Ettore Capriolo viene pugnalato, quello giapponese assassinato, e qualcuno spara al suo editore norvegese • «Vivere così significa permettere che la gente - inclusa la tua ex moglie - ti definisca un vigliacco sulle prime pagine dei giornali. Le stesse persone saranno senza dubbio pronte a parlare bene di me al mio funerale. Ma vivere, sfuggire all’assassinio, è una vittoria più grande che essere assassinati […] L’edizione economica di Versi Satanici venne pubblicata nella primavera del 1992, non da Penguin, che rifiutò di farlo, ma da un consorzio di editori. Riuscii ad essere a Washington per la presentazione e mostrai la prima copia ad una conferenza sulla libertà di parola. In quel mentre venni assalito, senza preavviso, dall’emozione. Riuscii a stento a trattenere le lacrime (Va detto che l’uscita dell’edizione economica di Versi Satanici ebbe luogo senza incidenti, in barba ai presagi di tante persone e ai timori di qualcuno)» [Rep 3/1/2004] • Nel 1998, il regime iraniano fa sapere di non tramare più per eseguire la Fatwa di Khomeini. Ma singoli e associazioni islamiste portano il premio per chi lo giustizierà dai 3 milioni di dollari promessi dagli Ayatollah a 3 milioni e 300mila. Nel 2012, lo scrittore azzarda: «Le taglie su di me? Solo retorica, nessun pericolo concreto» [Ventura, Mess] • Nel 1997 pubblica L’ultimo sospiro del Moro, nel 1999 La terra sotto i suoi piedi, nel 2003 Furia • Nel 2001 ha fatto un cameo in Il diario di Bridget Jones. «Il mio lavoro migliore! La gente mi chiede ancora indicazioni per il bagno» [Insolia, cit.] • È presidente del Pen dal 2004 al 2006 • Nel 2012 la sua autobiografia, Joseph Anton scritta in una terza persona alla Henry Adams: «Ho avuto un forte contraccolpo emotivo quando ho finito di scriverla. Ho sentito l’esigenza di tornare alla finzione della narrativa» [Flax-Clark, Vice] • Nel 2015 l’immagine pubblica di Rushdie non è tanto quella di un grande romanziere quanto piuttosto quella di un irascibile fondamentalista. Il fatto risale ad aprile di quell’anno, quando sei scrittori hanno annunciato che non avrebbero presenziato al Pen Gala in segno di protesta contro la decisione dell’organizzazione di assegnare il suo Freedom of Expression Courage Award a Charlie Hebdo, la rivista satirica francese vittima del terrorismo per le sue vignette su Maometto. Un disgustato Rushdie ha chiamato queste sei «femminucce», «sei autori in cerca di un po’ di ‘personaggio». Ho suggerito che la sua esperienza, di convivere con una fatwa, può aver contribuito a renderlo intollerante verso questo gesto. «Mi è sembrato, come se la gente non avesse imparato un cazzo. O ancora peggio che abbia imparato la lezione sbagliata. Hanno imparato la lezione dell’appeasement, l’opposto di capire che la libertà di parola è davvero un aut-aut: “Ci credi?” Sì o no, nel momento in cui dici “ma”, smetti di crederci» [Flax-Clark, cit.] • Due anni, otto mesi e ventotto notti, il suo dodicesimo romanzo, racconta di un conflitto quasi apocalittico che ai giorni nostri si scatena tra gli uomini e i jinn, creature mitiche che il Corano descrive “fatte di fuoco senza fumo” e che vivono in un mondo, scrive Rushdie, “separato dal nostro con un velo”. Due anni, come lo abbrevia Rushdie, raccoglie le fila della tradizione novellistica dell’India e del Medio Oriente – dal Kathâsaritsâgara al Hamzanama al Pañchatantra alle Mille e una notte. Il suo fascino per questi libri, peraltro pieni di jinn, dura dall’infanzia e ha influenzato i suoi scritti almeno fin da I figli della mezzanotte del 1981. E in Due anni è più forte che mai, fin dal titolo, che corrisponde a 1.001 notti [Flax-Clark, cit.] • Cosa le ha ispirato l’ambientazione della Città della vittoria? «Prima di essere uno scrittore di romanzi mi sono formato come storico e ho sempre avuto un grande interesse per tutti i temi collegati alla storia e, naturalmente, la storia dell’India mi è particolarmente cara. Ricordo che quando scrissi L’incantatrice di Firenze, tanti anni fa, la parte del libro che non parla dell’Italia parla dell’India durante l’impero Mogul nell’India settentrionale. Ricordo che mentre svolgevo le ricerche mi imbattei in storie che riguardavano l’India del Sud e trovai delle vicende interessantissime, almeno tanto quanto quelle del Nord, che la gente conosce molto meglio. L’impero Mogul nel Sud, il Taj Mahal, infatti è poco