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 2024  luglio 02 Martedì calendario

Intervista a padre Alex Zanotelli

«Porto sempre con me la “huipalas” che mi ha donato un’indigena dell’Ecuador. Questa sciarpa contiene i colori della pace, attraversati da un filo rosso. Rappresenta il messaggio che tutti i popoli, culture, religioni possono intersecarsi armoniosamente». L’indomito padre Alex Zanotelli, simbolo del pacifismo internazionale, da sempre in prima fila e controcorrente per aiutare gli ultimi, festeggia 60 anni di sacerdozio a Livo, fra le montagne di Trento, dove è nato il 26 agosto 1938. Missionario comboniano, ha abbracciato l’Africa in Sudan e Kenya. Il suo centro sono le periferie. Oggi il Rione Sanità.
È stato un bravo bambino?
«Non proprio… Ero sbarazzino, diciamo così. Da ragazzino ne ho combinate tante, non ero un “santerello”. Mia mamma era disperata perché non volevo studiare, in particolare Matematica».
Come si è presentata la vocazione?
«Un giorno, in 5ª elementare, venne un missionario comboniano a raccontarci la sua attività e chiese se qualcuno volesse spendere la propria vita così. Alzai la mano. Tutti erano meravigliati».
Dopo il Sudan, nel 1978, nella casa madre, a Verona.
«I Comboniani mi nominarono direttore della rivista Nigrizia. Da quella posizione ho capito che i problemi africani spesso derivano da noi».
Non finirà bene…
«Ho iniziato a esaminare la politica italiana verso l’Africa, la cooperazione e il traffico di armi. Nell’editoriale del gennaio 1986, intitolato “Il volto italiano della fame africana”, ho attaccato la legge proposta da socialisti e radicali sulla fame nel mondo. Criticavo l’improvviso interesse dei politici italiani per la fame in Africa, suggerendo che fosse motivato dalla fame di soldi destinati all’Africa. Questo articolo ha causato un putiferio, coinvolgendo nomi come Craxi e Piccoli. Poi ho fondato l’associazione “Beati i costruttori di pace”, esortando all’obiezione fiscale contro le spese militari. Sono esplose feroci polemiche su di me. Spadolini e Andreotti, con le loro influenze dentro il Vaticano, hanno fatto pressioni su Papa Wojtyla: Giovanni Paolo II a sua volta ha pressato il cardinale di Propaganda Fide, Jozef Tomko, che ha richiesto ai miei superiori di spingermi a lasciare il mio incarico».
Com’è andata in Kenya?
«Ho vissuto 12 anni tra i baraccati di Korogocho, a pochi metri dalla più grande discarica del mondo. Lì ho compreso il vero significato del Vangelo. L’ultimo giorno un gruppo di persone ha insistito affinché non me ne andassi senza una preghiera “su di me”. È durata tre ore. Alla fine, uno di loro mi ha invitato a inginocchiarmi. “Imponete le mani su di lui”. Sentivo centinaia di mani sulla mia testa».
Oggi dove vive?
«A Napoli, nel cuore del Rione Sanità. Abito in una casetta ricavata nel campanile. Ho scelto di aiutare i bisognosi in questa zona dalle enormi difficoltà sociali. E fin dalle prime pubblicazioni, per volere di don Tonino Bello, dirigo “Mosaico di pace"».
Il 18 maggio era sul palco dell’Arena di Verona con papa Francesco per l’evento con le associazioni pacifiste.
«Mai avrei immaginato di sedere alla sinistra del Pontefice, un posto che ha avuto l’approvazione della Santa Sede, dopo un lungo periodo in cui il mio nome nei Sacri Palazzi dava fastidio, poiché ho espresso critiche su diverse questioni anche all’interno della Chiesa. È stata come una rivalutazione del mio lavoro dopo decenni di ostilità delle gerarchie».
Ha avuto crisi di fede?
«Sì, tante, soprattutto nell’inferno di Korogocho. Di fronte alla morte dei bambini e ragazzini per fame, sete, ma anche malattie come l’Aids, mi sono domandato: Dio dov’è?».
Come le ha superate?
«Mi hanno aiutato i poverissimi dello Slum, che non perdono la speranza nonostante la miseria estrema e assurda. E in particolare, mi ha segnato Florence, una ragazzina di 17 anni. Una notte ero al suo capezzale: soffriva terribilmente a causa dell’Aids, era piena di piaghe. Eppure, sul letto di morte pregava con una luminosità impressionante. Le chiesi: ma chi è Dio per te? Mi rispose: “Dio è mamma"».
Mai innamorato di una donna?
«No».
Mai pentito di essere diventato prete?
«Il sacerdozio spesso diventa potere pericoloso, ma la missione ha salvato il mio sacerdozio trasformandolo in un servizio radicalmente dedicato agli esclusi della terra».
Non le è mancato avere figli?
«In realtà ne ho avuti tantissimi (sorride, ndr): la mia è stata una paternità spirituale nei confronti dei piccoli dimenticati tra le baracche di Korogocho». —