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 2024  giugno 20 Giovedì calendario

Biografia di Ian McEwan

Ian McEwan, nato ad Aldershot (Inghilterra, Regno Unito) il 21 giugno 1948 (76 anni). Scrittore. Sceneggiatore. «Continuo a credere che tra un romanzo e l’altro sia necessario inserire un pezzo di vita: mi pare che ogni romanzo debba essere scritto da una persona leggermente diversa» • «Un’infanzia felice, trascorsa a Singapore e a Tripoli, al seguito del padre militare di carriera, di origine scozzese, come rivela il suo cognome; poi il college in Inghilterra e il distacco non indolore dai genitori. Gli anni del liceo, caratterizzati da intense letture (Il giovane Holden rimane un libro fondamentale per la sua formazione) e dalla passione per il rock’n’roll, coincidono con l’esplosione delle mitologie giovanili degli anni Sessanta, l’ansia di libertà e ribellione del movimento hippy, la musica dei Beatles e dei Rolling Stones, il consumo della droga. McEwan vive quel periodo euforico senza lasciarsi travolgere né coinvolgere più di tanto, mantenendo sempre un atteggiamento piuttosto distaccato e razionale» (Massimo Romano). «Il mio collegio era a duemila miglia da casa mia. Ero molto legato a mia madre; non averla più vicina è stato un trauma che ho vissuto in silenzio. Per sopravvivere mi sono ritirato completamente in me stesso. Ma non ho pianto, come facevano tanti altri ragazzi. […] Ero delicato, pallido e taciturno. Credo di essere rimasto muto e come irrigidito per tre o quattro anni. Solo a sedici anni ho finalmente rialzato la testa. A un tratto ho scoperto che il paesaggio intorno alla scuola era stupendo. E ho incominciato ad amare la musica. E per di più ho scoperto che l’amicizia era possibile» (a Peter Kümmel). «Dai 16 anni in su, quando ero al liceo, ho ricevuto un’educazione veramente solida, la tipica educazione degli anni ’50. Sono stato abbastanza fortunato ad avere un insegnante di letteratura inglese che […] mi ha instillato anche la passione: la passione per la letteratura e per la poesia, in particolare. Di conseguenza, la passione per tutte le forme espressive e artistiche. Questa formazione mi è servita non tanto, forse, per diventare uno scrittore – perché all’epoca non avevo ancora questa ambizione –, ma mi è servita sicuramente per diventare un buon lettore». «A diciannove anni, nel 1967, fa lo spazzino a Londra per conquistarsi l’indipendenza economica. Poi studia letteratura inglese alla Sussex University, ma i professori lo deludono. Ha un’idea fissa, un’unica ambizione: quella di diventare uno scrittore» (Romano). «McEwan decide di frequentare un corso di letteratura e scrittura creativa alla University of East Anglia. L’incontro con Malcolm Bradbury e Angus Wilson, scrittori e docenti, si rivela decisivo per l’autore» (Federica Bertini). «Comincia a scrivere racconti. Il primo che riesce a pubblicare su una rivista, la New American Review, è Fatto in casa. […] Il tema è arduo per uno scrittore all’esordio: le esercitazioni di un ragazzino che induce la sorellina di dieci anni a giocare a “papà e mamma” per scoprire il mistero del sesso. McEwan lo affronta con grande naturalezza e semplicità di scrittura, senza rinunciare ai risvolti divertenti della situazione» (Romano). «Iniziare a pubblicare […] è stato un momento meraviglioso: avevo inviato un racconto a una rivista letteraria americana e poi non avevo saputo più nulla, fino a che un giorno ho trovato nella posta del mio piccolo appartamento di Londra una copia della rivista. Sulla copertina c’era scritto “Günter Grass, Philip Roth, Susan Sontag e Ian McEwan”, e io ho pensato “Non ci posso credere, sono uno scrittore!”. Avevo 22 anni, ed è stata una delle cose più eccitanti della mia vita. Non ho mai più provato quella sensazione, leggendo il mio nome su una copertina» (a Marta Perego). «Il suo primo libro, Primo amore, ultimi riti, con cui ottiene il Somerset Maugham Award, esce nel 1975 e comprende otto storie che affrontano il rapporto ossessivo e allucinato dei personaggi con la sfera sessuale, le crudeltà fisiche e psicologiche dell’infanzia e dell’adolescenza» (Romano). «Scrivere faceva parte di un’esplosione geniale della mia esistenza, della percezione che ora, avendo più o meno terminato la mia educazione formale, potevo fare quello che volevo. E, per quanto mi riguardava, scrivere era sinonimo di libertà, […] scrivere narrativa voleva dire avere la compiacenza di condurre il