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 2024  luglio 02 Martedì calendario

Savoia, tumulazione poco regale


Dopo cinque mesi Vittorio Emanuele di Savoia è stato sepolto nella cripta della Basilica di Superga, in una zona di passaggio e non come richiesto dalla famiglia dietro l’altare della Sala dei Re, nella quale si trova anche il sarcofago di Carlo Alberto di Savoia. La sovrintendenza è stata categorica nel rifiutare questa opzione per tutelare il patrimonio storico del luogo. Ma c’è chi ha visto in questo “no” anche una presa di distanza dal principe, una vita passata tra scandali e polemiche non proprio “reali”. «Non ha pace nemmeno da morto», sospirava Ugo D’Atri, presidente delle guardie d’onore.
«Sono destinato a Superga», ripeteva il principe quando rifletteva sulla fine, vedendo in quel luogo la meta che gli avrebbe ridato quel rango negato dalla storia e anche dalle sue azioni. Ma alla fine anche questo suo “sogno” è stato dimezzato da una location nel Mausoleo che non riconosce altro se non il suo cognome. Come dire: “sei ammesso ma non troppo.
Emanuele Filiberto non vuole “dar fuoco” alle polveri, o meglio alle ceneri, per lui la vita è comunque altrove. Da poco si è lanciato nel business finanziario, con il lancio di “carta reale”, un conto di pagamenti digitale. Perché alla fine quella corona che non c’è è comunque un brand utile per fare affari.
Ieri il principe era solo ad assistere alla tumulazione; la mamma Marina non sta benissimo, e le figlie verranno quando ci sarà la messa di suffragio in data da destinarsi, probabilmente dopo l’estate. Non pervenuta nemmeno la moglie Clotilde Courau, rimasta in Francia e impegnata in un set. Quando ci furono i funerali a febbraio, celebrati nel Duomo, tutti gli occhi erano per Vittoria, più interessata a essere una regina di Instragram che l’erede al trono Savoia.
Una tumulazione fatta in gran segreto, senza nemmeno un fotografo a immortalare l’attimo. La pioggia come colonna sonora dell’addio al figlio dell’ultimo re d’Italia, ai funerali e anche ieri, senza un raggio di sole a illuminare una vita vissuta nel grigiore dell’attesa, quella del rientro in Italia dopo una vita di esilio, e quella del “perdono” degli italiani.Un destino che lo ha visto lasciare l’Italia bambino, e scelte che hanno tracciato una strada discutibile. Il peso di un cognome,"Savoia”, responsabile di aver firmato le leggi razziali, una colpa mai perdonata alla stirpe, anche se le colpe dei padri non ricadono sui figli.
Emanuele Filiberto due giorni fa è stato contestato a Nervesa della Battaglia per l’inaugurazione di un monumento al Milite Ignoto. Abituato a queste accoglienze ha commentato con diplomazia: «Io non ho visto contestazioni. Personalmente le adoro perché sono come i leoni da tastiera: finiscono sui giornali, fanno un grande polverone e poi non ne vedo alcuno. Io voglio trovare il momento per parlare con loro e capire perché devono discriminare una persona che è nata nel ’72, che ha un cognome sì importante, ma che viene qua per rendere omaggio». E ancora: «Li ringrazio, li saluto e spero di poterli vedere la prossima volta quando verrò a dare i defibrillatori, che grazie agli ordini dinastici abbiamo potuto comprare ieri e che metteremo nelle piazze poprio qua».
E dopo Nervesa il principe di Piemonte e Venezia non aveva nessuna voglia evidentemente di fare il bis a Superga per la tumulazione del padre. Meglio una celebrazione intima, in sordina, con quel che rimane dei fedeli monarchici, nostalgici di un piccolo mondo antico. In un comunicato l’annuncio della sepoltura: «Sua altezza reale il principe Emanuele Filiberto – conclude il comunicato – ringrazia nuovamente, accanto alle istituzioni che hanno reso possibile il rispetto delle ultime volontà del compianto principe circa la propria sepoltura secondo la tradizione di Casa Savoia, quanti, in questi mesi, hanno partecipato al dolore e al lutto della famiglia reale, con particolare riconoscenza ai tanti Italiani – e, tra questi, ai molti torinesi – che hanno manifestato il proprio cordoglio».
E adesso Vittorio Emanuele riposa nello stesso luogo di Amedeo d’Aosta, tumulato nella sala delle Regine, il cugino che fino alla fine gli ha conteso la carica di pretendente al trono d’Italia. Tra loro il punto di non ritorno fu la rissa, in Spagna, al matrimonio dell’allora principe ereditario Felipe con Letizia Ortiz. «Ho visto mio cugino, era voltato, raccontò Amedeo, gli ho battuto con la mano sulla spalla per salutarlo. Lui si è girato e mi ha mollato all’improvviso due cazzotti. Io non ho reagito, è arrivata Marina Doria, che lo ha portato via». Una lite dinastica sepolta con loro, a Superga. L’ultimo atto di quella che è stata una tragedia, a tratti una commedia. —