29 giugno 2024
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Biografia di Mike Tyson (Michael Gerard Tyson)
Mike Tyson (Michael Gerard Tyson), nato a New York (Stati Uniti) il 30 giugno 1966 (58 anni). Ex pugile. Campione mondiale dei massimi dal 22 novembre 1986 (ko alla seconda ripresa contro Trevor Berbick, a Las Vegas) al 10 febbraio 1990 (sconfitto per ko alla decima ripresa da Buster Douglas, a Tokyo), di nuovo dal 16 marzo 1996 (vittoria per kot alla terza ripresa contro Frank Bruno, a Las Vegas) fino al 9 novembre dello stesso anno (sconfitto da Evander Holyfield per kot all’undicesima ripresa, a Las Vegas). Squalificato nella rivincita contro Holyfield il 28 giugno 1997 (a Las Vegas, durante la quarta riprese con un morso gli staccò un pezzo d’orecchio), si batté di nuovo per il titolo l’8 giugno 2002, a Memphis, sconfitto da Lennox Lewis per Ko all’ottava ripresa. «Sono diventato vecchio troppo presto e intelligente troppo tardi».
Vita «Nella notte del 22 novembre 1986 un ventenne pugile statunitense, Mike Tyson, sconfisse il campione mondiale dei pesi massimi Trevor Berbick all’Hilton di Las Vegas, diventando il più giovane pugile della storia a ottenere il titolo mondiale dei pesi massimi. Nessuno se lo aspettava, anche se il giovane Tyson era arrivato a quell’incontro dopo aver vinto 27 match, 25 dei quali per knock out. Berbick invece aveva dodici anni in più e aveva vinto il titolo dei pesi massimi nove mesi prima. Era stato anche l’ultimo avversario di Muhammad Ali, contro cui aveva vinto nel match poi diventato noto come “Drama in the Bahamas”. Ali era anche l’idolo di Tyson, che quando aveva dodici anni lo incontrò al centro di detenzione di Spofford, in cui si trovava in seguito a una lunga serie di furti e violenze. Tyson infatti, fino alla notte del 22 novembre 1986 (ma anche negli anni successivi), aveva avuto una vita molto complicata, segnata soprattutto dalla povertà e dalla violenza. Tyson nacque a Brooklyn, il più piccolo dei tre figli di Lorna Smith e Jimmy Kirkpatrick (prese il cognome del vecchio compagno della madre). Nato in una famiglia povera, l’infanzia di Tyson iniziò a essere veramente difficile quando il padre abbandonò la famiglia. Rimasto con la madre, che nel frattempo iniziò ad avere seri problemi con l’alcol, e i due fratelli, si trasferì a Brownsville, un quartiere povero e pericoloso. Tyson era un bambino tranquillo e molto introverso e passava la maggior parte delle giornate da solo ad allevare piccioni sui tetti dei palazzoni popolari di Brownsville. Le cose cambiarono quando iniziò a essere tormentato da alcuni ragazzi più grandi e preso in giro per via del suo sigmatismo e per la sua corporatura massiccia e più sviluppata rispetto a quella dei suoi coetanei. Col passare del tempo Tyson si convinse che subire le angherie degli altri ragazzi senza fare niente avrebbe reso le cose ancora più dure, e per questo iniziò ad aggredire tutti quelli che lo disturbavano: seppur più piccolo d’età, Tyson era già più forte e robusto dei ragazzi più grandi. Col passare del tempo Tyson iniziò a compiere diversi furti e si unì a una banda locale. Quando aveva dodici anni era già stato arrestato decine di volte; dopo uno scippo venne portato al riformatorio di Tryon. A Tryon era solito allenarsi in palestra quasi ogni giorno e per molte ore, a volte anche fino a notte fonda. Fu lì che venne notato da Bobby Stewart, secondino ed ex pugile, che riuscì a presentarlo a Cus D’Amato, storico allenatore di pugilato che in carriera aveva allenato campioni come Muhammad Ali, Floyd Patterson e José Torres. D’Amato lo vide combattere in un provino e si rese conto subito di aver a che fare con un potenziale campione, anche se da sgrezzare: Tyson aveva una potenza fuori dal comune ma era molto basso se paragonato alla statura media di un pugile e inoltre non conosceva né le tecniche di combattimento né i movimenti da fare sul ring. D’Amato tentò di far concludere la scuola a Tyson, che però venne espulso. Nel 1980, dopo la morte della madre, lo accolse a casa sua e due anni più tardi lo adottò legalmente. In quegli anni Tyson iniziò a ottenere le prime vittorie nelle categorie giovanili. Grazie agli allenamenti di D’Amato, Tyson unì tecnica e velocità alla sua forza sopra la media, diventando uno dei più noti giovani pugili