conosciuto. Pensai: “ecco una storia vera che prima o poi dovrò raccontare”. Presi un appunto mentale pensando che prima o poi avrei dovuto trasformarlo in un racconto. Ci ho messo quindici anni!». Questa è la sua prima opera dopo aver subito l’aggressione a colpi di coltello da parte dell’americano-libanese Hadi Matar nell’agosto del 2022 durante un evento pubblico a Chautauqua. Matar è sospettato di aver agito a seguito della fatwa emessa contro di lei nel 1989 dall’ayatollah iraniano Khomeini per la pubblicazione del libro I versi satanici. Scrivere può essere la risposta migliore al fanatismo? «Avevo finito il libro prima di essere attaccato, appena prima. Circa dieci giorni prima dell’attacco avevo finito le ultime revisioni e il libro era pronto per la stampa. È stato davvero così vicino che non ho dovuto cambiare niente. Comunque sì, sono molto contento di essermi trovato nella condizione di poter pubblicare. E non avevo bisogno di cominciare a scrivere in quel momento, perché sarebbe stato impossibile. Nemmeno adesso, sei mesi dopo, sto scrivendo molto. Guarire richiede molto tempo. Le ferite erano gravi e la cura è un processo lungo. Se non avessi avuto un nuovo libro, sarebbero potuti passare anni prima di scriverne uno. Fortunatamente, come un dono, questo libro era pronto e sono molto emozionato di poterlo offrire, perché è anche un modo per cambiare discorso, un modo per dire: “Non sono solo una persona che qualcuno ha accoltellato, ma sono anche l’autore di questo libro”. Voglio essere giudicato per la mia arte, non per gli incidenti che succedono nella mia vita. Qualche giorno fa ho detto ad alcuni amici che ho sempre pensato che il mio lavoro sia più interessante della mia vita. Purtroppo, non sempre il mondo è d’accordo con me» [Molinari, cit.] • Ventisette secondi e quindici coltellate: «Sei tu, dunque. Eccoti qui», si ritrova a pensare Salman Rushdie, quando, assalito da un uomo in nero, è certo di esser in punto di morte. È il 12 agosto del 2022 e Rushdie parla al pubblico su un palco di New York. Dalla condanna a morte, emessa dall’allora ayatollah Khomeini - la colpa: avere scritto I versi satanici, ritenuto blasfemo per la fede islamica - sono passati trentatré anni. Eppure su quel palco Rushdie non ha dubbi: l’uomo che gli corre incontro e lo accoltella vuole ucciderlo per compiere la fatwa del 1989. L’aggressione gli costò un occhio e l’uso di una mano. Gli provocò anche danni al fegato. Due anni dopo racconterà tutto in Coltello • «Quando ho iniziato a scrivere Coltello la domanda che mi ponevo era soltanto una. La stessa che mi faccio quando comincio un nuovo romanzo: cosa voglio raccontare? Avessi scritto dell’attacco avrei riempito dieci pagine e non aveva senso. Di cosa sto scrivendo?, mi chiedevo. No, non della morte, le coltellate, l’assalitore. No, io volevo raccontare la vita: ero in vita, nonostante tutto: ecco cosa valeva la pena di essere raccontato». Della rabbia cosa dice? «Non l’ho provata - non dico mai, però quasi mai. Anche quand’ero nel reparto di terapia intensiva, subito dopo l’attacco, anche quando ho dovuto affrontare la riabilitazione, nei mesi successivi: niente rabbia. Avevo troppo cui pensare. Soprattutto, ero impegnato a rimanere in vita. E poi la rabbia era propria della persona che mi ha accoltellato e se mi ci fossi aggrappato pure io sarei rimasto lì, incastrato in quel giorno, mentre io volevo andare avanti» [Insolia, Rep] • Il processo a Hadi Matar inizierà il 5 luglio • Racconta la sua quinta moglie Eliza: «Ero diventata da poco sua moglie. Ci eravamo sposati il 24 settembre 2021 […]. Ma da cinque anni, lui e io stavamo costruendo in privato una dimora l’uno per l’altra. Si trattava di un luogo vivo e reale, dentro ciascuno di noi, pieno delle nostre fantasie, delle nostre risate, dei nostri racconti e della nostra libertà. Io sono la sua casa e lui è la mia, ho pensato. Non sono pronta a vivere senza di lui. […] Nonostante la nostra differenza d’età – lui ha 76 anni, io ne ho 45 – ci siamo considerati alla pari fin dall’inizio e abbiamo scelto di amarci con limpidezza, passione e coraggio. Il giorno del nostro matrimonio, Salman mi ha promesso di amarmi, quel giorno e per sempre. Nella buona e nella cattiva sorte – sono le parole che abbiamo pronunciato. Non era trascorso nemmeno un anno ed eccoci lì, travolti dalla cattiva sorte. Per