lettore per mano fino all’orlo del precipizio… e saltare. Il mestiere consisteva nel trovare un confine, e poi varcarlo. […] Quando uscì in edizione cartonata, Primo amore, ultimi riti fu un successo di critica, anche se di certo non un successo commerciale. Ma anche le recensioni positive erano scandalizzate. Che razza di mostro era sceso in mezzo a noi? A volte si faceva fatica a distinguere le recensioni positive da quelle negative, perché sia le une che le altre elencavano con gusto tutte le oscenità e le perversioni barocche. Era difficile per me allora, e sarebbe ancora più difficile adesso, convincere i lettori che in realtà ero mosso da intenti morali. In particolare, i miei amorali narratori in prima persona agli occhi dei lettori si condannavano con le loro stesse parole. Io ritenevo più interessante che l’autore non intervenisse». «La seconda raccolta, Fra le lenzuola (1978), comprende sette racconti imperniati su visioni oniriche e allucinate della realtà, sulla violenza esplosa dagli oggetti. […] A trent’anni avviene il suo esordio come romanziere con Il giardino di cemento (1978), intensa storia di una famiglia composta da quattro bambini che, per timore di venire divisi o essere messi in un istituto, tentano di nascondere il fatto che la propria madre è morta. La seppelliscono in cantina e continuano a vivere come se non fosse successo nulla. […] Da questo libro è stato tratto l’omonimo film di Andrew Birkin. Il secondo romanzo, Cortesie per gli ospiti (1981), è uno splendido noir con una partenza lenta e tranquilla che culmina in un’esplosione di violenza. […] Da Cortesie per gli ospiti è stato tratto nel 1989 l’omonimo film di Paul Schrader, con la bella sceneggiatura di Harold Pinter. […] Nella seconda metà degli anni Ottanta, sulla soglia dei quarant’anni, si registra una svolta nella narrativa di McEwan, che abbandona il truce intimismo degli esordi per rivolgere lo sguardo ai problemi della società e della storia. Ne consegue anche un cambiamento sul piano delle forme e dei generi, in quanto egli sostituisce alla misura finora a lui più congeniale – la short story e il romanzo breve – quella del romanzo di più ampio respiro, con una struttura polifonica orchestrata sui temi attuali della scienza, della filosofia e della religione. Con il terzo romanzo, Bambini nel tempo (1987), McEwan costruisce un impianto narrativo complesso, articolato in una ricca tessitura di temi. Si tratta di una bellissima storia di amore e disamore, che è anche una moderna meditazione sul problema del tempo, sul rapporto tra genitori e figli, una satira feroce della letteratura per l’infanzia e un quadro impietoso dell’Inghilterra thatcheriana. […] Bambini nel tempo è il primo romanzo a lieto fine dello scrittore inglese, e anche questo è il segnale di una svolta nel suo itinerario narrativo. […] Con il romanzo successivo, Lettera a Berlino (1989), che è un’appassionante spy story e una devastante storia d’amore ambientata negli anni Cinquanta della Guerra fredda, McEwan ottiene un successo internazionale, consolidato dal film The Innocent (1993, titolo originale del romanzo) di John Schlesinger, […] con Isabella Rossellini e Anthony Hopkins nel ruolo dei protagonisti e la sceneggiatura dello stesso McEwan. […] Il suo quinto romanzo, Cani neri (1992), è forse la sua opera meno felice. […] Il tema dell’amore esasperato e il conflitto tra scienza e religione, un problema già affrontato in Cani neri, è al centro del […] romanzo […] L’amore fatale (1997), una storia molto particolare in cui si scontrano razionalità, follia ed emozioni» (Romano). Il grande successo giunge però con i romanzi successivi – Amsterdam (1998) e soprattutto Espiazione (2001) e Sabato (2005) –, che registrano un ulteriore mutamento della sua poetica. «C’è stato un periodo, […] fra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, in cui avevo un atteggiamento più moralistico, nel senso che cercavo di esercitare una certa persuasione sul lettore per guadagnarlo a quanto stavo scrivendo. È un atteggiamento che ho abbandonato all’incirca quando ho scritto Amsterdam ed Espiazione, e ora trovo che dentro i miei libri metto me stesso molto di più. Prima i miei romanzi si presentavano come sistemi chiusi, quasi sigillati rispetto all’esterno, mentre ora tendo a introdurvi i miei interessi, che sono la musica, la poesia, la storia, la scienza. Se i miei primi intrecci erano un po’ claustrofobici, adesso vanno verso un traguardo