americani. Non riuscì a qualificarsi alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 come dilettante e pochi mesi dopo passò con i professionisti. Dal 6 marzo 1985 fino all’incontro di Las Vegas contro Berbick, Tyson vinse 27 match, 25 dei quali per knock out. La serie di successi continuò ancora per nove incontri, nei quali si distinse per la potenza e la velocità delle sue braccia. Nel 1990 però, perse sorprendentemente il match contro Buster Douglas e insieme anche tutti i titoli che deteneva. Prima dell’incontro la vittoria di Douglas era quotata dagli scommettitori 42 a 1 e in molti la ritengono ancora oggi come una delle sconfitte più inaspettate nella storia dello sport» (il Post) • «Il cannibale Tyson. Quello che rompe, spezza, addenta. Quello che una volta ci riusciva. Tu non colpivi, tu volevi far male: “Ti spingo dentro il naso fino a farti uscire il cervello”. Violenza biologica, non politica. Non eri Hurricane Carter, non eri Ali. Non combattevi l’uomo bianco. Eri un corpo che cerca una via d’uscita dal ghetto e da se stesso. Eri sbagliato, Mike. Da far paura. Dentro il riformatorio, fuori dalla vita. A 13 anni eri già stato arrestato 38 volte. Ma sul ring eri quasi giusto, puro, senza pietà. La parte di Babbo Natale la lasciavi agli altri. Campione dei massimi, ad appena vent’anni. In 5 minuti e 35 secondi. La fretta di chi si sbarazza del dolore di essere uomini. Marvis Frazier fatto fuori in 30 secondi, Lou Savarese in 86, Michael Spinks in 91. Eri affamato, mangiavi tutto, anche orecchie. Braccavi, da animale. Era quella la tua sensualità, non fare accordi con l’istinto. Lo confermò Naomi Campbell presa velocemente in tassì a New York. Lo capì la scrittrice americana Joyce Carol Oates che venne a vedere i tuoi incontri: non era boxe quella, ma erezione da foresta. Ai tuoi match capitava di tutto: arrestarono chi pagava il biglietto per fare sesso mentre tu cercavi di uccidere. Sangue e arena, lo spettacolo più vecchio del mondo. C’era eccitazione, nelle narici, come un fiato nell’orecchio. La gente litigava, picchiava, sparava. Vedevi Tyson, e capivi: la vita è anche quello che afferri quando qualcuno ti dice no. Violenza, sequestro, rapina. Mai prendere precauzioni, sempre sporgersi dalla balaustra. L’estetica del male affascinava, dalla depressione del dolore si esce con l’oscenità. A Las Vegas nel ’96 il rapper Tupac Amaru Shakur, re delle gang, ti aveva appena visto liquidare Seldon in 109 secondi quando nel corridoio dell’Mgm attaccò un uomo che tre ore dopo ad un semaforo con un fucile a pompa lo ammazzò con quattro proiettili. Tupac aveva scritto: “Don’t shead a tear for me, nigga. I ain’t happy here”. Non sprecare lacrime per me, negro. Non sono felice qui. Tyson con i pugni urlava la stessa infelicità di Tupac. Eri il cattivo, the bad guy, il campione della cattiva strada. Molto prima che andassero di moda certi film e canzoni. Prima di Tarantino, di Eminem, di 50Cents che ora si è preso la tua villa in Connecticut. Eri un toro scatenato, senza regia. Sulla tua unica pagella avevano scritto: ritardato mentale. Eri Lenny, un personaggio da Steinbeck, pieno di furore, da Uomini e Topi. Nessuno riusciva a essere sciagurato come te: ad abbassarsi i pantaloni davanti agli avversari, per far vedere quello che avevi dentro, gesto rifatto davanti alle prostitute di Parco Lambro a Milano, e davanti ad altre donne in notti sbagliate. [...] l’America gioisce a mettere dentro tutti quelli che sono fuori. E a decidere sul tuo pentimento, dopo il morso a Holyfield e un anno di squalifica, mandò un veterinario, un dottore, un proprietario di otto McDonald’s, e due direttori di Casino. Si capisce, una giuria esperta di cannibalismo e frustrazione» (Emanuela Audisio) • Nel 2003 dichiarò bancarotta e si tatuò sulla faccia un tribale maori perché, disse, non sopportava più il suo volto (all’inizio l’idea era quella di farsi tatuare dei cuori). Negli anni successivi ha avuto seri problemi con alcol e droga e nel 2006 è stato condannato a un giorno di carcere e 360 ore di servizi sociali per essere stato fermato alla guida dopo aver sniffato cocaina • Nel 2009 Exodus, la figlia di quattro anni, si soffocò in un incidente domestico e morì dopo un giorno di coma • Da qualche anno si dice pulito e disintossicato, si è risposato, ha avuto alcune