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 2024  giugno 24 Lunedì calendario

Biografia di Vittorio Feltri

Vittorio Feltri, nato a Bergamo il 25 giugno 1943 (81 anni). Giornalista. Dal settembre 2023 direttore editoriale del Giornale. Ha diretto anche l’Indipendente, l’Europeo, il Borghese, il Quotidiano Nazionale e Libero (da lui fondato). «Se c’è una cosa che posso di sicuro comprendere sono le ragioni non del cuore ma della tasca».
Vita «Vengo da una famiglia di modeste condizioni: quando avevo sette anni sono rimasto orfano di padre e mi sono dovuto un po’ arrangiare» • «Io da ragazzo, terminata la fatidica terza media, per tirare a campare pulivo le scale di un condominio, poi sono stato assunto nel ruolo di fattorino in un negozio di cristalceramiche, quindi in una bottega di confezioni in qualità di apprendista commesso. In seguito entrai nella categoria dei vetrinisti, dopo un regolare corso, dei quali oggi sono il presidente nazionale benché da oltre mezzo secolo svolga l’attività di giornalista e direttore. Ho una laurea in scienze politiche che non ricordo dove l’abbia deposta» • Comincia all’Eco di Bergamo nel 1962: «A Bergamo c’erano due giornali, uno degli industriali e uno della Curia. Vittorio Feltri finì in quello della Curia. Faceva il critico cinematografico. Erano i tempi di Pietrino Bianchi, critico del Giorno, Giovanni Grazzini, del Corriere della Sera, Alberico Sala, del Corriere d’Informazione. C’era già Morando Morandini alla Notte. Pietrino Bianchi una volta arrivò a Bergamo e disse a Feltri: “Come critico sei una schiappa. Ma sei un grande cronista”. Feltri ci rimase male. Ma Bianchi aveva visto giusto» (Claudio Sabelli Fioretti) • Dopo l’Eco di Bergamo venne la Notte: «Nino Nutrizio mi ricevette. Ero molto intimorito. Nutrizio dava del “voi’. Disse: “L’Eco di Bergamo è il giornale più brutto del mondo. Se non vi hanno assunto nemmeno lì, ho il sospetto che siate cretino”. Mi sono sentito sprofondare. Nutrizio disse: “Vi assumo in prova per tre mesi. Se supererete la prova - e lo ritengo improbabile - sarete assunto. Altrimenti tornerete alle vostre occupazioni nell’interesse vostro e soprattutto nostro”. Tornai a Bergamo in stato confusionale. Alla vigilia di Natale una prostituta venne sgozzata mentre affettava un panettone davanti alla bimbetta di due anni. Raccontai il delitto con passione, le coltellate, il sangue, la bimbetta piangente. Alle due del pomeriggio corsi in edicola, cercai la cronaca di Bergamo e mi accorsi che l’articolo non c’era. Salii in redazione distrutto, mi accasciai sulla scrivania con la testa fra le mani. Poi vidi la prima pagina. La firma, in fondo, era la mia. Un brivido, vidi il titolone, “Delitto di Natale”, avevo la prima pagina. Suonò il telefono, era Nutrizio: “Non siete cretino, siete assunto”» • «Prima all’Europeo e poi all’Indipendente (che aveva rianimato, portato al galoppo e mollato prima che stramazzasse come un cavallo drogato) si era fatto le ossa. Basti ricordare un titolo della sobria campagna elettorale a favore di Marco Formentini: “Perfino Marx era meno rosso di Dalla Chiesa” (...) Non che piaccia troppo alla destra italiana. Anzi. In questi anni ha deriso Casini e Mastella come “prefiche” perché stavano sempre a lagnarsi di Berlusconi, ha battezzato Buttiglione “Rocco Tarocco”. Resta indimenticabile il dibattito con Giuliano Urbani, colpevole di “inciucismo” ai tempi in cui Maccanico tentava il governo di larghe intese: “Urbani? Mens nana in corpore nano”. E le punture di spillo a Gianfranco Fini? Cominciò: “È un ducetto felsineo”. Proseguì: “È un parlatore senza rivali che non ha mai detto niente”. Concluse: “In pratica non ha mai fatto un accidenti, eccetto frequenti vacanze dall’altra parte del mondo per riposarsi dalle fatiche dell’ozio”. Il fatto è che lui, nelle gabbie degli schieramenti, ci sta stretto: “Non sono né di destra né di sinistra. Detesto queste