aperto» (a Francesca Borrelli). «Mi sono sentito attirato dall’esigenza di raccontare il reale, una sorta di lealtà verso un certo tipo di verità, non la mia verità, bensì la verità condivisa. […] Ho cominciato a pensare che il mondo reale, fatto di queste cose, fosse più straordinario di qualsiasi cosa io potessi inventare» (a Enrico Franceschini). Con grande interesse di pubblico e critica sono stati accolti anche i romanzi successivi – Chesil Beach (2007), Solar (2010), Miele (2012), La ballata di Adam Henry (2014) e Nel guscio (2016) –, dei quali sono state spesso realizzate trasposizioni cinematografiche, non di rado sceneggiate dallo stesso McEwan. Tra i suoi ultimi libri, il romanzo ucronico e fantascientifico Macchine come me (2019), il racconto satirico Lo scarafaggio (2019) e il romanzo Lezioni (2022). «Questo romanzo arriva dopo una sorta di trilogia più legata alla stringente attualità e dopo uno sfogo anti-Brexit (Lo scarafaggio), dove ribaltando la metamorfosi kafkiana uno scarafaggio si sveglia nel corpo del primo ministro [Boris Johnson – ndr] a Downing Street. Qui invece è un McEwan inaspettato, che si addentra in una sorta di memoir (o anti-memoir) tradizionale. I bambini del dopoguerra, scrive McEwan, “si sono adagiati sul grembiule della storia, rannicchiati in una piccola piega del tempo, mangiando tutta la panna”. Così è Roland, il protagonista di Lezioni. […] Molti riferimenti autobiografici […] troviamo in Lezioni, a partire dall’infanzia di Roland, cresciuto in una base militare in Libia e poi mandato in Inghilterra in collegio nel Suffolk dal padre militare violento. Ian come Roland è nato nel 1948» (Caterina Soffici). «Lezioni (Einaudi) […] segue un uomo comune dall’infanzia all’età adulta inoltrata attraverso gli eventi principali che hanno segnato la seconda metà del Ventesimo secolo e i primi decenni del Ventunesimo. […] Diresti che Lezioni è autobiografico? “C’è molto di me in Roland. È più o meno la persona che sarei stato se non avessi fatto lo scrittore. Non volevo fare un lavoro. Ho sempre desiderato farmi trascinare dalla corrente, facendo una cosa o l’altra ai margini. Ma Roland si trova un lavoro. A volte qualcuno mi dice che è un personaggio molto passivo, ma io dico no, aspetta un attimo: […] cresce un figlio da solo, porta libri di nascosto a Berlino Est, si prende cura di una donna che sta morendo. Se Roland è una persona ordinaria, allora lo siamo tutti”» (Alberto Manguel) • «Nel 1988 Mc Ewan ha vinto il Booker Prize per Amsterdam; un paio di anni dopo, la regina lo ha nominato Comandante dell’Ordine dell’Impero britannico. Ha vinto altri innumerevole premi, […] e – ciliegina sulla torta – nel 2014 l’Harry Ransom Center dell’Università del Texas ha sborsato 2 milioni di dollari per assicurarsi il suo archivio (che consta di 71 scatole di documenti, 12 dischi di computer e un disco rigido)» (Soffici) • Divorziato dall’astrologa Penny Allen, sua ex compagna di università, dalla quale aveva avuto due figli, di cui, dopo un’aspra battaglia legale e il rapimento dei due da parte della madre, riuscì a ottenere l’affidamento esclusivo; dal 1997 sposato in seconde nozze con la giornalista e scrittrice Annalena McAfee, con cui nel 2012 ha abbandonato Londra per la campagna inglese. «Pecore. Mucche. Cavalli. Fattorie, campi di grano e dolci colline. Un villaggio di 400 anime, con un pub del 1865 e una chiesetta del Medioevo. Il proverbiale countryside inglese. Per la precisione, i Cotswolds, l’equivalente per Londra degli Hamptons per New York: il posto in cui gli abitanti della capitale, se possono, hanno la “seconda casa” o a un certo punto si trasferiscono per un’esistenza più bucolica e tranquilla. […] Era stanco di Londra? “Di Londra non ci si può stancare, a meno di essere stanchi della vita stessa, come afferma la celebre frase. Ma suppongo che il trasferimento sia stato un inconscio preparativo per un ultimo atto, per una vita più contemplativa. Sebbene non in solitudine: scopri che un sacco di gente è felice di venire a trovarti se hai una grande casa in campagna, inclusi figli e nipoti”» (Franceschini) • Nel 2002 scoprì di avere un fratello maggiore, David Sharp. «Entrambi figli di Rose e David McEwan, ufficiale scozzese, ma figlio illegittimo Dave (alla nascita Stuart), figlio legittimo Ian. Rose concepisce Dave con l’ufficiale quando è ancora sposata con un soldato inglese, da mesi sul fronte senza dare notizie, ma ha appena partorito