piccole parti in diversi film e tiene alcuni spettacoli al MGM Grand di Las Vegas, in cui racconta la storia della sua vita, ridendoci sopra • «È la rovina finanziaria del pugile che divenne il più giovane campione mondiale dei massimi a 20 anni, che per mettere a dormire Leon Spinks in 91 secondi incassò una borsa di 20 milioni di dollari nel 1988, allora il record storico di paghetta in ogni sport, era scontata, come l’addio alla vita delle eroine consumate dalla tisi. Bruciare 300 milioni di dollari in 18 anni, la durata della sua carriera di “prize fighter” di pugile a pagamento, è un’impresa sovrumana. Ma senza questa dimensione “più grande della vita”, senza la certezza della tragedia per quel relitto dei ghetti neri che a 10 anni già faceva parte di una gang chiamata “The Jolly Stompers”, i gioviali pestoni, Mike non li avrebbe mai guadagnati. Almeno sulla carta, perché la metà almeno sono finiti nelle tasche dei papponi, dei promoters come Don King (querelato da lui per 100 milioni di dollari spariti) che lo hanno succhiato come quelle donne, “tutte troie, cagne e stronze” (lo disse a Sports Illustrated) che lo hanno sposato, allietato o distrutto, come quella Miss America Nera, Desirèe Washington che andò nella sua camera d’albergo alle 3 del mattino per uscirne, secondo la sentenza di condanna a dieci anni di carcere, violentata. Non avrebbe guadagnato 300 milioni se non fosse stato colui che mozzò un orecchio a Evander Holyfield sul ring, e poi un polpaccio a Lennox Lewis in conferenza stampa. Non sarebbe un eroe della pulp che oggi passa per sport, se non avesse detto che “io non ho mai violentato quella Desirèe, ma se la incontrassi oggi la violenterei”. Non sarebbe oggi in tutti i tg e le pagine dei quotidiani americani, se non fosse il Tyson che a Maui nella Hawaii, dove si stava preparando per Lewis, si fece trovare con una biografia di Machiavelli sotto il braccio (’Mi sembra un cretino, questo ‘Maciavelli’, ma non un cretino completo”) e disse a una giovane inviata della Cnn, “Io do interviste soltanto a donne che me la danno”. Nessuno, che non sia un tenore del nuovo melodramma trash risponde così. E nessuno che non sia uno che ha capito l’insensatezza del mondo che lo paga e lo rovina, spenderebbe quello che "Iron Mike" ha speso in questi anni. Quando Mohammed Khan, uno scrupoloso ragioniere musulmano, come lui disse di essere diventato in carcere, tentò di mettere ordine nei suoi conti, il brav’uomo non credette all’elenco di spese che lui stesso stava contabilizzando e che ora fanno parte del faldone di documenti presentati al giudice di New York. Soltanto nei 33 mesi - meno di tre anni - del suo ritorno alla boxe dopo il ko subito a Tokyo nel 1990 da un innominabile brocco chiamato Buster Douglas, Tyson spese: 4 milioni e 477 mila dollari in automobili; 94 mila dollari al mese in abbigliamento; 410 mila dollari per il party del suo 30esimo compleanno nella casa di Las Vegas, dove teneva anche un leone; 411 mila dollari in acquisti di piccioni viaggiatori, la sua passione e gatti; 309 mila 133 dollari per giardinaggio; 236 mila e 184 per spese in contanti non specificate. E 32 milioni di dollari in tasse. Ora, la bankruptcy, la resa ai creditori e la richiesta di asilo finanziario ai tribunali di New York» (Vittorio Zucconi) • «A Monica Turner, ex moglie sposata dopo la galera, ha pagato 6,5 milioni di dollari. Ha perso una figlia di 4 anni, si è risposato due settimane dopo, e la slot machine del dollaro non si è fermata: ha interpretato film, serie Tv, recitato da solo in palcoscenico la storia della sua vita, guidato dalla regia di Spike Lee. Ha trovato un socio per gestire una azienda legata alla vendita di cannabis, ceduto case supercostose, inventato il ranch Tyson in collaborazione con coltivatori locali di cannabis. Su Youtube conta un milione e mezzo di seguaci, ha firmato un accordo con una società di scommesse internazionali. Viene ingaggiato per parlare di salute mentale, ispirazione, famiglia e boxe: un video costa 7500 dollari, la presenza dal vivo parte da 200mila dollari. Tyson continua ad essere una macchina da soldi, e un irrimediabile dissipatore di buone azioni. Diceva di essere il più cattivo uomo del pianeta. Ora interpreta una parte migliore. Ma ciò che attira è la perversa mostra del brutale» (Riccardo Signori).