etichette. Mi sono sempre definito di destra per il piacere di dare scandalo. Solo per questo, perché tutti erano di sinistra, perché nessuno aveva il coraggio di proclamarsi liberale, perché era vietato essere anticomunista. Ma io, se proprio devo definirmi, sono un anarchico liberale”. Anarchico, soprattutto. È lì che son nati i guai. Si sa com’è il Cavaliere: adora essere adorato. Il suo sogno, raccontò una volta, sarebbe dirigere il Corriere, fare un giornalismo “senza toni accesi”, smetterla con un certo tipo di filosofia al quale dice d’esser stato costretto: “Se vuoi portar via lettori agli altri devi puntare sui più arrabbiati”. Cosa che gli riesce benissimo. Ma sempre un anarchico resta. Dopo la vittoria del 27 marzo 1994, si sottrae al trionfalismo con un editoriale sul tema: “Una certezza, molti dubbi”. Nell’estate del 1996 riapre a quel Bossi odiato dalla destra come un traditore» (Gian Antonio Stella) • «Ho fatto cose importanti. Ho fatto andare bene i giornali che dirigevo. L’Europeo l’ho preso a 85 mila copie e sono arrivato anche a 200 mila. Al Giornale ho sostituito un mostro sacro del giornalismo come Montanelli, e ho raddoppiato le vendite. Questo ha irritato. Non bastasse, sono riuscito a farmi pagare tanto, molto più degli altri direttori» • «All’inizio sono ingessato perché non conosco ancora i lettori. Poi, quando li ho capiti, me li vedo davanti come in un teatro e volo libero. Quello che mi dava fastidio al Giornale, anche se facevo come volevo, era far parte di una scuderia» (a Giancarlo Perna) • «Il suo Giornale confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!» (Indro Montanelli nel 1995) • «Quando lasciai il Giornale, Fedele Confalonieri mi commissionò un progetto per un tg diverso. Io lo elaborai assieme a Massimo Donelli, che allora era condirettore di Panorama. Il progetto entusiasmò i capi di Mediaset. Confalonieri mi disse solo che serviva l’ok di Berlusconi e la scelta della rete. Da allora non ne ho più saputo nulla, salvo che c’era stata una sorta di sollevazione dei capi testata» (a Renzo De Rienzo) • «Ho fatto campagne giuste, ma ho anche commesso un paio d’errori. Quando è uscito il rapporto Mitrokhin ho sparato il titolo “Giornalisti di Repubblica vergogna”. Io volevo solo accusarli di doppiopesismo perché quando uscirono le liste della P2 non andarono tanto per il sottile, mentre ora diffondevano molto scetticismo su quelle liste del Kgb. Sarebbe stato meglio che avessi espresso un’opinione, invece di lanciare un’invettiva» • Nel 2001 venne radiato dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia per aver pubblicato la lista dei nomi dei cittadini sotto procedimento giudiziario per accuse di pedofilia, nel febbraio 2003 l’Ordine nazionale annullò il provvedimento • Nel 2009 ripescò sul Giornale una condanna per molestie subita nel 2004 dal direttore dell’Avvenire Dino Boffo, riportando il testo dell’informativa del casellario secondo cui il giornalista avrebbe avuto una relazione omosessuale. A seguito dell’attacco, Boffo dovette dimettersi. Sebbene la condanna fosse in seguito confermata, l’informativa si rivelò essere inesistente. Nel 2010 il Consiglio dell’ordine dei Giornalisti della Lombardia lo sospese per sei mesi (poi ridotti a tre) • Nel mirino delle Nuove Brigate Rosse, ha subìto varie minacce, compresa una busta anonima priva di simboli politici recapitata il 5 marzo 2008 alla redazione milanese di Libero («L’umanità sarà più felice quando Vittorio Feltri sarà morto») • «Vittorio Feltri è tra i giganti del nostro giornalismo. Può piacere moltissimo, o poco. È divisivo? Certo che lo è. E tanto. Ma bisognerebbe sempre diffidare di chi scrive per piacere a tutti, di quelli che puntano al pareggio dalla prima all’ultima riga. Lui sai sempre da che parte sta. E comunque, per capirci: è uno che ancora sposta copie, ha un suo pubblico, gente che va in edicola a versare l’obolo solo per leggere lui.