settimane, durante la sua convalescenza, non permetto a Salman di guardarsi allo specchio. So che, se si vedesse come lo vedo io, ne ricaverebbe un trauma capace di compromettere la sua guarigione […] Salman mi ha chiesto scusa più volte. A un certo punto ha detto di volersi scusare con mio padre, per non aver potuto proteggermi dalla sua vecchia vita. Ha detto che temeva di rovinare la mia, trascinandomi all’interno dei suoi lunghi corridoi dorati, dove le cose sono meravigliose e pericolose allo stesso tempo. Ho rammentato a Salman che tutta la vita deve essere vissuta affrontando ciò che è meraviglioso e terrificante […]. Non ringrazio o perdono il coltello che per poco non ha ucciso mio marito. Ma celebrerò sempre le forze del bene che lo hanno riportato a casa da me» [Rachel Eliza Griffiths, 2024, The Guardian] • I suoi libri sono stati tradotti in oltre 40 lingue, e sono ampiamente letti in tutto il mondo. Cosa prova ad avere un pubblico così vasto e differente? «È molto emozionante. Ci sono Paesi di cui non conosco nulla. Ad esempio, mi dicono che i miei libri sono piuttosto famosi in Corea del Sud. Non sono mai stato a Seul, conosco davvero poco della Corea del Sud, a parte quello che leggo sui giornali. Le mie storie non trattano per niente quella zona del mondo, ma per qualche ragione alcune persone di lì sono interessate. Come ho detto prima, penso che il miracolo della nostra epoca moderna è che il lavoro dei traduttori lo rende possibile. Credo che i traduttori siano le persone meno apprezzate al mondo in letteratura eppure senza di loro questo pubblico di lettori internazionali non sarebbe possibile. Io sono un grande amante della letteratura russa, adoro Bulgakov, Turgenev, Tolstoj, Bulgakov, Dostoevskij, Gogol’, e così via, ma li ho solo letti nella traduzione inglese. Non conosco lo spagnolo ma leggo gli scrittori sudamericani in inglese. C’è una bella storia raccontata dal traduttore di García Márquez in inglese. Si chiama Gregory Romasa. Una volta partecipò ad una conferenza stampa e si trovò accanto a Márquez e Márquez gli disse che riteneva che la traduzione inglese fosse migliore dell’originale in spagnolo, il che probabilmente non era vero. Probabilmente Márquez era solo gentile, ma si capisce che il traduttore fu molto emozionato al sentirselo dire. Ed è in effetti un’ottima traduzione. Quando leggi la traduzione in inglese di quel grande libro hai la sensazione di leggere quel grande libro. Noi viviamo in quest’epoca in cui i traduttori ci danno la possibilità di leggere oltre la barriera della lingua ed è emozionante» [Molinari, cit.] • «Mi sento come se consumassi il mio filtro dei sogni tutti i giorni, col mio lavoro, così i miei sogni sono robe tipo: mi sveglio al mattino e leggo il Times, o mi sveglio, mi alzo e vado a fare due passi. Dormo sempre benissimo» [Flax-Clark, cit.] • Ha mani piccole e fragili [ibid].
Amori Nel 1976 sposa Clarissa Luard. I due, nel 1980, hanno Zafar. Si lasciano nel 1987. Rushdie sposa la scrittrice americana Marianne Wiggins. Sono gli anni della fatwa. Si muovono costantemente per evitare di essere scoperti. Poteva parlare al telefono con Zafar ma non vederlo. Il suo matrimonio con Wiggins alla fine è finito. Elizabeth West, scrittrice ed editrice, è la terza moglie. Chiede il divorzio perché stanca di dividere il marito con una modella-soubrette di vent’anni più giovane di lui. Oltre alla separazione ha voluto una fetta del patrimonio di Rushdie: la richiesta si aggira intorno ai 15 miliardi. I due nel 1999 hanno un figlio, Milan. Nel 2004 Rushdie si è sposato per la quarta volta, questa volta con la modella ed attrice indiana Padma Lakshmi, dalla quale però si è separato nel 2007. «Il divorzio del 2007 è la logica conseguenza di quattro anni di incomprensioni feroci. Lei nel suo Love, loss and what we ate lo dipinge come una persona “insensibile, fredda, gelosa, e perfino sex addicted”» [Fatto] • Tutte le ex mogli di Rushdie lo accusano di essere un pessimo marito • E alla fine arriva Eliza Griffiths. Lei, poetessa, fotografa, scrittrice, ha 31 anni meno di lui. I due convolano a nozze nel 2021: «Abbiamo una connessione mentale molto grande, pensiamo allo stesso modo, ridiamo per le stesse cose: nella realtà è una storia d’amore bellissima, la nostra».
Titoli di cosa Cosa crede di lasciarci con i suoi romanzi? «Qualcosa da poter leggere».