quando il marito le scrive che è vivo e, avendo avuto una licenza, sta per rientrare. Rose mette l’annuncio sul giornale in cerca di una famiglia per il neonato, ma, ripartito per il fronte, il marito muore in Normandia nel D-Day, giugno 1944. Nel 1947 Rose sposa l’ufficiale scozzese, ma, avendo scritto nell’annuncio “complete surrender”, “abbandono definitivo”, non si cura di cercare il figlio, e un anno dopo ne concepisce un altro, Ian» (Guido Santevecchi) • «Sono un appassionato di musica classica e jazz. […] Io invidio i musicisti, in particolare i pianisti. Penso che avrei potuto essere un pianista abbastanza decoroso, ma abbandonai troppo presto, per una serie di ragioni che non avevano a che fare con la musica» • «Coraggiose e controverse posizioni pubbliche: […] i suoi attacchi al fondamentalismo islamico – “creatore di una società che aborrisco” –, all’estremismo religioso in senso più ampio – “non mi piacciono le visioni medievali in cui Dio salva i suoi seguaci e condanna gli altri” – o alla Brexit – “dobbiamo aspettare che muoiano un milione e mezzo di anziani, poi torneremo a votare e vinceranno i ‘sì’ all’Europa”» (Franceschini). «Lei si sente europeo o inglese? “Io mi sento europeo. Mi hanno strappato la mia cittadinanza europea, ma la tengo stretta nel profondo del mio cuore. Perché comunque siamo europei. E non possiamo prescindere da Kafka, o da Camus, o da Calvino, o da Thomas Mann. Ma sono solo i primi che mi vengono in mente. Ce ne sarebbero così tanti che non si possono nemmeno nominare tutti”» (Soffici). «L’identità non si può prendere come in un supermercato delle identità personali, come se fosse un numeretto da indossare. […] Chiamatemi all’antica, ma tendo a pensare che le persone in possesso di un pene siano uomini» • «Il sospetto di un mondo che non è materialmente concreto, un mondo fatto di immagini riflesse, memorie fabbricate, identità proiettate è onnipresente nel suo lavoro. L’universo di McEwan è il nostro perché descrive l’intuizione del mondo attraverso le ombre irradiate sul muro della caverna. Come i protagonisti di McEwan, vaghiamo per l’universo con l’illusione di un libero arbitrio (illusione perché il libero arbitrio, a dispetto di quello che la Chiesa vuole farci credere, per McEwan non esiste), trascinati dal flusso delle cose per ragioni che riusciamo ad afferrare solo quando è troppo tardi. Se c’è una voce capace di esprimere le nostre angosce collettive e le nostre speranze collettive, è quella di McEwan. È il più eminente artista della lingua inglese in una generazione ricchissima di talento come la sua» (Manguel). «Per me, il più grande scrittore vivente» (Gillo Dorfles) • «Uso sempre un taccuino formato A4 di colore verde, le pagine devono essere rigate ma senza margini e scrivo soltanto con una penna nera. E lì lascio libertà alla mia mano. A me piacciono moltissimo i computer, però non c’è nulla di così libero come una mano e una penna: è come se il cervello pensasse direttamente sulla pagina, come se il cervello avesse una mano» • «Io non credo nel blocco dello scrittore. Credo, invece, nell’esitazione dello scrittore. È molto importante prendere tempo: una buona idea deve sostenersi. Tante volte, qualcosa che ci sembra geniale di lunedì non suona più bene al mercoledì. Perciò, quando ti viene un’idea, àlzati, passa la mano e stai fermo un turno» • «Dei romanzi ci sarà sempre bisogno, per aiutarci a capire chi siamo» • Io penso che la forma suprema di letteratura sia il racconto. […] Se riuscissi a scrivere il racconto perfetto, potrei morire felice» • «Smetterai mai di scrivere? “Noi scrittori andiamo avanti finché il cervello non molla. Diciamo dei politici che farebbero bene a ritirarsi quando sono ancora in vetta, ma aspettano sempre uno scandalo, un disastro o una decisione clamorosamente sbagliata prima di lasciare. I romanzieri dovrebbero fare la stessa cosa, mollare quando sono in vetta. Non dovremmo aspettare di scrivere quel libro che non convince né la critica né il pubblico. Dovremmo fermarci prima”» (Manguel) • «Mi piacerebbe sapere come andrà a finire il Ventunesimo secolo: scoprire se sopravvivremo alla minaccia del cambiamento climatico e di una possibile guerra nucleare. È seccante pensare che un giorno il mondo andrà avanti senza di me. Non pretenderei l’eterna giovinezza: mi basterebbe l’eterna vecchiaia. Vorrei fermarmi così come sono e vivere almeno altri diecimila anni. […] In fondo, me la cavo ancora a tennis».