Grande scrittura, grande «inviato speciale» (memorabili le stagioni in cui si esibì qui, al Corriere), ma che avesse lo straordinario dono di intuire le aspettative dei suoi lettori si capì nel 1989, quando assunse la guida del settimanale L’Europeo, assai malconcio: in due anni lo portò da 78 mila a 130 mila copie e così, da allora, dirigere giornali è diventato il suo mestiere (“Ne avrò diretti sette oppure otto, ho perso il conto”), di certo ha diretto l’Indipendente e il Giornale, per fondare poi, nel 2000, Libero. Che stai per lasciare, se ho capito bene. “Sì, sto per tornare al Giornale, che sarà diretto da Alessandro Sallusti. A me hanno proposto di tenere l’omelia della domenica, e di gestire una “stanza”, tipo quella di Montanelli”. Per spostarti hai chiesto un aumento agli Angelucci, i nuovi proprietari? “No. Ma ho preteso lo stesso stipendio. Che è già molto alto. I soldi mi interessano”. Prosegui. “La libertà di un giornalista si misura dalla busta paga. Dalla possibilità che hai di andare da un sarto e farti fare un buon abito su misura”. Sai che ci sarà dibattito, su questa affermazione. “Non me ne frega niente”. La tua cabina armadio, comunque, è leggenda. “Tengo all’eleganza. Però il vestito che indosso oggi ha una ventina d’anni. Ho il vantaggio di aver mantenuto sempre la stessa taglia: peso 66 chili, sono alto 1,82 cm”. Quando è morto Silvio Berlusconi, hai detto: gli sono riconoscente, mi ha fatto diventare ricco. “Mi chiamò al Giornale dopo Indro. Vendevano 115 mila copie. Dopo 2 anni, eravamo a 250 mila. Allora Berlusconi, come premio, mi cedette il 7% dell’azienda, che comprendeva il palazzo dove c’è la redazione, in via Negri. Da quel giorno, non aspettai che di incassare la liquidazione. Con quei soldi ho anche comprato casa a tutti e quattro i miei figli”» (Fabrizio Roncone nel 2023, in occasione degli 80 anni di Feltri) • Tra i suoi libri, Fascimo/antifascismo (Rizzoli, 1994, con Furio Colombo), Il vittorioso (Marsilio, 2010, con Stefano Lorenzetto) e Una repubblica senza patria. Storia d’Italia dal 1943 ad oggi (Mondadori, 2013, con Gennaro Sangiuliano), Buoni e cattivi. Le pagelle con il voto ai personaggi conosciuti in 50 anni di giornalismo, con Stefano Lorenzetto (Marsilio 2014). Nel 2018 ha scritto l’autobiografia Il borghese (Mondadori). (Da ultimo Com’era bello l’inizio della fine (Mondadori 2022) e Fascisti della parola (Rizzoli 2023).
Amori Un primo matrimonio da giovane. La moglie, Maria Luisa, morì dopo il parto e lo lasciò con due gemelle: «Avevo 24 anni, fu dura». Poi un secondo matrimonio con Enoe Bonfanti, dalla quale ha avuto Mattia, giornalista anche lui e direttore dell’HuffPost Italia, e Fiorenza. • Sposato con Enoe Bonfanti. Ha quattro figli, tra i quali il giornalista Mattia Feltri, direttore dell’HuffPost Italia • «Signora Enoe Bonfanti, c’è stato un momento del suo matrimonio in cui si è detta, “basta, la chiudo qui”? “Tutte le settimane”. (Lui ride, lei sorride...). E come resiste? “Prima piantavo il muso per tutto. Poi ho capito che il muso faceva stare molto peggio me e i miei figli (se ti siedi a tavola arrabbiata intossichi l’atmosfera), mentre lui usciva, andava a lavorare tranquillo ed era finita lì. E mi sono detta: ma ne vale la pena?”. E quindi? “E quindi ho imparato a prendermi cura di me, a coccolarmi. Basta poco. Quando Vittorio, tanti anni fa ha suggerito camere separate, mi sono offesa. Ma poi l’ho consigliata a tutte le mie figlie. Lo spazio per sé è impagabile: un pigiama profumato da indossare, la crema da stender sul viso, un film Piccoli gesti che ti fanno coricare serena”. Una volta che l’ha proprio fatta arrabbiare? “Tanti anni fa sparì tre giorni e...” (Feltri volge gli occhi al cielo, “Si vabbè...”). Come chiede scusa Vittorio Feltri, se chiede scusa? “Offrendoti un bicchiere di vino! Con il suo modo e la sua ironia. Ha sempre funzionato anche con me che non bevevo”. Però ci sono anche cose di lui a cui non rinuncerebbe mai: siete insieme da 55 anni... “In realtà è un uomo sincero e a modo suo credo mi voglia molto bene. A questo non potrei mai rinunciare. E poi è generoso. Con tutti, in tanti modi e alla famiglia non ha mai fatto mancare nulla. Ha sempre lavorato moltissimo per questo. Poi è eccessivo, nel bene e nel male. Sa essere perfido a parole quando si arrabbia ma Vittorio è un uomo molto buono. E leale”» (a Valeria Braghieri) • «L’anno scorso hai festeggiato 55 anni di nozze. “Non l’ho mai tradita. Certo, talvolta, ho diversificato”. So che hai corteggiato anche una dottoressa in sala operatoria. “Quando capisci che sei ancora vivo, un po’ ti ringalluzzisci”. Fammi capire. “Con il sesso ho chiuso. Fatica tanta, piacere poco, senza considerare che in certe posizioni, alla mia età, ti senti ridicolo. Poi, sai: organizzare un diversivo, portarla a cena, trovare il posto, richiede tempo. Preferisco leggere un giornale”» (a Fabrizio Roncone).
Religione «Credi in Dio? “No”. Come ti immagini l’aldilà? “Non esiste. Finisci sotto due metri di terra, e buonanotte”» (a Roncone).
Passioni Comproprietario di un allevamento di cavalli da equitazione, vende puledri. Ha corso al trotto • «Gira voce che beva troppo. Invece: un bicchiere a pranzo, uno a cena. E un dito di whisky la sera. Per il resto: mangio poco, meno del mio gatto Ciccio» (a Roncone).